mercoledì 23 dicembre 2009

GIAPPONE

Molti pensano che il Giappone sia una nazione modernissima e industrializzata, e niente più. Ma sapevate che il Giappone è una delle nazioni più boscose del mondo? Sapevate che il Giappone custodisce tesori inestimabili, templi e monasteri lignei di grande valore, giardini zen strepitosi e musei grandiosi? Sapevate che nonostante la modernità il Giappone ha mantenuto le sue antiche tradizioni molto più di quanto abbiamo fatto noi? Ho avuto il ‘privilegio’ di recarmi in Giappone una volta e sono rimasto profondamente colpito. Prima di partire avevo qualche preoccupazione. Molti giapponesi non parlano altre lingue, pochissimi l’inglese. “Come farò a farmi capire?” continuavo a chiedermi. Come farò a leggere la loro scrittura, i nomi delle strade, delle stazioni, a viaggiare in metropolitana, ecc.? L’organizzazione giapponese, si sa, è nota a tutti e l’ho riscontrato personalmente. Tutto funziona alla perfezione o quasi. La grande area di Tokyo è una megalopoli che conta 35 milioni di abitanti! Eppure, la fitta, fittissima rete della metropolitana funziona che è una meraviglia. Tutto è scritto in caratteri latini, oltre che in giapponese naturalmente. Le biglietterie automatiche sono facilissime da usare. Danno sempre il resto anche se metti una banconota di grosso taglio e sono velocissime. Poi ci sono i treni ad alta velocità “Shinkansen” - che indica la linea e non il singolo convoglio. Shinkansen vuol dire “nuovo tronco ferroviario” e vi viaggiano i cosiddetti “treni proiettile” (bullet train). L’organizzazione del traffico passeggeri è grandiosa. Prevede vari accorgimenti come la banchina a filo della soglia del treno, con una distanza molto ridotta tra la banchina e la soglia; linee a terra numerate che delimitano il punto esatto in cui la porta del treno si aprirà, in modo che i passeggeri possano attendere più ordinatamente l’arrivo; le operazioni di entrata e uscita sono rapidissime anche grazie all’abitudine dei giapponesi di viaggiare “leggeri”, cioè di spedire a parte i bagagli ingombranti (solitamente gli unici che trasportano valigie voluminose sono gli occidentali). I passeggeri in arrivo scendono da una parte mentre i passeggeri in partenza salgono dall’altra. In pratica ci sono due marciapiedi. E che dire della puntualità? E’ esemplare: si stimano ritardi medi inferiori ai dieci secondi. L’efficienza del Giappone è proverbiale ma è una realtà.
Sapevate che il Giappone è il posto al mondo dove si registrano il maggior numero di terremoti? Questo perché la piattaforma del Pacifico, quella delle Filippine e quella Eurasiatica vengono violentemente a contatto e l’arcipelago giapponese ci si trova sopra! Il Giappone è il paese con la migliore organizzazione contro i sismi del mondo. Nell’edilizia vengono infatti utilizzati materiali elastici in grado di assorbire le onde d’urto: le fondamenta dei grattacieli di Tokio per esempio poggiano su una sorta di gigantesche molle che sono in grado di scaricare l’energia tettonica e preservare così le strutture. Quando si verifica una scossa, la rete radiotelevisiva diffonde contemporaneamente alle immagini un allarme acustico, che può essere udito anche a radio spenta; dopo due minuti vengono fornite ai cittadini le notizie sull’intensità, sull’epicentro della scossa e sull’eventuale pericolo di maremoto, con l’ora dell’ondata di tsunami prevista. Pensate che a Tokyo un sisma del 7° grado causerebbe solo 400 vittime, in Calabria 32 mila, secondo una stima.
Il Giappone conta una popolazione di circa 128 milioni di persone, e con una superficie di 377.835 chilometri quadrati ha un'altissima densità demografica; eppure, come ho scritto sopra, è una delle nazioni più verdi al mondo. Quasi tutte le città e megalopoli rimangono in pianura o sulle rive del mare. Tutta la parte montagnosa è scarsamente popolata e interamente coperta da boschi.
Per apprezzare il paesaggio boschivo bisognerebbe recarsi al Miho Museum progettato da Pei. Si trova a sudest di Kyoto. Contiene rarissimi pezzi antichi, provenienti soprattutto dall’Asia e dall’Europa. Ogni pezzo è stato accuratamente selezionato, sia per l'intrinseca bellezza artistica che per il significato storico. La cosa che colpisce maggiormente, a parte l’architettura stessa del complesso, è l'attenzione particolare che viene posta sul modo in cui le opere sono presentate al visitatore. Il museo rimane isolato sulle colline e totalmente circondato da boschi. L’autunno è il momento migliore. I colori delle foglie sono accesi, con tante sfumature dal rosso al giallo e dal marrone al verde dei pini. È un contrasto indimenticabile se visto attraverso le finestre del museo.
L’esperienza giapponese mi ha segnato profondamente. Ci sono molte altre cose da dire e riprenderò a parlare del Giappone dopo le feste, al mio ritorno dall’India.

venerdì 11 dicembre 2009

BURMA

Spostiamoci dall’area indiana all’area del sud-est asiatico, esattamente in Birmania (Burma), nome legato all'etnia maggioritaria dei Bamar. Dal 1988 si chiama Myanmar. In realtà il nome Myanmar incominciò a diffondersi con l'arrivo dei Mongoli nel XIII sec. ma non prese mai piede per via dell’etnia dominante dei Bamar. In Gran Bretagna viene usato il nome Burma, che probabilmente è legato alle guerre Anglo-Birmane, combattute nel XIX sec. La Birmania fu sconfitta dai britannici e si trasformò in una provincia dell’India britannica, dalla quale si distaccò nel 1937.
Il paese piace moltissimo ai turisti. Lasciamo stare la giunta militare intransigente che assume una connotazione negativa. Il paese si presenta soave, dolce e attraente (la parola appealing in inglese rende bene l’idea). Ci sono alcuni momenti di grande cultura come, ad esempio, Pagan (Bagan). Fu la vecchia capitale di parecchi regni antichi in Birmania. Centinaia di templi ed edifici religiosi si trovano nell’ansa del grande fiume Irawaddy. Salendo sulla collina di fronte oppure su uno dei tanti templi la vista dei templi è impagabile. Furono poi proprio i mongoli a far cadere Pagan. Fu saccheggiata e molte reliquie religiose furono rubate e portate via. Un altro momento magico è la visita dello stupa dorato alto 98 metri di Shwedagon a Rangoon (Yangon). Non è bello soltanto lo stupa dorato, ma tutto il complesso. Si accede dalla strada con l’ascensore, non è particolarmente romantico o suggestivo, ma una volta sulla ‘piattaforma’ circolare l’atmosfera diventa elettrizzante. Ci sono tantissimi stupa, tempietti e piccole pagode disseminati attorno allo stupa centrale. Tanti adoratori frequentano il posto. Molti sono seduti in contemplazione, altri fissano il sole in trance. Altri fanno la deambulazione attorno allo Shwedagon, rigorosamente in senso orario. Alla domenica ci sono tante famiglie che frequentano il complesso.
Venticinque anni fa, quando sono andato in Birmania per la prima volta, si poteva restare al massimo otto giorni. Sul breve volo Bangkok/Rangoon bisognava compilare un sacco di moduli per l’immigrazione, per la dogana e quant’altro. Il viaggio è breve, 40 minuti credo, e per compilare tutti i numerosi moduli il tempo era appena sufficiente. Poi, una volta sbarcati al fatiscente aeroporto di Rangoon, bisognava affrontare la barriera dei doganieri. Per far passare un gruppo indenne attraverso l’immigrazione e la dogana era obbligatorio passare sotto banco bottiglie di whisky e stecche di sigarette, altrimenti ti trattenevano per ore e ti facevano aprire tutte le valigie. Gli ufficiali erano tutti corrotti. In realtà non potevano non farti entrare avendo un visto regolare e anziché ‘corromperli’ si poteva aspettare, far aprire tutte le valigie e subire le loro angherie. Sarebbe stato più corretto da parte mia, ma vi assicuro che passare questi ‘regali’ sotto banco era la cosa più semplice per me e per il gruppo.
Venticinque anni fa gli alberghi erano tutti fatiscenti. L’albergo migliore allora era l’Inya Lake Palace. I letti nelle camere erano spostati rispetto alla parete per via dei bagarozzi. Ogni sera venivano a disinfettare la camera con il DDT. Almeno non c’era l’ombra di una zanzara! L’albergo Strand, un edificio storico nel centro di Rangoon oggi di gran lusso, era molto fatiscente, direi cadente. Mi ricordo di aver bevuto una ‘lime soda’ fresca al banco del bar, che era infestato di bagarozzi! Allora il vitto era insufficiente e cattivo, a parte qualche ristorante specializzato in cucina cinese. Si beveva ancora peggio. Era difficile trovare acqua minerale o acqua imbottigliata, soprattutto fuori Rangoon. Mi ricordo che, quando siamo arrivati a Pagan, avevamo una sete incredibile ma non c’era niente da bere. Anzi, c’era da bere ma solo bibite locali: una specie di Sprite, tremendamente dolciastra e poco dissettante, una schifezza vomitosa. Potete sicuramente immaginare la qualità degli alberghi fuori Rangoon. Tutti questi ‘vecchi’ alberghi sono stati completamente rinnovati e molti altri costruiti nuovi con gli aiuti internazionali. La situazione è cambiata notevolmente, anzi capovolta. Ma credetemi non è più la stessa cosa. Da allora il governo ha fatto dei lavori ‘disgustosi’ di restauro soprattutto a Pegu, ex-capitale, fondata dai Mon di Thaton nel VI sec. d.C. Sembra tutto fatto ieri. A Pindaya, non lontano dal lago Inle, in grotte di roccia calcarea si trovano migliaia di statue del buddha. È molto suggestivo ma ora hanno costruito un ascensore che porta all’ingresso. Un vero obbrobrio! Prima si saliva una lunga e ripida scalinata. Questi sono soltanto due esempi degli scempi che hanno fatto. Non c’è la mentalità del ‘restauro’.
Comunque è sempre un bel paese, la gente è molto affabile. Spesso s’incappa in manifestazioni religiose con centinaia di monaci e adoratori. Sono incontri inaspettati, che rendono il viaggio molto significativo. Allora non si poteva fare via terra. Bisognava per forza prendere l’aereo Rangoon/Heho (per Pindaya e lago Inle), Heho/Mandalay, Mandalay/Pagan e Pagan/Heho. A parte il fatto che non c’erano strade, le poche che c’erano erano mulattiere piene di buchi, che dico, piene di voragini. Gli aeromobili erano vecchi e maltenuti e tutti ad elica (che va anche bene quando l’aeromobile è in ordine). Mi ricordo che il volo per Heho da Mandalay non riusciva a decollare. Navigava appena sopra il folto cappello degli alberi. Lo steward vedendo le persone preoccupate disse: “Il pilota vola basso per permettervi di fare le foto”. Improvvisamente l’aereo vira in alto, il problema tecnico era stato risolto! Allora ci voleva fegato per fare un viaggio in Birmania. Ora le cose sono assai diverse, tutto comfort. Ma chi è stato in Birmania allora non dimentica e non dimenticherà mai l’avventura.

martedì 1 dicembre 2009

PAKISTAN

Vorrei parlare ancora del Pakistan, un paese a me molto caro.
Certo è un momentaccio pensare di trascorrere una vacanza in Pakistan, anzi è impensabile al momento.
Molti degli alberghi in cui ho pernottato negli anni scorsi sono stati attaccati da terroristi talebani: alcuni sventrati, altri distrutti con molte vite umane stroncate.
Cito un articolo del Corriere della Sera dell’11 Maggio 2009 sulla situazione di questo paese: “In un’intervi­sta alla NBC (il presidente pachistano Ali Zardari) ha rassicurato che ‘lo Stato non collasserà’ ma ha riconosciuto che il suo pae­se sta combattendo ‘la guerra per la propria esistenza’. Quindi ha ricordato che il pro­blema delle formazioni inte­graliste non è nato oggi, essen­do un’eredità della guerra con­tro i sovietici. La crescita del movimento Mujaheddin negli anni ‘80, ha osservato, «è un cancro creato da noi tutti, Pakistan e America». Una chia­ra
allusione al finanziamento da parte delle intelligence dei due Paesi (e dell’Arabia Saudi­ta) verso gli insorti che si bat­tevano per liberare l’Afghani­stan dall’Armata Rossa”.
Nonostante lo sforzo dell’esercito del governo di combattere ad oltranza ‘Al Qaeda’, la soluzione non è imminente anzi dall'11 Maggio di quest’anno la situazione è precipitata ulteriormente.
Siamo qui non per parlare di combattimenti ma per ricordare un paese intriso di cultura, arte e storia. Nel ricordare il Pakistan non possiamo non citare il più grande orientalista del Novecento, Giuseppe Tucci, fra i massimi tibetologi a livello internazionale. Nel 1956 G.Tucci diede inizio agli scavi nella valle dello Swat. Lo Swat fu uno stato indipendente dell’India, e poi, dopo la partizione del Pakistan, fino al 1969.
G.Tucci disse più volte di amare solo il viaggio lento, in carovana, con gli asini o i cavalli o, meglio ancora, a piedi, una specie di slow-travel! Sarebbe in effetti bello trascorrere qualche mese a visitare i siti archeologici del Pakistan e spendere tempo a Hunza, lungo la Karakoram, per assaporare l’atmosfera del luogo e godere della bellezza mozzafiato e delle montagne. Pensate: la catena montuosa del Karakoram ha la più alta concentrazione di ghiacciai del continente asiatico. Fantastico!
Insieme ad Harappa il sito di Mohenjodaro è una delle più grandi città della civilità della valle dell’Indo. Mohenjodaro significa letteralmente "il monte dei morti", nome che condivide con Lothal sulla costa del golfo di Cambay, nello stato indiano del Gujarat, che diversi lettori hanno visitato. Che dire di Lahore, la seconda città del Pakistan? Dal 1524 al 1752 Lahore fece parte dell’Impero Moghul del quale fu capitale dal 1584 al 1598 sotto Akbar il Grande. I capolavori dell’architettura Moghul sono imponenti come la moschea Badshahi, rossa e bianca, costruita dall’imperatore Aurangzeb agli inizi del secolo XVIII.
Straordinario il contrasto fra il corpo inferiore dell’edificio di pietra arenaria rossa con finissimi intarsi marmorei e le tre cupole a bulbo di marmo bianco che lo sovrastano. Poi c’è l’immenso Forte che mitologicamente viene attribuito a Lava, figlio di Rama, eroe del Ramayana. Dopo varie vicissitudini il Forte fu ricostruito in mattoni dal Akbar sulle vecchie fondazioni. Poi c’è il famoso giardino di Shalimar organizzato attorno a tre terrazze e disseminati di laghetti, cascate e più di quattrocento fontane. E che dire della moschea di Wazir Khan, risalente al XVII secolo, inconfondibile, rivestita di maiolica colorata, caratterizzata da torrette e minareti? Poi c’è il Museo di Lahore contenente importantissimi pezzi dell’arte Gandhara. E ancora c’è appunto la Valle dello Swat (di cui ho già parlato anche in un precedente racconto), importantissima; dal 1 al III secolo d.C. con la Battriana fu al centro dell’Impero Kushana dove fiorì l’arte del Gandhara.

Un posto difficilmente raggiungibile è Quetta, nella provincia pakistana del Baluchistan. La città è isolata da qualsiasi altra città del paese (dista 1000 km da Islamabad, la capitale). La città più vicina si trova in Afganistan, precisamente a Kandahar. Quetta si trova appunto vicina al confine afgano, in un ambiente molto secco e arido circondato da montagne di roccia, brulle, che di giorno sotto il forte sole sembrano irreali, fiabesche e irraggiungibili, mentre si accendono di rosso al tramonto.
I mercati di Quetta sono bellissimi, sembra di tornare indietro nel tempo. E’ qui che si comprano i tappeti più belli del Pakistan, fabbricati dalle tribù nomadiche della zona. Stranamente si trova un paese chiamato Quetta anche in Italia, nel Trentino, che fa parte del comune di Campodenno. Quetta (Pakistan) nella lingua Pashto (l’afgano) è una parola che significa "forte". Probabilmente ha ricevuto il suo nome dalle imponenti colline e montagne che circondano la città. E’ un posto affascinante (Quetta in Pakistan s’intende, ma forse anche Quetta nel Trentino è altrettanto affascinante) ma si respira una certa ostilità verso gli stranieri. Quando sono andato alcuni anni fa qualcuno ha lanciato dei sassi. Dovrei perè spezzare una lancia per Quetta. Al mercato sono stato fermato più volte da persone curiose ma affabili, che mi facevano un sacco di domande. Sono contento di esserci stato. Come già scritto in un racconto precedente, c’è un albergo molto confortevole e simpatico a Quetta, pensate, in stile forte del Balucistan! Una volta i collegamenti aerei interni erano efficienti, direi molto di più che in India. Tutto funzionava ‘perfettamente’, diversamente dall’India dove i ritardi erano all’ordine del giorno. Spesso gli alberghi non ti accoglievano perché avevano fatto male i conti, nonostante la prenotazione. Ora credo che la situazione sia capovolta.
Indipendentemente da queste valutazioni, in questo momento il Pakistan sta soffrendo enormemente ed è la gente comune che ci va di mezzo maggiormente. Mi auguro che la situazione possa migliorare, anche per permettere a coloro che amano la storia, l’arte e la cultura di poter visitare il paese e apprezzare tutte le sue struggenti bellezze.

venerdì 13 novembre 2009

LA REPUBBLICA KIRGHISA

La Repubblica Kirghisa, incastonata tra Uzbekistan, Kazakistan, Tagiskistan e Cina, è un paese prettamente alpino, ad eccezione del territorio che si affaccia sul confine Kazako, dove si trova la capitale Bishkek, e della valle di Fergana, dove si trova la città di Osh, confinante con l’Uzbekistan. Ho già parlato di questo paese in racconti scritti un po’ di tempo fa. Non è turisticamente attrezzato, almeno per chi fa viaggi ‘regolari’ o ‘culturali’. È un paese che prende emotivamente molto lentamente, direi a scoppio ritardato!
Guardando indietro e pensando alle fatiche delle strade sterrate, delle sistemazioni alberghiere precarie, per non parlare dei pernottamenti in yurte collettive a 3500 metri con un vento gelido sferzante che si sente ululare come se fosse un lupo feroce, questi disagi si attenuano a tal punto che col passar del tempo tutta l’esperienza ‘negativa’ diventa prima quasi piacevole, poi piacevole e infine, forse dopo qualche anno, molto piacevole.

Noi turisti siamo strani. Brontoliamo perché non c’è l’acqua calda, perché si mangia male, perché non c’è la marmellata o un caffè decente alla prima colazione e poi, guardando indietro, tutto si placa e diventa relativo. Anzi, ci facciamo pure grandi davanti ai nostri amici raccontando i disagi subiti… ma che bel viaggio, ma che bel viaggio!
La Repubblica Kirghisa non offre lusso, a parte la capitale, ma offre molto di più. Offre prima di tutto un paesaggio spettacolare. Chi poi proviene in viaggio dalla Cina capisce ancora di più la bellezza di questo paese. La cosa che rimane indelebile nel cuore di un viaggiatore sensibile è la semplicità del paese, intesa come naturalezza, sia dei suoi abitanti, sia del loro modo di vivere, sia delle loro abitudini, sia del loro modo di porsi. Nonostante i disagi, il paese, soprattutto la parte montana, si presenta con un’atmosfera soave e rilassante. Come si può dimenticare il villaggio di Sary Tash, non lontano dalla frontiera con la Cina, con le sue piccole case che sembrano dacie, il fieno appena raccolto sotto il tetto spiovente e le piccole finestre colorate? I turisti o coloro che passano per Sary Tash pernottano in case private dove la padrona di casa prepara sia la cena che la prima colazione, e prepara il letto in terra esattamente come dormono loro. Ma è così bello essere con una famiglia locale, mangiare quello che mangiano loro e dormire come dormono loro. Sì, è vero, il gabinetto rudimentale è fuori in una casupola di legno e il lavandino è pure fuori senza acqua corrente. La padrona riempie una vaschetta con l’acqua. Quando l’acqua è finita (la vaschetta è grande come lo sciacquone di un gabinetto) la riempie di nuovo. Alla mattina poi la vaschetta viene riempita di acqua calda. Che goduria! Che cosa c’è di più bello di vivere allo stato brado, per così dire, e di godere dell’ambiente e del paesaggio.
Davanti al villaggio e davanti alla casa dove si alloggia si apre un paesaggio straordinario: una prateria a perdita d’occhio e sullo sfondo, maestosa, una catena montuosa di picchi innevati sopra i 6000 metri. E che dire del picco Lenin, di 7134 m? È la vetta più alta sulla cresta di Zaalay, tra il Kirghizistan e il Tagikistan, e appartiene alla catena dei Pamir. Con la sua asimmetrica piramide domina la Valle Alai ed è visibile a grande distanza.


Purtroppo non è sempre oro ciò che luccica e anche qui ci sono dei conflitti. La parte montuosa è abitata esclusivamente da kirghisi e per la maggior parte sono pastori. Ad Osh invece, all’inizio della valle di Fergana, c’è una cospicua popolazione uzbeka, i quali sono agricoltori e commercianti. Non scorre buon sangue tra le due etnie. Il governo ha incoraggiato la popolazione kirghisa a trasferirsi ad Osh, dove gli uzbeki sono tanti. I nostri autisti uzbeki, che sono venuti a prenderci alla frontiera con la Cina, hanno sospirato prima di arrivare ad Osh dicendo “stiamo lasciando i Kirghisi” per dire che stavano entrando, secondo loro, in un territorio uzbeko, nonostante non faccia parte dell’Uzbekistan.
Per capire questa diatriba bisogna tornare indietro nel tempo. Gli antenati dell'odierno popolo kirghiso vissero nel bacino dello Yenisey superiore, in Siberia, almeno fino al X secolo, quando a causa di incursioni mongole iniziarono a spostarsi più a sud, nel Tian Shan (catena montuosa che si estende dalla valle di Fergana fino a Turfan in Cina). L'emigrazione fu accelerata dall'ascesa di Gengis Khan. L'odierno Kirghizistan faceva parte dell'eredità del secondo figlio di Gengis Khan, Chagatai. A causa di altre vicissitudini i kirghisi furono spinti verso sud, nella zona dell'attuale Tagikistan. Nel 1918 il territorio kirghiso fu assorbito dalla Repubblica Socialista Sovietica Autonoma del Turkestan all'interno della Federazione Russa; nel 1924 venne separato nella Oblast Autonoma dei Kara-Kirghisi e infine nel 1936 divenne una Repubblica Socialista Sovietica a pieno titolo. La questione della terra e degli alloggi fu in effetti la causa scatenante del più cruento conflitto interetnico dell'Asia centrale, quello tra kirghisi e uzbeki nei dintorni di Osh nel 1990, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Osh è una città vitale e piena di vita e si trova in una posizione strategica di grande importanza.


Diatribe a parte, la Repubblica Kirghisa è soprattutto montagna, ed è qui che si respira il soave odore della tranquillità.

martedì 3 novembre 2009

Manali e la Valle di Kulu


Partendo da Kaza, capoluogo della valle dello Spiti, si sale al bellissimo passo Kunzum per poi scendere a Gramphoo da dove si prende la strada Leh-Manali. Il percorso a dire poco è fantastico. Da Gramphoo si sale verso il passo Rothang, a quasi 4000 metri (3978). Credo che la strada Manali-Rothang Pass sia stata costruita negli anni ’60. Mi ricordo che nel 1984 era molto stretta e pericolosa con paurosi strapiombi e spesso interrotto per frana. Era difficile passare quando s’incrociava un camion. Da allora la strada è stata allargata e modificata più volte. I lavori continuano. Attualmente stanno facendo dei lavori immani. Come potete immaginare il percorso mette a dura prova i nervi: voragini, ammassi di terra, scavatrici ovunque, migliaia di uomini che lavorano sui bordi della strada. Ci sono enormi tendopoli dove vivono gli operai.
Il passo è quasi sempre avvolto dalle nuvole. La nebbia si alza dalla valle di Kulu, che si trova nella cintura monsonica. Butta tanta di quella nebbia sul passo che spesso la visibilità è di pochi metri soltanto. Non è particolarmente bello. È vero che la nebbia rende il paesaggio spettrale e triste, ma anche quando è sereno il paesaggio è severo. Con tutti lavori che sono stati fatti ci sono molti scarti buttati con noncuranza ovunque, vecchi pali della luce, strumenti di lavoro arrugginiti, sporcizia da tendopoli. Al passo e appena dopo ci sono innumerevoli posti di ristoro, centinaia di baracche che servono il tè (sempre buono) e tutto quello che uno desidera. Il passo è molto gettonato per gli indiani che provengono da Delhi perché negli anfratti delle montagne spesso rimane la neve anche in estate. D’inverno il passo è chiuso. La neve può raggiungere anche diversi metri. A volte è ancora chiuso in giugno.
La discesa verso Manali però è molto bella. Man mano che si scende la valle diventa sempre più verde. Gli abeti che coprono le montagne hanno il fusto alto e slanciato e si stagliano verso il cielo per formare un bellissimo quadro. Le vecchie case sono caratterizzate dall’alternanza di pietre e legno e hanno delle grandi balconate di legno. Manali è diventato un resort a tutti gli effetti. Pullula di alberghi, pensioni e case da affittare. Persone benestanti di Delhi hanno costruito o comperato la seconda casa, per passarvi le vacanze. Come sapete da fine aprile a settembre il clima a Delhi è insopportabile, soprattutto nei mesi di maggio e giugno, quando la temperatura supera i 40 gradi e non è raro che raggiunga addirittura i 48 gradi. Manali è a circa 2000 metri e d’estate si sta bene. È abbastanza umida perché risente dei monsoni anche se molto, molto meno di Dharmasala (dove si trova il Dalai Lama) che è esposta frontalmente all’influsso dei monsoni. Purtroppo a Manali sono state costruite delle strutture con materiali scadenti. Dopo un anno gli edifici sono già fatiscenti. La vecchia Manali, anche se ci sono dei cambiamenti in atto, mantiene alcune vecchie case di grande fascino. Nei dintorni si possono ancora vedere dei villaggi intatti con vecchie case di legno e pietra. C’è la tendenza però a costruire nuove case di cemento. C’è uno sforzo da parte delle autorità di incoraggiare a costruire nello stile tipico della valle, ma il materiale è molto caro soprattutto il legname. Da non dimenticare che anche qui l’abusivismo imperversa e non c’è nessun piano regolatore. “Ma siamo in India” qualcuno dirà… ma non dobbiamo andare tanto lontano per vedere degli scempi.
A Manali c’è poco di artistico da vedere. Può essere interessante la casa e il museo del russo Nikolaj Konstantinovič Roerich nato a San Pietroburgo il 9 ottobre 1874. Nikolaj Roerich trascorre gli ultimi anni della sua vita vicino a Manali, a Naggar. Sono esposti i suoi lavori e quelli di suo figlio Svetoslav. Lo stile di Roerich si colloca fra il surrealismo e la pittura iconografica russa. Un’altra cosa interessante è il tempio indu di Hadimba, la sposa di Bhima nel Mahabharata, in mezzo al bosco, poco lontano dalla vecchia Manali. È un tempio tipico di queste zone con rilievi lignei e sopra l’ingresso sono raffigurati danzatori. Una curiosità è l’albero sacro (il figlio di Hadimba e Bhima è venerato qui), non lontano dal tempio, dove vengono offerti coltelli, corna di montone ed effigi in stagno di casette, animali e raffigurazioni umane. Ritornando a Naggar c’è qualche tempio indu di un certo interesse. Da Haggar ci sono belle vedute sulla valle e sulle risaie che in agosto sono verdi.
Proseguiamo verso Chandigarh per chiudere il circuito. La discesa verso Mandi è oramai veloce. E’ un lontano ricordo il periodo in cui la strada era spesso interrotta per frana con attese snervanti. Hanno costruito una lunga galleria che taglia la montagna e che fa evitare la vecchia strada tortuosa che era incastonata tra la ripida montagna da una parte e il fiume Beas dall’altra. La valle di Kulu è molto verde e fertile. La lavorazione del terreno è a terrazze. La sistemazione dei singoli lotti di terreno avviene parallelamente all’orientamento delle curve di livello, contrastando e attenuando la forza dell’erosione delle acque. La valle di Kulu (si può anche scrivere così: Kullu), è conosciuta come la ‘valle degli dei’, perché ogni anno tra ottobre e novembre, secondo il calendario indu, c’è un importante festival che dura sette giorni, chiamato Kulu Dussehra. Celebra la vittoria di Lord Rama sull’empio re Ravana. Ho assistito al festival nel 1984. La folla è immensa e travolgente. Ogni giorno durante il festival la divinità è portata fuori dal tempio e viene sorretta da portatori che corrono di qua e di là, anche a zig-zag, all’impazzata, probabilmente per rappresentare la lotta tra lui e Ravana. Dalla cittadina di Kulu si scende appunto a Mandi. Mandi ha due bellissimi templi gemelli separati l’uno dall’altro dal fiume. Sono dedicati a Shiva (XII sec.). Prima di arrivare a Mandi, lungo il percorso, ma nascosto dalla strada, si trova un altro tempio indu, squisitamente scolpito del VIII sec. Sempre dedicato a Shiva. Si scende a Chandigarh, passando per il Punjab, dove appunto termina il percorso circolare del nostro viaggio.

giovedì 15 ottobre 2009

CHANDIGARH E ANCORA LA VALLE DELLO SPITI

Ho cominciato a parlare dell’Himachal Pradesh e del viaggio verso l’isolata Valle dello Spiti in maniera un po’ confusa. Sono passato da una parte all’altra per poi tornare indietro sui miei passi. Comunque, il viaggio è iniziato a Chandigarh, non perché facesse parte del tema del viaggio, ma come punto di partenza.
Il grande architetto Le Corbusier ha curato il piano urbanistico ridisegnando la città negli anni ’50. Ha progettato molti edifici pubblici. Chandigarh è una specie di città-giardino con grandi viali alberati. Gli edifici pubblici sono immersi (sarebbe forse meglio dire “dispersi”) in mezzo alla vegetazione, isolati l’uno dall’altro. Gli edifici sono difficilmente visitabili perché ci vogliono innumerevoli permessi speciali. La ‘security’ è ferrea, probabilmente perché Chandigarh è capitale di due stati, Punjab e Haryana, e anche per i recenti atti terroristici (Bombay per esempio). Praticamente si gira in macchina per i bei viali alberati ma non si vede quasi nulla della città, soltanto qualche scorcio di muro qua e là. Ho trovato curioso il ‘Rock Garden’ di Nek Chand. Ogni giorno, girando in bicicletta, raccoglieva materiale dalle demolizioni e dai cantieri in cui venivano costruiti gli edifici progettati dall'architetto Le Corbusier, soprattutto pezzi di ceramica, acciaio e materiale elettrico. Nek Chand poi realizzava fantasiose sculture raffiguranti prevalentemente figure umane e animali e le metteva in un'area urbana allora poco frequentata. Nel 1975 fu ‘scoperto’ questo museo ‘abusivo’ e le autorità decisero di valorizzarlo. Oggi Nek Chand è considerato un grande. Le sue opere vengono esposte anche in musei di tutto il mondo. È una vera curiosità che vale la pena vedere.
Da Chandigarh, ai piedi della catena sub-himalayana, ci siamo trasferiti a Shimla, Regina dei Colli, e capitale dell’Himachal Pradesh. Di Shimla ho già parlato e anche della regione di Kinnaur. Immergiamoci subito nella Valle dello Spiti. Uno dei posti più belli è Dhankar, la vecchia capitale dello Spiti. Il complesso è di grande suggestione: sorge su uno sperone di roccia a strapiombo sopra la valle. I templi, anche se salvati, si sono impoveriti a causa di infiltrazioni d’acqua che hanno praticamente cancellato le bellissime pitture murali. Ci sono delle valli laterali che sono di grande bellezza. Alcuni villaggi si trovano a 4500 metri d’altezza e sono tipicamente tibetani. La pace è assoluta. Il cielo stellato di notte è talmente limpido che sembra di toccare la via lattea e il grande e piccolo carro. Eccezionale!
Vicino a Kaza siamo stati in uno ‘strano’ albergo. Probabilmente è il migliore. Non risistemano mai le camere mentre l’ospite permane. C’è il cambio di asciugamani, che vengono consegnati al ristorante, e c’è sempre acqua calda perché ogni stanza ha il suo boiler. È difficile trovare personale quassù per la breve stagione. I locali hanno altro da fare. Nel nostro lodge lavoravano dei ragazzi del Bihar, lo stato più povero e travagliato dell’India. Erano molto bravi e disponibili, ma non era permesso loro entrare nelle camere. La cucina era sorprendentemente buona e varia per un posto così sperduto. Kaza, che è il capoluogo della valle, è piuttosto bruttino. Sì, ci sono negozi, mercati (un po’ di vita e movimento non guasta) ma non ha niente di attraente. Un punto in favore di Kaza è la ‘German Bakery’ (il cosiddetto forno tedesco), ottimi dolci come ‘apple crumble’, pane fresco e il formaggio di yak, gustosissimo. Comunque la valle ti travolge con i suoi delicati colori pastelli all’alba, i suoi colori più intensi al tramonto, il cielo di un azzurro intenso a mezzogiorno adornato da bianchissime nuvolette che sembrano danzare nel cielo quasi come fossero degli esseri celesti. I minuscoli villaggi pochi anni fa erano irraggiungibili, ma ora, grazie al potenziamento delle strade carrozzabili, si arriva quasi dappertutto con la jeep. Questo permette a chi non fa trekking di vedere praticamente tutto quello che c’è da vedere nello Spiti.
Sempre nella valle dello Spiti, il monastero di Tabo, e quello più piccolo di Lalung, sono strutture quasi insignificanti viste dall'esterno ma contengono alcuni dei migliori esempi di antica arte buddista rimasti nel mondo intero, uno spettacolo incredibile. Deludente il monastero di Kye, arroccato sopra uno sperone di roccia. È uno dei monasteri più fotografati per la sua stupenda posizione. Vanta preziosi thanka (pitture religiose su tela che si possono arrotolare), che però sono e rimangono coperti. Abbiamo provato ad alzare le tele di protezione che coprono le pitture ma il monaco ci ha fermati. Peccato! Quando si entra nel monastero i monaci offrono il te, più che altro per ricevere una donazione.È l’unico tempio che ha un negozio, forse perché è facilmente raggiungibile anche a piedi (per chi cammina molto) da Kaza. Noi vedevamo il monastero da lontano tutti i giorni dal nostro albergo. La veduta dallo sperone di Kye però è spaziale. Si vede in estensione la valle dello Spiti. Senza poter vedere i thanka non entrerei neppure, se non fosse per la bellissima veduta dal tetto del monastero.
Il percorso da Kaza a Gramphoo, nel Lahaul, sulla Leh-Manali highway, è grandioso: picchi innevati, fiumi impetuosi, torrenti che attraversano la strada, montagne rocciose maestose, ghiacciai imponenti e soprattutto il silenzio…Il passo Kunzum (4600 m circa) è spettacolare con torreggianti picchi innevati. È difficile descrivere la sensazione che si prova in un ambiente così forte e travolgente, ma nello stesso tempo così soave e romantico!Non posso non ricordare la seguente bellissima poesia di R.Tagore sulla montagna. Si addice di più alla prima parte del viaggio (Kinnaur), quando eravamo sotto l’influenza dei monsoni.


Venite, o nubi, piene d'acqua
e cariche di pioggia,
portate il vostro cupo amore
sulla terra.
Venite a baciare le cime dei monti,
a coprire d'ombre i giardini;
con grande frastuono
venite a coprire il cielo.
Geme la foresta
e trema il fiore,
cariche di pianto traboccano
le sponde del fiume.

venerdì 9 ottobre 2009

VERSO LA VALLE DELLO SPITI


La valle di Spiti è adagiata praticamente sulla frontiera cinese tibetana. È una valle isolata e nascosta in un angolino dello stato chiamato Himachal Pradesh. È stupenda! Una volta superata la Grande Catena Himalayana, che si potrebbe definire la grande muraglia himalayana, il clima si presenta soleggiato e secco con cieli di un azzurro intenso di giorno e luminoso di notte. Senza la luna si vede la via lattea in maniera incredibile, oltre al piccolo e al grande carro. Sembrano lì a portata di mano. È uno spettacolo indimenticabile! È una valle secca perché piove pochissimo. Le montagne sono nude senza alberi o vegetazione. Ma come in tutte le valli protette dai monsoni l’acqua dalle nevi perenni sopra i 6000 metri viene imbrigliata e portata a valle per irrigare i campi. È uno spettacolo molto bello vedere le montagne di roccia e più in alto le vette innevate e i campi coltivati (orzo, piselli, legumi) disegnati in forma quasi circolare o ovale. I villaggi sono tipicamente tibetani, costruiti in adobe o in pietra. Alcuni dei villaggi sono proprio in quota, sopra i 4000 metri. Qualcuno è addirittura sopra i 4400 m. A questa altitudine, grazie alla rugiada, si trovano degli altipiani con una sottile copertura d’erba.
Da Shimla ci vogliono alcuni giorni per arrivarci. Bisogna fare delle tappe nel distretto di Kinnaur. Il Kinnaur si trova dalla parte monsonica, sotto la grande catena himalayana. Il verde è intenso, smeraldo. L’Irlanda impallidisce al confronto. Scendendo da Shimla si segue il fiume Sutlej. È l’affluente più orientale del fiume Indo, che bagna l'antica e storicamente importante regione del Grande Punjab. Ci sono prove che attestano come prima del 1700 a.C. il fiume Sutlej fosse un importante affluente del fiume Sarasvati, anziché dell’Indo. Il fiume Sarasvati non esiste più, ma da ricognizioni aeree si vede il tracciato del ‘vecchio’ fiume. Chi è stato in Pakistan conosce bene la storia di questo fiume ‘scomparso’. Comunque il percorso lungo il fiume Sutlej è, a dir poco, dantesco. Stanno facendo dei lavori immensi per la realizzazione di centrali idroelettriche. Stanno bucando le montagne e prendendo acqua dai torrenti laterali. Dal punto di vista naturalistico stanno rovinando la valle. D’altra parte il problema dell’energia è molto serio in India, soprattutto nelle grandi metropoli. L’India è una nazione emergente, anzi una potenza economica, che ha bisogno di energia. Nel 2015 probabilmente supererà la Cina come popolazione e diventerà la nazione più popolosa del mondo.
Ma ritorniamo al nostro viaggio. Percorrendo la valle ad un certo punto si può fare una deviazione nella valle di Sangla. La strada che sale è spettacolare. C’è una diga più in alto con una piccola centrale idro-elettrica, ma la valle è ancora intatta. Ci sono dei piccoli villaggi con vecchie case, templi e torri, caratterizzate dall’alternanza di pietre e legno per rendere le strutture più resistenti ai movimenti sismici. L’ultimo villaggio lungo la strada carrozzabile si chiama Chitkul a 3400 metri. È un posto delizioso, ancora intatto, anche se ci sono le prime avvisaglie di modernizzazione. Molte case e templi hanno i tetti di ardesia. I pezzi, tagliati a mano, non sono né quadrati né rettangolari ma ‘artistici’, e formano un bel disegno. Bisogna rientrare sulla strada maestra per arrivare a Kalpa. Ancora lavori ‘infernali’, che poi finiscono. L’albergo, dove abbiamo pernottato, si trova sopra il villaggio con una stupenda veduta sulle vette innevate. Il picco più alto si chiama Kinnaur Kailash (6050 m), residenza invernale di Shiva (quella estiva si trova in Tibet). È una goduria sostare sulla terrazza dell’albergo e vedere le nuvole che salgono dalla valle verso l’alto e che poi si sciolgono improvvisamente. All’alba è eccezionale perché il primo sole lambisce le vette e illumina la neve che si tinge leggermente di rosa. Le nuvole coprono le vette poi improvvisamente si aprono e lo spettacolo ti travolge. Bastano pochi minuti e le nuvole avvolgono di nuove le vette.
Ho iniziato a parlare della valle dello Spiti ma poi sono tornato indietro, a parlare del ‘cammino’ iniziale verso la valle nascosta. Questa parte è meno coinvolgente, ma sempre di grande interesse. A proposito, il nome Himachal Pradesh significa 'Stato della montagna innevata'. Fu incorporato dall'Unione Indiana nel gennaio del 1971, ed è in questo stato che vive il Dalai Lama, a Dharamsala. Parlerò più specificamente della valle dello Spiti prossimamente e poi del percorso verso Manali, nella valle di Kulu. A presto!

giovedì 1 ottobre 2009

SHIMLA – HIMACHAL PRADESH

Shimla fu la capitale estiva del raj britannico dal 1864. Si trova a più di 2000 metri sul livello del mare in mezzo a montagne verdissime ricoperte di pini, abeti, cedri himalayani, querce e rododendri. La parte coloniale della città si trova sulla sommità di una collina. E’ dominata dalla chiesa anglicana. La parte alta si divide in due strade, The Ridge e The Mall. Sembra di camminare in un piccolo villaggio inglese. Peccato che ci siano tanti cartelli pubblicitari che rendono l’ambiente meno suggestivo. Alcune case sono a graticcio, altre in pietra. Il Municipio di Shimla sembra uscito da un film di Harry Potter. Shimla è stata denominata la Regina dei Colli. Purtroppo l’espansione della città, capitale tra l’altro dello stato dell'Himachal Pradesh, l’ha resa meno affascinante e più ‘indiana’!
Dal Mall la città scende verso la valle a gradoni. The Mall ha soprattutto uffici amministrativi, ristoranti e caffè mentre scendendo si trova il Lower Bazar, cioè il bazar inferiore. E’ una strada che corre parallela alla passeggiata principale (The Mall). A proposito, The Mall è pedonale, qualche cosa di eccezionale per l’India. Neppure i motorini possono accedere alla zona pedonale (diversamente da Bologna)…The Lower bazar è un vero bazar pieno di negozi di ogni genere e pieno di gente. Qui si trovano piccoli tempietti indù e le manifestazioni religiose sono frequenti. Ci sono tanti vicoli che scendono quasi verticalmente nella valle. Sono ripidissimi e strettissimi. Le case sono fatiscenti, rappezzate e incredibilmente cadenti, ma c’è qualche cosa di magico nell’insieme che colpisce. Forse è l’agglomerato di case che scende ripidamente dalla collina come se fosse un tutt’uno. E’ bello osservare la città da basso di notte. E’ uno scintillio di luci, fiabesco direi.
Proprio sulla sommità di Shimla si trova un tempio dedicato a Hanuman, ministro del re delle scimmie che aiutò Brahma a liberare la sposa Sita, caduta nelle mani del demone Ravana. La posizione è bella ma il tempio è circondato da scimmie dispettose e pericolose. Per arrivarci bisogna fare una passeggiata in mezzo al bosco. Non bisogna guardare le scimmie negli occhi perché lo considerano come una sfida. Poi non bisogna portare occhiali o cappelli o cose che pendolano perché le scimmie rubano tutto. Le scimmie sono i padroni del luogo e la visita diventa praticamente impossibile. E’ successo anche che qualcuno è stato anche morso. Non ci siamo stati così abbiamo evitato il problema! Non soltanto il tempio di Hanuman ma Shimla stessa ha un grosso problema per via della popolazione di scimmie in continua crescita. Ce ne sono a centinaia sui tetti, lungo le strade, sui muri, ovunque. Per recarsi nella valle dello Spiti, una zona tibetana all’interno dell’India, bisogna richiedere un permesso speciale (Inner Line Permit) che si ottiene presso gli uffici amministrativi di Shimla. Non è lontano dal Mall e l’ufficio è in ostaggio alle scimmie. Una vecchia scimmia in particolare è sempre arrabbiata. Bisogna allontanarla con un bastone prima di uscire dall’ufficio, se è li ad intralciare il cammino. Le autorità hanno pensato di avvelenarle o comunque farne fuori almeno una parte. Le scimmie però fanno parte integrale della città e senza non sarebbe più la stessa cosa, forse… Vedremo quale soluzione prenderanno.
E’ una città completamente diversa da qualsiasi altra città indiana. Ha un atmosfera molto particolare, direi rilassante, forse per la sua posizione panoramica in mezzo al verde, alle foreste e anche per la sua architettura coloniale. Tutta la parte che scende a valle, che ho descritto sopra, è pedonale. Tutta la merce viene portata sulla schiena dai facchini. Mentre ero a Shimla in agosto ho osservato un facchino portare sulla schiena una lavatrice per poi depositarla in un negozio lungo The Mall. E’ un lavoro duro anche perché le salite sono ripidissime. Devono avere dei polmoni veramente incredibili.
Da Shimla si può prendere il trenino per Kalka. La linea è stata aperta nel 1903 e si snoda attraverso magnifiche valli e montagne verdissime. Il trenino marcia ad una media oraria di 22 km. La linea ora fa parte del patrimonio universale dell’Unesco. E’ deliziosa la stazione di Shimla, ancora identica a quando fu aperta nel 1903. Shimla è stata la prima tappa del viaggio che conduceva nella stupenda valle dello Spiti. Anzi la prima tappa è stata Chandigarh.
Comunque di Chandigarh e del percorso che abbiamo fatto lo scorso agosto perlerò un'altra volta...

lunedì 14 settembre 2009

LEH (LADAKH)

Bentornati! Ricomincio a scrivere dopo la pausa estiva. Oggi voglio parlarvi del Ladakh.
Venticinque anni fa fare un viaggio nel Ladakh era un’avventura. Leh allora era quasi esclusivamente un aeroporto militare e credo che ci fossero pochissimi voli. Allora si prendeva il volo da Delhi a Srinagar, bella capitale estiva dello stato del Kashmir, e Jammu per poi proseguire a Leh in aereo (quando partiva), oppure per strada via Kargil.
Srinagar si trova sul lago Dal. Ci sono alcuni bellissimi giardini Mughal che circondano il lago, il più famoso è Shalimar Bagh commissionato da Jehangir. Anche allora c’era qualche volta il coprifuoco sempre per via della tensione tra indu e musulmani. Il centro cittadino, almeno allora, era bellissimo, con attraenti case in legno. Si dormiva sui famosi ‘house boats’, alberghi galleggianti sulle sponde del lago, molto suggestivi ma attenzione ai toponi! Allora a Srinagar c’era un vecchio albergo coloniale Oberoi con una dependance. So che è stato chiuso a lungo e per alcuni anni è stato occupato anche dai militari. Ora è stato riaperto e si chiama Lalit Palace. È tornato alla sua vecchia gloria.
La valle di Srinagar è un piccolo paradiso. Peccato che ci siano continuamente fermenti politici che rovinano l’atmosfera. Arrivare a Leh in volo è un’esperienza. Fino a poco tempo fa l’atterraggio era effettuato senza radar o strumenti sofisticati. Da Delhi la partenza per Leh era sempre presto alla mattina. Non era inusuale partire, volare sopra Leh senza poter atterrare perché completamente coperta di nuvole basse. L’aereo girava intorno più volte ma non trovando nessuno squarcio che permettesse di vedere la valle tornava indietro. Non tornava a Delhi bensì a Chandigarh, dove attendeva in pista per due ore aspettando di riprovare!

Così una volta siamo in aereo per Leh. Sembra che la fitta coltre di nubi sopra la valle del Ladakh non si decida ad aprirsi. Torniamo a malincuore a Delhi. Tenteremo di ripartire la mattina successiva. L’Indian Airlines offre l’albergo a Delhi, e dopo una lunga attesa e numerose comunicazioni ci dice che molti alberghi sono pieni e che ci possono offrire soltanto l’albergo tal dei tali…(non mi ricordo il nome). Ci portano in pullman insieme ad altri passeggeri. Vedo già da fuori che è un postaccio. I nostri rimangono sul pullman mentre io vado a vedere la situazione. Drammatica! È una topaia. Chiamo l’albergo Taj dove eravamo la notte precedente e chiedo la disponibilità. C’è, meno male! Poi mi metto d’accordo col nostro corrispondente e con la Indian Airlines per appianare la parte economica.
La mattina dopo altra alzataccia. Non prendiamo il pullman dell’Indian Airlines ma quello del nostro corrispondente. Arriviamo prima degli altri e prendiamo le carte d’imbarco. Ci sono due voli che partono per Leh, uno dopo l’altro. Incontro quelli che provengono dall’albergaccio. Mi dicono che era pieno di topi. Speriamo di arrivare a Leh. Andarci e non poter atterrare per poi tornare indietro un’altra volta sarebbe troppo. Fare un’altra alzataccia ancora sarebbe un suicidio. Penso a un altro piano, ma fortunatamente questa volta il tempo a Leh è sereno. Vediamo la valle sotto a noi e iniziamo la fase di atterraggio. La discesa su Leh è incredibile. Praticamente l’aereo, per poter atterrare in mezzo alle montagne, fa un discesa a spirale come se entrasse in un orrido. È veramente da mozzafiato e a dir poco… spettacolare. Il problema di non poter atterrare oggi non esiste quasi più, a meno che non ci siano condizioni climatiche veramente avverse. Venticinque anni fa c’era soltanto un albergo “decente” a Leh, un po’ decentrato, ma in un posto ameno e tranquillo. Era una struttura tipica del Ladakh con un bel giardino e bellissime vedute sulle montagne, ma le camere erano quasi indecenti. L’acqua calda era un lusso e il vitto insufficiente. Oggi l’albergo esiste ancora ed è completamente rinnovato, ben arredato e molto confortevole. In questi ultimi anni sono nati centinaia di piccoli alberghi.


Il Ladakh è molto gettonato da giovani europei, americani, australiani e israeliani. Senza mezzi di trasporto propri visitare i monasteri sparsi nella valle è problematico. Il trasporto pubblico è scarso e imprevedibile. Bisognerebbe noleggiare una jeep, ma per molti giovani è troppo caro e non è sempre facile da trovare in alta stagione. Questo è il problema numero uno per i ‘fai-da-te’.
Comunque, ritornando al passato, Leh era ancora un piccolo centro e si vedevano spesso le donne nei loro bellissimi costumi. Oggi le donne indossano il costume soltanto per le occasioni speciali, feste e matrimoni. La cittadina è cresciuta a dismisura, ma nonostante ciò è sempre affascinante, anche se un po’ troppo frequentata. È coronata dall’imponente Leh Palace.


Molti giovani ladakhi si trasferiscono da villaggi isolati della valle a Leh per trovare un po’ di fortuna. Considerano Leh come il primo passo per avvicinarsi alla ‘civiltà’ ed eventualmente trasferirsi a Jammu, la capitale dello stato di Jammu e Kashmir, di cui il Ladakh fa parte. Da Jammu il secondo passo è arrivare a Delhi. Comunque alcuni giovani che si trasferiscono a Leh dai villaggi a volte cominciano a frequentare cattive compagnie e sono attratti da alcool e droga e alla fine non concludono niente. Coi sogni infranti, spesso sono costretti a ritornare ai loro villaggi, distrutti. I giovani ladakhi che vogliono frequentare l’università si recano a Jammu mentre i figli dei più danarosi vanno a Delhi.
La valle del Ladakh cela monasteri, villaggi e paesaggi di una bellezza notevole. Il percorso da Srinagar a Leh è spettacolare com’è spettacolare il percorso tra Leh e Manali. Ne parlerò prossimamente. Cari saluti a tutti.

lunedì 13 luglio 2009

Da Turfan verso Dunhuang

Per riagganciarmi al racconto della settimana scorsa, proseguiamo il nostro cammino verso oriente sulla via della seta (o del buddhismo!).
Anche Turfan è diventata una città moderna: è un’oasi sotto il livello dal mare, all’ombra delle altissime vette del Tian Shan. Il sistema di approvvigionamento dell’acqua è stato un grande lavoro di ingegneria. I karez (cioè pozzo) sono corsi d’acqua sotterranei. L’acqua proviene dalla catena Tian Shan e viene incanalata in questi canali sotterranei dotati di pozzi, dai quali si può anche attingere l’acqua. Il declivio permette all’acqua di arrivare all’oasi senza impedimenti e con una corrente notevole. Il vantaggio di questi corsi d’acqua sotterranei è che c’è poca evaporazione. Si può visitare un karez. Come spesso succede, i cinesi e/o gli uiguri hanno trasformato una cosa naturale in una cosa artefatta, in una specie di luna park. Si paga l’ingresso. All’inizio del percorso si trova un piccolo museo con spiegazioni, foto e la storia dei karez, oltre ad un plastico che fa vedere la portata di questo incredibile lavoro. In effetti questo piccolo ‘museo’ è interessante. Si segue un percorso prestabilito dove l’acqua scorre veloce. Da entrambi i lati del karez si trovano banchi di souvenir. Questa commercializzazione toglie fascino alla visita, ma pensandoci, chi li può biasimare! Comunque credo che sia l’unica possibilità per vedere da vicino questo sistema di irrigazione.
C’è parecchio da vedere a Turfan anche se il centro ha perso il suo fascino. Chi l’ha visto trent’anni fa non lo riconoscerebbe più. I dintorni però sono sempre bellissimi. Il tragitto per raggiungere le grotte buddhiste di Bezeklik, attraverso le cosiddette montagne fiammeggianti, è spettacolare. Peccato che i cinesi abbiano fatto una specie di luna park lungo il percorso verso le grotte; ciò nonostante, il percorso rimane affascinante. Le grotte si trovano su una parete rocciosa sopra la valle di Mutou. Molti affreschi sono stati rovinati e altri portati via ma un paio di grotte contengono murali ancora ben visibili. Purtroppo anche qui la grotta più bella non viene aperta ed è quasi impossibile avere il permesso di entrare, anche facendo una domanda scritta alle autorità competenti. Questa è una politica adottata in tutti i siti rupestri.
Le rovine dell’antica città di Gaocheng, fondata dalla dinastia Liang, è un grande rettangolo (o è un quadrato?) circondato da mura. Fu completamente distrutta dai mongoli nel XII secolo. È suggestivo ma secondo me il posto più bello è l’antica città di Jiaohe, ora in rovina. Si trova su uno sperone circondato da una profonda valle. La storia della città si perde nella notte dei tempi. Nella parte nord si trovano templi buddhisti. Nella storia fu un centro religioso di grande importanza. Si trovano numerose case, pozzi e magazzini e, camminando lungo lo sperone, è facile perdersi nelle viuzze che s’intersecano come un labirinto.
Turfan è anche nota per il forte vento che soffia fino a cento chilometri all’ora. Il cielo diventa giallo. Quando il vento è particolarmente forte chiudono l’autostrada che collega Turfan ad Urumqi e Korla. L’anno scorso stavamo partendo per Korla. Arriviamo all’ingresso dell’autostrada e troviamo una fila di camion chilometrica. E' tutto fermo. Dopo un primo momento di confusione decido di fare la strada normale. L’autista è titubante perché il vento è talmente forte che solleva non soltanto la sabbia ma anche le pietre dal suolo. La guida locale chiama il nostro corrispondente di Urumqi che dice di essere d’accordo con me e di provare a fare la strada normale. Man mano che andiamo avanti e usciamo dall’oasi il vento diventa sempre più forte e la visibilità ridotta con spaventose raffiche di vento. La sabbia, che non è fine come il deserto del Sahara, bensì pietrisco, colpisce il pullman. Le macchine che provengono dall’altra direzione ci segnalano con i fari e con le braccia, forse per dirci di non continuare, ma continuiamo imperterriti. Finalmente usciamo dalla tempesta e proseguiamo. Davanti a noi una catena di montagne rosse, un paesaggio stupendo.
A Turfan (a 50 km dal centro) c’è la ferrovia. Da qui si prende il treno per Liuyuan per poi arrivare a Dunhuang. Si passa la notte sul treno in comode cuccette. Il giorno successivo si arriva a Liuyuan. Sembra un avamposto del ‘Far West’. Da Liuyuan si prende il pullman per Dunhuang. Siamo nella provincia del Gansu. Il percorso di 120 km è favoloso. Strane formazioni rocciose rosse, nere e verdi ci accompagnano. Sembrano delle opere d’arte piazzate li da qualcuno. Dunhuang è noto per le grotte buddhiste di Mogao. Sono le grotte buddhiste più belle in assoluto, direi tra le più belle del mondo. Dunhuang è diventata anch’essa una città ‘moderna’ senza carattere. Si trova alle propaggini del deserto del Gobi e tutt’intorno imperversa il deserto. Una grande attrazione sono le enormi dune. Sono effettivamente molto belle ma la visita ad esse è alquanto bizzarra. L’ingresso (sì c’è un ingresso e naturalmente è a pagamento) è indicato da una grande porta. E’un luogo molto gettonato dai cinesi e letteralmente grandi folle s’accalcano per entrare. Una volta dentro la gente si disperde ed è possibile fare una visita decente. E’ difficile camminare sulle dune, le scarpe affondano nella sabbia e si prosegue con difficoltà e soprattutto a fatica. Il momento migliore è verso il tramonto quando le dune si tingono di rosso, ma personalmente preferisco la mattina presto quando non c’è nessuno. Nessun commento ulteriore per le grotte affrescate. Sono talmente belle che non c’è bisogno di dire nulla. Andate a vederle e basta! Da Dunhuang si prosegue verso il fortilizio della grande muraglia e oltre. Riprenderemo i miei racconti a settembre.
Buona estate a tutti e un arrivederci a presto.

venerdì 3 luglio 2009

Da Kashgar a Turfan

Ritorniamo al nostro bellissimo viaggio da Islamabad (Pakistan) a Urumqi (Cina). Abbiamo già parlato ampiamente della parte pakistana e delle meraviglie del Karakoram. Siamo arrivati a Kashgar per agganciarci ad una delle diramazioni della via della seta. Potrebbe anche essere definita ‘”la via del buddhismo”, dove si è sviluppato il buddhismo proveniente dall’India. Quando si arriva a Kashgar dal Pakistan sembra di ritornare alla “civilità”.
Kashgar, che fu un importante nodo carovaniero sulla via della seta, è diventata una città modernissima. Anche il famoso mercato domenicale si è modernizzato e ha perso il suo fascino rispetto al passato. Ma esiste ancora la Kashgar contadina. Al centro, vicino alla grande moschea del venerdì, uscendo dalla ‘futuristica’ piazza, rimane un nucleo ‘vecchio’ con case fatte di fango seccate al sole. Ahimè, stanno scomparendo.Ci sono ancora i negozi artigianali dove tutto viene fatto a mano. Il governo ha costruito dei moderni condomini ma nessuno ci vuol andar a vivere. Non è vita per loro. Ma nella periferia, dove vivono i contadini, le case sono tradizionali con il cortile interno dove si trova il fico e la vigna e nel giardino ci sono tanti alberi da frutta e animali. Usano ancora il carro e i cavalli per recarsi nei campi.
Ma lasciamo Kashgar. Ne abbiamo parlato anche troppo nei precedenti racconti. Il percorso da Kashgar verso Turfan è oramai lungo una superstrada. Si viaggia veloce anche se ora ci sono tanti divieti di velocità. La polizia stradale è sempre in agguato. Per vedere le famose grotte buddhiste lungo la via della seta bisogna fare centinaia e centinaia di chilometri. La prima tappa è lunga ma veloce (un po’ meno di 500 km) da Kashgar ad Aksu. E’ un percorso di trasferimento. Non c’è nulla da vedere a parte le montagne brulle da una parte e il deserto dall’altra: si tratta del bacino del Tarim, dove si trova il fatidico deserto del Taklamakan. Anzi, le oasi si stanno allargando notevolmente grazie alle acque che scorrono giù dalle montagne e che permettono di estendere le coltivazioni. In effetti lungo quella strada si vede molto meno deserto e molto più verde rispetto ad una volta.
Bisogna usare la fantasia per visualizzare le carovane cariche di merci che viaggiavano in pace durante l'espansione dell’impero mongolo in tutto il continente asiatico (1215-1360), che diede stabilità economica e ristabilì l'importanza della Via della seta come mezzo di comunicazione tra Oriente e Occidente. Allora il cammino era arduo sia d’inverno con il freddo pungente che d’estate con caldo torrido e forti venti. Oggi Aksu (all’epoca della dinastia Han conosciuta come Kumo) è una città modernissima con viali larghi, grattacieli, negozi eleganti e alberghi quasi lussuosi. Non c’è niente che valga la pena di vedere. È interessante comunque perché Aksu rispecchia il ‘grande balzo in avanti’, per usare un termine di Mao,verso la più completa modernizzazione.
Aksu è un importantissimo centro agricolo noto soprattutto per la produzione del cotone. Oggi ci sono nuove industrie, soprattutto chimiche. Si lascia Aksu per prendere una strada secondaria attraverso un paesaggio molto bello verso le alte vette della catena Tianshan per arrivare a Kizil, un importante sito buddhista disseminato di grotte, alcune delle quali affrescate. Si trova in una bellissima posizione sopra il fiume Muzat. È un complesso molto grande. Purtroppo i custodi che ‘custodiscono’ le chiavi non ti fanno vedere le grotte più belle. Bisogna discutere con loro prima di fare il giro, ma spesso fanno orecchie da mercante. L’anno scorso, 2008, ho trovato un custode piuttosto ragionevole e abbiamo visto delle grotte affrescate molto importanti che normalmente non vengono aperte. Da Kizil si percorre una valle rocciosa di grande suggestione per arrivare infine a Kuqa, la cittadina più uigura, etnia turcofona, dello Xinjiang. Qui molti appoggiano gruppi panturchi vietati dal governo centrale di Pechino.
Kuqa, nonostante la lenta modernizzazione, è ancora affascinante. Anche i dintorni sono affascinanti, in particolare le grotte buddhiste di Kizilkara. Peccato che molti affreschi all’interno delle grotte siano rovinati. Quello che colpisce è il paesaggio: un paesaggio da Star Trek. Fantastico! Sembra di essere sulla luna o su marte. Difficile da descrivere. Nelle vicinanze di Kuqa si trova la città ‘perduta’ di Subashi. Anche qui il paesaggio è notevole, direi di grande suggestione, ai piedi di montagne severe e adagiata su un torrente dal letto molto largo. Non lontano da Kuqa si trova un altro sito buddhista rupestre, lungo una valle di una bellezza rara. Ci vuole un permesso speciale e bisogna richiederlo molto tempo in anticipo. Si prende il carretto trainato da un asino per arrivare alle grotte. Le grotte si trovano lungo un torrente che si divide in due e si cammina sul letto del torrente. Le grotte sono molto interessanti. Purtroppo la grotta più bella è interdetta. La visita vale la pena anche soltanto per il paesaggio. Da Kuqa si prosegue verso oriente per arrivare a Korla, una prefettura autonoma mongola all’interno della provincia dello Xinjiang.
Korla si estende verso nord fino alle alte praterie dove vivono i mongoli dediti alla pastorizia e all’allevamento di bestiame. Qui a Korla hanno scoperto il petrolio. È diventata una città ricchissima e modernissima. È incredibile. Sembra una Atlanta in miniatura. Ha dei palazzi moderni elegantissimi, boutique, grandi magazzini e giardini fioriti. L’anno scorso, facendo una passeggiata in centro dal nostro bell’albergo, ci siamo fermati in un negozio di tè. Non vendeva soltanto diversi tipi di tè ma anche teiere e tazzine di qualità: è un negozio che potrebbe stare benissimo sulla Golden Mile a Chicago o in Via Roma a Torino. Credo che a Chicago un negozio del genere avrebbe un successo strepitoso.
Anche a Korla, come ad Aksu,non c’è niente che valga la pena di essere visto dal punto di vista artistico. Ma la cultura non è solo arte. Osservare questo ‘castello’ nel deserto è impressionante. Ne ho già parlato in uno dei primi racconti. Quando ho visitato Korla più di vent’anni fa era un ‘paesone’ con i primi modesti tentativi di modernizzazione. Era un postaccio, squallido e triste. Oggi non posso più dire così. Non ci vivrei mai, ma ha una sua dignità. Si lascia Korla per recarsi a Turfan (scritto anche Turpan) che si trova in un bacino circondato da alte montagne, sempre parte della catena Tian Shan. La cosa impressionante è che si trova sotto il livello del mare. La temperatura in estate può raggiungere i 45 gradi. L’anno scorso ci siamo resi conto della forte calura quando abbiamo visitato la vecchia città fantasma di Gaocheng al pomeriggio, sotto un sole rovente. È stata un’esperienza indimenticabile! Continuerò il racconto del viaggio verso oriente più avanti.

Arrivederci alla prossima.

giovedì 25 giugno 2009

UN VIAGGIO IN INDIA

Un viaggio in India non è un solo viaggio, ma un’esperienza di vita.

Abbiamo già parlato di galoppate indiane per vedere più templi indù possibili, soprattutto nell’India meridionale, oltre ad esperienze di persone che, a fine corsa, non ne potevano più di arte religiosa indù. Superficialmente è vero che i templi indù possono essere ripetitivi. Se non è un tempio dedicato a Shiva è un tempio dedicato a Vishnu oppure ad uno dei suoi avatara (manifestazioni), oppure, ma meno frequente, a Kali o rarissimamente a Brahma. Non è molto dissimile alle chiese dedicate ai santi, se non è San Pietro e San Paolo la Madonna in tutte le sue manifestazioni. Ma certamente non si può dire che le chiese siano tutte uguali. Il fatto è che non si possono vedere cento templi o cento chiese in solo dieci giorni. Cioè, si possono vedere ma alla fine si rigurgita tutto, come una specie di indigestione.
La formazione del tempio indù è di grande interesse, così come la sua iconografia. Il concetto orientale è talmente lontano dalla nostra mentalità che fatichiamo a ricordare i nomi e gli attributi connessi a quella specifica divinità e soprattutto alle molteplici manifestazioni e ai ruoli che rivestono. Direi comunque che è l’insieme dell’arte e del pensiero indù, imprescindibile, che rende un viaggio in India indimenticabile.
Nel sud dell’India, è soprattutto la folla che rende la visita ai templi un’esperienza vivente e pulsante. Ne abbiamo già parlato. L’anno scorso, nel mese di marzo 2008, abbiamo fatto un fantastico viaggio chiamato “Arte del Tempio” attraverso l’India centro-settentrionale durante una importante festa indù. In primavera si celebra Holi. La festa coincide con la luna piena del mese di febbraio-marzo. È appunto celebrata con la holi, una mistura di acqua, calce e altro che i fedeli si spruzzano reciprocamente (ora hanno metodi più moderni). Oggi è connessa con la venerazione soprattutto di Krishna (manifestazione di Vishnu). È stato molto divertente esserci, anche se i ragazzini, come sempre, esagerano, e più volte siamo stati colpiti dalla mistura. Una compagna di viaggio è stata spruzzata sui capelli con un colore blu-verde. Il colore non è indelebile, fortunatamente, e si toglie gradualmente lavandosi i capelli. Devo dire che stava assai bene: era un po’ sbarazzina.
Trovarsi in India durante una festa rende la visita ancora più interessante e piacevole. L’Induismo è caratterizzato da un grande eclettismo. Affascina non perché vuole convincerti che sia la “verità” (per i Cristiani l’Indusimo è pura idolatria), ma perché suscita la voglia di un approfondimento, per capire la loro mentalità, il loro modo di essere e soprattutto per trovare un punto d’incontro. Un viaggio in India ti aiuta ad aprire gli orizzonti. Anche se vuoi solo fare una bella vacanza spensierata, prima o poi sei costretto a riflettere. L’impulso è troppo forte.
Fede, filosofia, credo, religione: che cos’è l’induismo? Lasciamo ai nostri esperti rispondere. Il viaggio “Arte del Tempio” dall’Orissa a Maharasthra è stato una galoppata attraverso un vasto territorio dell’India centro-settentrionale: in treno, in aereo, percorrendo strade indiane, con tutti i ritardi e gli inconvenienti possibili. Ma questi disagi non appesantiscono, al contrario arricchiscono un viaggio in India. In questo modo si riesce a capire, almeno in parte, quello che gli indiani devono sopportare quando viaggiano, come reagiscono in certe situazioni, la loro personale filosofia e visione della vita. Diventa inevitabile fare un confronto con noi stessi. Un viaggio in India non può essere spensierato. Al contrario, è un viaggio dentro noi stessi, per scoprire ciò che siamo veramente. Non parlo di credo, naturalmente, ma di “animo”, la forza d’animo (o resilienza) è ciò che siamo realmente nel profondo; il modo in cui reagiamo alla “realtà indiana” (o è meglio chiamarla “irrealtà”) ci rivela i nostri intimi segreti e i pensieri reconditi.
L’alba in India è il momento più magico. È il momento di fare riflessioni sulla propria esistenza. Il famoso poeta Tagore scrisse (cito parzialmente):
Ogni Alba porta un nuovo giorno,
lavando con la luce della speranza
le macchie e la polvere dello spirito
vuoto di ogni giorno passato.
Vuoi celare te stesso!
Il cuore non ubbidisce,
diffonde luce dagli occhi.
Nella vita non c’è speranza
di evitare il dolore:
che tu possa trovare nell’animo
la forza per sopportarlo.

Sì, è proprio vero. Alla prossima!

venerdì 12 giugno 2009

Gujarat

Continuiamo la nostra conversazione sul sub-continente indiano e parliamo dello stato dov’è nato Gandhi.Nell’India Occidentale, il Gujarat è uno degli stati più ricchi e avanzati del paese. Con le più grandi imprese e industrie dell’India , è la spina dorsale del benessere della nazione. Pensate: nel solo Gujarat viene pagato circa il 27% delle tasse dell’intero paese! Senza il Gujarat e Bombay la nazione sarebbe in ginocchio.
Il Gujarat è poco conosciuto dal turismo ‘internazionale’ forse perché è molto meno ‘folcloristico’ del suo vicino il Rajasthan e apparentemente offre molto meno. In effetti ha meno monumenti importanti da vedere rispetto ad altre zone più canoniche dell’India. Direi che è più per intenditori, per coloro che conoscano già l’India e che vogliono completare la visione d’insieme di questo meraviglioso paese. Mahatma Gandhi nacque a Porbandar, città lambita dal mar Arabico. Ha l’aspetto di una città moderna senza né capo né coda. L’unica cosa che potrebbe interessare è la sua casa natale, Kirtim Mandir, che è stata trasformata in museo.Non amo fare compere ma riconosco la superba qualità dell’artigianato nel Gujarat, tra la migliore dell’India. Vale la pena andarci anche soltanto per fare le compere. La rete stradale è generalmente ottima. Le infrastrutture alberghiere molto meno. Nel Gujarat esiste una folta comunità jainista, che ha in mano buona parte della ricchezza dello stato.
Nonostante le ottime strade veloci, nel Gujarat bisogna camminare. Camminare? Sì, ci sono due montagne sacre: la collina di Girnar, sacra sia agli induisti che ai jainisti, e la collina di Shatrunjaya, dove si trova Palitana, il luogo sacro per eccellenza del jainismo. In entrambi i casi bisogna fare migliaia di scalini per arrivare sulla vetta dove si collocano innumerevoli templi, alcuni antichi come, ad esempio, il triplice tempio (XII sec) sul monte Girnar risalente alla dinastia Solanki, ma purtroppo mescolati con altri templi costruiti l’altro ieri. I templi più antichi del monte Shatrunjaya (Palitana) risalenti al XI secolo sono stati completamente distrutti dai musulmani e non esistono più. I più antichi risalgono al XVI secolo. Ci sono anche dei portatori dotati di portantine, non particolarmente comode, ma evitano la fatica della salita. Si paga in base al proprio peso! Se sei magro avrai due portatori, se sei grasso quattro!
La capitale dello stato, Gandhinagar, è una città moderna e priva d’interesse. La città più conosciuta e anche più popolosa del Gujarat è Ahmedabad, l’ex-capitale. E' disordinata e brutta ma nasconde dei piccoli, grandi ‘tesori’: ad esempio, moschee bellissime dove i materiali dei templi indù abbattuti sono stati riutilizzati per creare dei monumenti islamici di grande suggestione e interesse. Mahmud di Ghazni (979-1030) è rimasto famoso nella storia del Gujarat per le sue spedizioni ‘punitive’ contro i regni indù (ho parlato di lui nel mio racconto della Valle dello Swat in Pakistan). Ogni volta che metteva piede nell’India occidentale, distruggeva templi e luoghi sacri. Il riutilizzo del materiale dei templi indù per la costruzione di moschee era una pratica molto diffusa.
Ahmedabad ha anche dei musei importanti: di scultura, di miniatura, di stoffe antiche (Calico). C’è ancora un’altra sorpresa: i baoli, cioè pozzi a gradini. Ma che pozzi! Sono delle costruzioni sotterranee complesse. I muri interni dei pozzi (molti dei quali sono oramai asciutti)sono scolpiti con disegni vegetali e sculture religiose indù. Il pozzo a gradini più spettacolare si trova ad un centinaio di chilometri da Ahmedabad, nei pressi di una bella cittadina agreste. Il pozzo è di una bellezza sconvolgente. Sembra un grande tempio indù sotterraneo. È talmente fitto di sculture finemente scolpite che c’è da rimanere attonito dalla bellezza. La prima volta che l’ho vistato continuavo a ripetere: “Non è possibile,non è possibile!”. Si tratta di un vero “museo” del pantheon induista: un posto dove si potrebbero fare delle ottime lezioni sull’iconografia induista!
Un altro posto magnifico è il tempio del Sole (Surya) a Modhera, risalente al regno dei Solanki, coevo più o meno al pozzo. È un po’ rovinato dal tempo, ma l’architettura è complessa e esso è letteralmente coperto di sculture. La pietra è arenaria rossa, che col sole risalta notevolmente. Di fronte si trova un enorme bacino, tutto rifatto, ma di una bellezza straordinaria. A volte i templi indù sono un pochino pesanti, carichi, ma questo tempio dedicato al sole è di una finezza inimmaginabile. La lista delle meraviglie non è finita!
Sicuramente avete sentito parlare della civiltà di Harappa e dell’Indo. Tra Ahmedabad e Bavnagar, nelle vicinanze del golfo di Cambay, si trova il sito harappano di Lothal. A suo tempo era un fiorente porto che trafficava con l’Asia occidentale e l’Africa. I resti sono pochi, ma gli archeologi hanno ricostruito il bacino dove entravano i battelli, collegato al vecchio corso del fiume Sabarmati. Si trovano resti di case, granai, un pozzo e un sistema di fognature. Forse il sito è più avvincente per gli esperti, un posto magico. C’è anche un piccolo museo polveroso dove non si può fotografare (forse bisogna corrompere i guardiani con una mancia). L’unica cosa che si può fotografare è un quadro della veduta del sito come doveva essere nel suo splendore, che si trova di fronte all’ingresso.
La lista delle cose da vedere non è finita, ma ne parleremo un’altra volta. Ci sono dei pareri discordanti sul Gujarat: “È bello”; “Non è bello”; “Non c’è niente da vedere”:; “È interessante, ma bastano pochi giorni”, ecc...
Personalmente credo che sia per palati ‘fini’. E’ vero che non c’è una sequenza di grandi monumenti, ma alcuni sono veramente strepitosi. È vero che ci sono degli ampi momenti ‘vuoti’, ma questo non guasta. Direi che il Gujarat è fatto di sensazioni, un insieme di cose che rende la visita molto piacevole: l’assenza di turisti, prima di tutto; il contrasto fra la ricchezza industriale e agricola; i monti sacri, i templi e certamente i pozzi oltre alle moschee e musei!
Ricordo sempre con piacere l’incontro con monache jainiste vestite di bianco e scalze. Mentre noi salivamo a Palitana loro scendevano dalla montagna ‘sacra’ (vanno su prima dell’alba). Sembravano delle ‘apsare’, ossia creature volanti, esseri quasi irreali, così leggere e femminili. Era una gioia incontrarle, fresche, serene e sorridenti. Al contrario, noi sudavamo come delle bestie guardando su e brontolando all’idea di dover fare ancora tanti scalini prima di arrivare in cima! Come mai i turisti brontolano sempre?

venerdì 29 maggio 2009

LA VALLE DELLO SWAT - PAKISTAN

La Valle dello Swat in Pakistan sta passando un bruttissimo momento. Il governo sta combattendo una cruciale battaglia a Mingora, città capoluogo dello Swat, per liberarla dai Talebani e per prendere pieno controllo della città e della valle. Ci vorrà comunque tempo per sgominarli dalla regione, che confina con l’Afghanistan. Purtroppo molti civili sono stati coinvolti con la perdita di molte vite umane e migliaia sono in preda al panico.

La valle dello Swat è una valle idilliaca, assomiglia un po’ alla Val Brembana nel bergamasco, anche se la valle dello Swat è più esotica e certamente più evocativa. Sono stato diverse volte a Mingora e nella valle. Chi ha fatto un viaggio in Pakistan con noi probabilmente si ricorda la valle. La cittadina di Saidu Sharif è attaccata a Mingora. A Saidu Sharif, cittadina dove si pernotta, c’è un bellissimo albergo coloniale che ti porta indietro nel tempo.

Storicamente lo Swat è stata una regione molto importante. Fu attraversato da Alessandro Magno che vi conquistò una roccaforte (oggi Udegram). Dal II secolo divenne una regione fervidamente buddhista. Padmasambhava nacque nella valle dello Swat nell’VIII secolo. È considerato il primo e più importante diffusore del buddhismo in Tibet, particolarmente del Vajrayana, e il fondatore del buddhismo Tibetano. La conquista islamica si deve al famoso e terribile sultano Mahmud di Ghazni (Ghazni in Afganistan) all’inizio dell’XI secolo. Mosse contro il nord-ovest del sub-continente indiano una guerra devastante e predatoria. Forse sanno che nella valle dell’Indo e in territorio afgano, la Missione Archeologica dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente di Roma (IsIAO, in precedenza IsMEO) opera da più di cinquant’anni. L’attività di ricerca italiana fu promossa a partire dal 1955 dal grande orientalista Giuseppe Tucci. Gli scavi avviati nelle aree sacre di Butkara, Panr e Saidu Sharif portarono alla luce molte sculture appartenenti all’arte del Gandhara e diedero un contributo fondamentale alla conoscenza dell’architettura e dell’arte buddhista. Nel 1963 la missione creò il Museo Archeologico di Saidu Sharif dove si trovano tutt’ora capolavori dell’arte Gandhara.

Il fiume Swat scende dalla catena montuosa himalayana del Hindu Kush e scorre di fianco a Mingora. Qui ha un letto molto ampio e, percorrendo la strada che va a monte, ci sono delle vedute grandiose del fiume. Quante volte ho fatto la strada da Mingora nella alta valle dello Swat, dove termina la strada carrozzabile! L’ultimo avamposto si chiama Kalam, da dove si gode un panorama di vette innevate alte 6000/6500 metri. Percorrendo la strada verso Kalam (piena di buchi) si segue sempre il corso del fiume. La prima parte è densamente popolata e il paesaggio è abbastanza ordinario. Una volta i paesi lungo il fiume oppure appena sopra il fiume erano affascinati. Le case avevano delle bellissime porte d’ingresso in legno di albicocco (credo) intarsiati finemente, alcune ‘antiche’ anche di cent’anni. Purtroppo sono stati tutti venduti agli antiquari. Poi c’erano delle moschee lignee di grande fascino. Oramai non ci sono più, cioè le moschee ci sono ancora, ma i pilastri intarsiati sono stati venduti o abbattuti e sostituiti con colonne di cemento. Che peccato!

Nell’ultimo viaggio che abbiamo fatto in Pakistan, nel 2006, abbiamo tolto l’escursione a Kalam per le ragioni indicate sopra: non vale più la pena. Sì, è vero che Kalam è bella ma se la giornata è nuvolosa si rischia di non vedere le vette innevate. Il viaggio poi prosegue sulla famosa Karakorum Highway (che ho già descritto nei miei racconti più volte) e di vedute stupende e di vette innevate non c’è fine.

Ritornando a Mingora, coloro che ci sono stati ricordano il mercato lungo la strada maestra. La strada è stretta e da entrambi i lati ci sono negozi di ogni genere per almeno un chilometro, se non di più. È un postaccio. Gli edifici sono fatiscenti e cadenti, ma non solo. Passano camion e corriere, spesso fanno fatica a passare, e il mercato diventa una camera a gas, irrespirabile. Saidu Sharif invece è più spostata all’interno. Dove si trova l’albergo, Swat Serena Lodge (facciamo un po’ di pubblicità per solidarietà) c’è molto verde e molta pace. È un edificio coloniale bianco con all’interno un ampio cortile con giardino. Mi ricordo con nostalgia di aver sorseggiato un ottimo te con biscotti seduto sulla poltrona di vimini nel giardino. Non si può bere Gin tonic perché l’alcol è proibito in Pakistan.

Mingora ora è completamente accerchiata dall'esercito del governo centrale, dove sono rimasti intrappolati migliaia di civili e dove è stato imposto il coprifuoco. In questo momento, difficilissimo per la popolazione della valle, pare molto lontano quello che disse negli anni Venti il giovane Winston Churchill, ufficiale dell’esercito britannico in visita: “Stando qui capisco perché scrivete tante poesie”.

lunedì 25 maggio 2009

LE MERAVIGLIE DEI PAMIR E LA DISCESA VERSO KASHGAR

Un volta superato il valico tra Pakistan e Cina sulla Karakorum Highway si scende a Tashkorgan, il primo paese di una certa importanza venendo dal passo Khunjerab. Infatti è qui che si fa il vero controllo polizia e dogana per l’ingresso in Cina. Si trova a più di 3000 metri d’altezza, con strade dritte alla cinese con tanti palazzi coperti di quelle piastrelline rettangolari bianche. È un posto desolante. Sarebbe un avamposto tagiko, anche se rimane in territorio cinese, ma sembra che ora siano in minoranza rispetto ai cinesi Han. Credo che la cittadina si ravvivi un po’ di sera, dopo il tramonto, dove si trovano locali a ‘luci rosse’. Ho sentito che le ragazze si offrono per 30 yuan. Personalmente non sono mai uscito di sera a Tashgorkan. A me sembra una cittadina fantasma. Ultimamente sono sorti edifici modernissimi come se Tashgorkan volesse gareggiare con Shanghai! Sembrano veramente fuori luogo e aumentano la sensazione di spettralità della cittadina.
Sulla collina c’è una fortezza. Rimangono praticamente solo le mura. Se la giornata è bella e limpida forse vale la pena salire per godere il panorama, altrimenti è meglio lasciar stare, perché durante il percorso verso Kashgar il paesaggio è talmente bello che non salire alla fortezza non toglie niente a quello che si vede lungo la strada. Comunque è sorprendente il contrasto tra il paesaggio maestoso dei Pamir e questa cittadina angosciante. L’albergo che normalmente viene assegnato ai turisti non è terribile e poi l’edificio è ricoperto di quei famosi petrini bianchi che danno una certa sicurezza, come se si fosse protetti dall’armata rossa! Certo la manutenzione è quasi inesistente, perciò perdite dai rubinetti, macchie sulla moquette, porte che chiudono male o che non chiudono sono all’ordine del giorno. D’altronde gli alberghi sono chiusi praticamente otto mesi all’anno!
Non è il caso di rimanere a Tashgorkan più di una notte. È consigliabile partire subito all’alba per Kashgar. Lungo la strada, nuvole permettendo, si vede un massiccio enorme, completamente bianco, che venendo dal sud sembra un enorme panettone o, più romanticamente, una grande e immensa cupola. È la vetta del Muztagh Ata (7546 m). La strada le gira intorno per arrivare infine al lago Karakul (lago nero). Il lago è diventato un luogo turistico gettonato da cinesi. È rovinato da un brutto ristorante vicino alle rive del lago e da un filare di yurte (alcune bruttissme), una specie di albergo, dove si può dormire. Si può noleggiare un cavallo e fare il giro del lago, almeno in parte.
Quando c’è il sole il lago ha un colore blu intenso e le montagne che si rispecchiano dentro formano un ‘quadro’ idilliaco, ma quando il cielo è coperto il lago diventa nero e minaccioso. Si rispecchia nel lago non soltanto il monte Muztagh Ata, ma anche il monte Kongurshan (7719). È una cosa da non credere, di una bellezza straordinaria. Le poche brutture del turismo che hanno preso forma sulle rive del lago (soltanto dalla parte della strada fortunatamente) spariscono, perché la maestosità del posto è talmente schiacciante che ti travolge. Certo se il cielo è coperto è meno spettacolare. In effetti, non sarebbe una cattiva idea dormire in yurta sul lago (soffrire una notte può essere benefico!). Normalmente al mattino presto il cielo è pulito e l’atmosfera tersa, il momento giusto per godere appieno il panorama.
Si prosegue per Kashgar e da un’ampia vallata la strada lentamente scende in mezzo ad uno stretto canyon con pareti rocciose di un color rosso acceso, che sembrano dipinte per quanto sono rosse. Ora i cinesi hanno costruito una nuova strada ma prima il percorso era assai arduo e difficile. In questa grande vallata tutti i corsi d’acqua che provengono dalle alte montagne formano mille rivoli e spesso la vecchia strada era sott’acqua. La discesa verso Kashgar è fenomenale perché i colori della roccia sono incredibili. Alcuni sono di un rosso intenso, quasi cremisi. Da Islamabad (Pakistan) a Kashgar (Cina) l’intero percorso è una specie di meraviglia. Credo che nessun percorso in tutto il mondo sia così bello come questo. Qualcuno mi potrebbe smentire e sarei lieto di ricevere le vostre indicazioni. Prima di arrivare a Kashgar s’incontrano diverse oasi formate da strade dritte fiancheggiate da filari di pioppi anche in doppia fila. Qui troviamo gli uiguri, l’etnia turcofana che costituisce una bella fetta della popolazione nella provincia autonoma del Xinjiang (Sinkiang).
Sono villaggi ridenti pieni di frutta nella stagione estiva, fatti di case basse che da fuori sembrano insignficanti ma dentro hanno un cortile interno con tralci di vite e giardini pieno di alberi da frutta, animali da soma, galline e tutto quello che occorre per vivere una vita ‘serena’.
Kashgar è molto lontana da Pechino e anche da Urumqi, la capitale della provincia. Le alte montagne impediscono un passaggio veloce verso la vicina repubblica Kirghisa e il Tajikistan ma dopo aver attraversato alti passi di montagna, strade interrotte da frane, corsi d’acqua che invadono la strada e pericoli vari, non sembra di essere in un posto così sperduto ma quasi in una metropoli! È strano come tutto sia relativo!
Vorrei lasciarvi con una descrizione di Kashgar dell’inizio del ventesimo secolo, quando si trovava al centro di un conflitto sottile tra russi e britannici per il controllo dell’area, il cosiddetto “Grande gioco”. La Sig.a Catherine Macartney, moglie dell’agente britannico George, trascorse 17 anni a Kashgar, e descrive nel suo libro ‘Chini Bagh, una lady inglese nel Turkestan cinese’, le sue esperienze. “È una fatica improba farsi strada fra la calca della gente, in parte a piedi e in parte su asini o cavalli così carichi di fieno che si vedono soltanto il naso e gli zoccoli”. In effetti quando c’è il mercato domenicale è ancora così ma oramai sono soprattutto le moto a intasare le strade più che i carretti!
Ancora oggi però, come ai tempi della Catherine, gridano “Posh, Posh!” (“Largo, largo!”).

giovedì 14 maggio 2009

HUNZA - PAKISTAN

Hunza è uno dei luoghi più belli della terra. È raggiungibile da Islamabad lungo la famosa, tremenda, terrifica ma bellissima, affascinante, strepitosa Karakoram Highway. Il capoluogo di Hunza è Karimabad. Ecco il forte di Baltit, l'antico palazzo del mir (il principe) di Hunza, appollaiato in cima a un'antica morena, all'ombra dell'Ultar (7.388 metri), che domina il paese agricolo di Karimabad. Lo spettacolare paesaggio è mozzafiato e circondato da maestosi rilievi, come il Rakaposhi (7.788 m), l'Ultar Sar (7.388m) e il Bojahagur Duanasir II (7329m). Sotto invece si trova un altro forte, il forte di Altit. Dalla veranda traforata del forte di Altit, su una rupe che strapiomba per 300 metri sul fiume Hunza, si ha una bellissima veduta sul villaggio di Altit e dal mese di agosto gli abitanti mettono a seccare le albicocche sui tetti piatti delle case. Il villaggio è interessante perché è un groviglio di case, tutte con i tetti piatti, con strettisssimi passaggi che s’intersecano, un vero labirinto di viuzze. Sembra dall’alto che le case siano tutte collegate. È bello vedere le albicocche, di un arancione vivace, i panni colorati stesi e le cataste di legno tutti insieme sui tetti delle case. Gli abitanti non gradiscono i curiosi che li guardano dalla veranda e non vogliono assolutamente fotografi, diventano cattivi.
Gli abitanti di Hunza vivono molto a lungo, chi dice che è la dieta, chi l’isolamento, chi l’aria pura, ma probabilmente il segreto della longevità è nell’acqua. Dipende da certi minerali presenti nell’acqua che proviene direttamente dai ghiacciai. Questi minerali posseggano una elevata carica elettrostatica e delle proprietà fisiche specifiche. Diversi studi sono stati fatti a questo proposito, non sono mie fantasie. Il romanzo di James Milton, Orizzonti Perduti, è ambientato a Shangri-La, un monastero tibetano, che alcuni associano a Hunza. In realtà, James Milton si ispirò alla narrazione dei Padri Evariste Regis Huc e Joseph Gabet (nel 800), ferventi missionari, che percorsero l'Asia centrale attraversando il nord della Cina, la Mongolia e il Tibet fino a giungere a Lhasa nel 1846. Nel romanzo la lamaseria di Shangri-La si trova torreggiante sulla valle della luna blu dove gli abitanti conducono una vita immuni da malattie e dallo scorrere del tempo: forse per questo alcuni pensano a Hunza.
Bisogna dire che il Nord del Pakistan è un mosaico: agli Ismailiti di Hunza (l’Aga Khan è l’imam), si affiancano i musulmani sciiti e sunniti. E tra questi ultimi bolle il fondamentalismo. A Gilgit, capitale della regione, l’atmosfera è pesante per i continui tafferugli tra sciiti e sunniti. Diversamente da Hunza, dove la situazione è calma e l’atmosfera rilassante e piacevole. L’Aga Khan ha fatto moltissimo per gli abitanti di Hunza. La Fondazione Aga Khan ha dato vita, nel 1982, al suo programma di sviluppo rurale. Sono stati scavati centinaia di chilometri di nuovi canali d´irrigazione e nuove strade di montagna. La valle diventa sempre più verde e sempre più produttiva grazie ai questi importanti lavori. Il contrasto è notevole: le vette innevate, i ghiacciai, le aspre pareti di roccia senza vegetazione e infine il verde della valle, grazie ai canali che provengono dalla neve perenne e i ghiacciai che alimentano un’agricoltura rigogliosa. Stupende le albicocche e le pesche, le più buone, succose e dolci mai mangiate!Amo la poesia e particolarmente R.Tagore, il noto poeta bengalese, e vorrei terminare il racconto della valle di Hunza con una sua bella poesie sulla montagna:

La tua vita è giovane, il tuo sentiero lungo;
tu bevi in un sorso l'amore che ti portiamo,
poi ti volgi e corri via da noi.
Tu hai i tuoi giochi e i tuoi compagni.
Non vi è colpa se non ti resta tempo per pensare a noi.
Noi, invece, abbiamo tempo nella vecchiaia
di contare i giorni che son passati, di rievocare
ciò che le nostre annose mani hanno dimenticato per sempre.
Il fiume corre rapido tra gli argini, cantando una canzone.
Ma la montagna resta immobile, ricorda e veglia col suo amore.