giovedì 29 luglio 2010

RICORDARE RAKAPOSHI E LA CATENA DEL KARAKORAM IN PAKISTAN


Ogni estate la mia mente e soprattutto il mio cuore mi portano a pensare alla catena Karakoram, una delle splendenti catene montagnose del Pakistan e del mondo. Ne ho parlato più volte nei miei racconti. Gesù disse nel Vangelo che “la bocca parla dall’abbondanza del cuore” ed è proprio vero! È un pensiero fisso, quasi ossessivo, ma vi assicuro la bellezza della catena è mozzafiato. Il percorso da Islamabad al confine cinese è un sogno dove si trovano le più alte e le più potenti vette della terra. Prima del 1860 si sapeva pochissimo delle sue svettanti cime, dei suoi profondi orridi e delle bellissime valli idilliache ivi nascoste. È vero, di lì passarono monaci buddhisti tra il V e il VII secolo d.C., ma il loro peregrinare non fu noto fino alla seconda metà del 19esimo secolo. Ancora non si sa con esattezza il percorso che seguirono questi monaci. Ci sono testimonianze lungo il Karakoram, a Chilas e a Gilgi,t di petroglifi e graffiti rupestri lasciati da invasori, commercianti e pellegrini che mostrano animali, uomini stilizzati, scene di caccia (dove gli animali sono più grandi degli uomini). Uno in particolare che colpisce è l’incisione di uno stupa buddhista. Marco Polo attraversò i Pamir da Balkh a Kashgar passando nelle vicinanze del Karakoram nel XIII secolo d.C. e i suoi racconti furono conosciuti dai viaggiatori del diciannovesimo secolo anche se scrisse soltanto alcune pagine su questa parte del suo viaggio. Il primo individuo che cercò di esplorare questa zona fu Godwin Austen nel 1861, Surveyor-General del Governo Britannico in India. Esplorò la regione del K-2 e trovò un passaggio verso il K-2. Un pochino più tardi furono esplorati Chilas, Gilgit e Chitral. Nel 1887 Sir Francis Younghusband raggiunse il passo Muztagh e per la prima volta scoprì i più grandi ghiacciai attraversando Hispar e Biafo fino a raggiungere il capo di Baltoro. Nel 1909 il Duca d’Abruzzi esplorò i ghiacciai intorno al K-2 tanto che una delle facciate del K-2 è ancora conosciuta come Abruzzi Ridge (Cresta Abruzzi). Il fatto è che la catena del Karakoram è difficile da raggiungere, ben nascosta e protetta da immani barriere montagnose: l’Himalaya a sud-est, Hindu Kush a sud-ovest, la catena Kun Lun cinese a nord, i Pamir a ovest e l’alto e desolato plateau del Tibet a est. Per secoli il Karakoram è rimasto inaccessibile! Questa catena è fenomenale. Mentre altre catene possono essere penetrate, conquistate da reti stradali e ferroviarie, non è così nel Karakoram dove ci sono poche strade che sono difficili da tenere aperte per frequenti smottamenti, frane e slavine. È assolutamente impossibile costruire una ferrovia. Infatti queste montagne sono così maestose che possono essere sorvolate ma non scavate o imbrigliate, possono essere occasionalmente scalate ma mai addomesticate, tracciate ma raramente attraversate. Una delle montagne più potenti del Karakoram è Nanga Parbat (8125 m) chiamata dai locali Diamir, che significa dimora degli dei. Nanga Prabat (sembra una catena montagnosa anziché una vetta) è avvolta da leggende spettrali ed è chiamata la montagna-assassina anche perché decine di alpinisti hanno perso la loro vita tentando di scalarla. Potrei andare avanti per ore, ma credetemi il paesaggio è talmente avvincente ed emozionante che ti prende nel profondo. La natura è sovrana ma non dimentichiamo della gente che vive in questa realtà. Le valli sono coltivate a orzo, avena e miglio e ci sono allevatori di bestiame. Ci sono dei gruppi che conducono una vita nomade e semi-nomade. Sono dediti ad allevamento di yak, pecore e capre. Circa il quaranta percento della popolazione nella zona di Gilgit e del Batistan professa l’Islam ismailita (ismaili) una ‘variante’ sciita moderata e moderna che fa capo all’Agha Khan come capo spirituale. Il trentanove percento sono sciiti e il diciotto percento sunniti. Ci sono dei grossi contrasti e attriti ma ne ho già parlato in racconti precedenti. Prossimamente andrò in Karelia con un nostro gruppo. Se non riesco a scrivere un altro racconto prima della fine del mese di luglio ci sentiremo alla fine di agosto!

mercoledì 14 luglio 2010

L'INDIA: UN PAESE INCREDIBILE

È da un po’ che non scrivo, forse è il caldo oppure non mi vengono idee dato che ho raccontato un sacco di esperienze e non vorrei ripetermi! Il mio pensiero va sempre verso l’India, credo che sia una vera passione... o è una mania? Ho sempre detto e dico ancora che l'India è un paese incredibile e non smette mai di stupire. Ho due "curiosità" che vorrei condividere. Nel Rajasthan esiste un gruppo chiamato Rabari: sono allevatori di cammelli. Nel villaggio di Auwa, in mezzo ai cenotafi dei nobili rajput Thakur, si trova una semplice tomba senza nome che, secondo la tradizione, appartiene da un ufficiale britannico: il Capitano George Heny Monck Mason della fanteria nativa bengalese (Bengal Native Infantry), morto nel 1857 durante la grande rivolta dei Sepoy. Ma la cosa più bizzarra è che gli allevatori di cammelli, i Rabaris, si recano alla tomba per pregare e donare fiori. Non c’è nessuna evidenza tangibile (iscrizioni o simili) che provi che il povero ufficiale Monck sia effettivamente sepolto lì sotto, ma nella chiesa di San Giacomo a Delhi si trova una tavoletta che ricorda l’uccisione dell’ufficiale proprio ad Auwa da parte dei Sepoy. Inoltre, nel cimitero di Wicklow in Irlanda, c'è un’iscrizione di marmo che lo menziona. Il luogo della sua sepoltura però non è menzionato da nessuna parte. Comunque i Rabaris cantano inni davanti alla tomba inneggiando agli Inglesi. Uno di questi recita “ Gli Inglesi portarono un carro di acciaio che poteva correre su rotaie senza buoi. Oh! Britannici, le vostri doti furono troppo grandi!”. Accendono incenso e offrono noci di cocco!

Un’altra curiosità è il problema dei rapimenti nel Bihar di giovani ragazzi da parte di potenziali suoceri/e. Questa pratica - cioè rapire ragazzi per farli sposare alle loro figlie - è diventata una consuetudine affermata e nota sotto il nome di ‘Pakaraua Vivah’, che letteralmente significa “cattura" e "sposare a”. Per esempio, nel maggio del 2009 alcuni uomini armati rapirono Prasad mentre usciva dall'allenamento. Fu portato nel tempio in un distretto lì vicino e fu obbligato - con un'arma da fuoco puntata addosso - a sposare la tredicenne Babita. Le due famiglie devono ancora accordarsi. Un’altra vittima fu Vikash Kumar (17 anni, figlio di un capo villaggio) che fu rapito e costretto a sposare Juli, una studentessa. Kumar, che adesso frequenta le scuole superiori, ha accettato Juli come sua moglie e suo padre ha raggiunto un accordo con i suoceri del ragazzo. Le cerimonie vengono video-registrate per dare prova dell’unione. I sacerdoti del tempio del villaggio cooperano pienamente con la famiglia della ragazza rilasciando un certificato di matrimonio... è tutto documentato! Questi rapimenti ormai sono accettati senza battere ciglia. La ragione principale per cui avvengono è il problema della dote. Di solito, è la famiglia dello sposo che si occupa di organizzare il matrimonio e di far fronte agli oneri finanziari. Per questa ragione richiede alla famiglia della sposa una dote incredibilmente esuberante e costosa. I genitori della ragazza devono svenarsi per fare fronte alla dote, perciò hanno adottato delle misure drastiche per far fronte a questa situazione: rapiscono lo sposo perché non possono permettersi di mettere insieme una dote decente per il matrimonio della figlia! Molti di questi matrimoni forzati comunque vanno avanti. Le dispute che ne derivano tra le due famiglie vengono risolte dagli anziani del villaggio. È soprattutto tra le caste più alte che avvengono questi rapimenti ma la pratica sta prendendo piede anche tra le caste più basse dove la richiesta di una dote esorbitante si è impennata. Perciò è più facile rapire il ragazzo che parlare con la famiglia del ragazzo perché risulta meno costoso che dare la dote richiesta dalla famiglia dello sposo. In realtà questi matrimoni resistono perché non sono dissimili dalle unioni ‘tradizionali’ dove gli sposini non hanno voce in capitolo.