lunedì 13 luglio 2009

Da Turfan verso Dunhuang

Per riagganciarmi al racconto della settimana scorsa, proseguiamo il nostro cammino verso oriente sulla via della seta (o del buddhismo!).
Anche Turfan è diventata una città moderna: è un’oasi sotto il livello dal mare, all’ombra delle altissime vette del Tian Shan. Il sistema di approvvigionamento dell’acqua è stato un grande lavoro di ingegneria. I karez (cioè pozzo) sono corsi d’acqua sotterranei. L’acqua proviene dalla catena Tian Shan e viene incanalata in questi canali sotterranei dotati di pozzi, dai quali si può anche attingere l’acqua. Il declivio permette all’acqua di arrivare all’oasi senza impedimenti e con una corrente notevole. Il vantaggio di questi corsi d’acqua sotterranei è che c’è poca evaporazione. Si può visitare un karez. Come spesso succede, i cinesi e/o gli uiguri hanno trasformato una cosa naturale in una cosa artefatta, in una specie di luna park. Si paga l’ingresso. All’inizio del percorso si trova un piccolo museo con spiegazioni, foto e la storia dei karez, oltre ad un plastico che fa vedere la portata di questo incredibile lavoro. In effetti questo piccolo ‘museo’ è interessante. Si segue un percorso prestabilito dove l’acqua scorre veloce. Da entrambi i lati del karez si trovano banchi di souvenir. Questa commercializzazione toglie fascino alla visita, ma pensandoci, chi li può biasimare! Comunque credo che sia l’unica possibilità per vedere da vicino questo sistema di irrigazione.
C’è parecchio da vedere a Turfan anche se il centro ha perso il suo fascino. Chi l’ha visto trent’anni fa non lo riconoscerebbe più. I dintorni però sono sempre bellissimi. Il tragitto per raggiungere le grotte buddhiste di Bezeklik, attraverso le cosiddette montagne fiammeggianti, è spettacolare. Peccato che i cinesi abbiano fatto una specie di luna park lungo il percorso verso le grotte; ciò nonostante, il percorso rimane affascinante. Le grotte si trovano su una parete rocciosa sopra la valle di Mutou. Molti affreschi sono stati rovinati e altri portati via ma un paio di grotte contengono murali ancora ben visibili. Purtroppo anche qui la grotta più bella non viene aperta ed è quasi impossibile avere il permesso di entrare, anche facendo una domanda scritta alle autorità competenti. Questa è una politica adottata in tutti i siti rupestri.
Le rovine dell’antica città di Gaocheng, fondata dalla dinastia Liang, è un grande rettangolo (o è un quadrato?) circondato da mura. Fu completamente distrutta dai mongoli nel XII secolo. È suggestivo ma secondo me il posto più bello è l’antica città di Jiaohe, ora in rovina. Si trova su uno sperone circondato da una profonda valle. La storia della città si perde nella notte dei tempi. Nella parte nord si trovano templi buddhisti. Nella storia fu un centro religioso di grande importanza. Si trovano numerose case, pozzi e magazzini e, camminando lungo lo sperone, è facile perdersi nelle viuzze che s’intersecano come un labirinto.
Turfan è anche nota per il forte vento che soffia fino a cento chilometri all’ora. Il cielo diventa giallo. Quando il vento è particolarmente forte chiudono l’autostrada che collega Turfan ad Urumqi e Korla. L’anno scorso stavamo partendo per Korla. Arriviamo all’ingresso dell’autostrada e troviamo una fila di camion chilometrica. E' tutto fermo. Dopo un primo momento di confusione decido di fare la strada normale. L’autista è titubante perché il vento è talmente forte che solleva non soltanto la sabbia ma anche le pietre dal suolo. La guida locale chiama il nostro corrispondente di Urumqi che dice di essere d’accordo con me e di provare a fare la strada normale. Man mano che andiamo avanti e usciamo dall’oasi il vento diventa sempre più forte e la visibilità ridotta con spaventose raffiche di vento. La sabbia, che non è fine come il deserto del Sahara, bensì pietrisco, colpisce il pullman. Le macchine che provengono dall’altra direzione ci segnalano con i fari e con le braccia, forse per dirci di non continuare, ma continuiamo imperterriti. Finalmente usciamo dalla tempesta e proseguiamo. Davanti a noi una catena di montagne rosse, un paesaggio stupendo.
A Turfan (a 50 km dal centro) c’è la ferrovia. Da qui si prende il treno per Liuyuan per poi arrivare a Dunhuang. Si passa la notte sul treno in comode cuccette. Il giorno successivo si arriva a Liuyuan. Sembra un avamposto del ‘Far West’. Da Liuyuan si prende il pullman per Dunhuang. Siamo nella provincia del Gansu. Il percorso di 120 km è favoloso. Strane formazioni rocciose rosse, nere e verdi ci accompagnano. Sembrano delle opere d’arte piazzate li da qualcuno. Dunhuang è noto per le grotte buddhiste di Mogao. Sono le grotte buddhiste più belle in assoluto, direi tra le più belle del mondo. Dunhuang è diventata anch’essa una città ‘moderna’ senza carattere. Si trova alle propaggini del deserto del Gobi e tutt’intorno imperversa il deserto. Una grande attrazione sono le enormi dune. Sono effettivamente molto belle ma la visita ad esse è alquanto bizzarra. L’ingresso (sì c’è un ingresso e naturalmente è a pagamento) è indicato da una grande porta. E’un luogo molto gettonato dai cinesi e letteralmente grandi folle s’accalcano per entrare. Una volta dentro la gente si disperde ed è possibile fare una visita decente. E’ difficile camminare sulle dune, le scarpe affondano nella sabbia e si prosegue con difficoltà e soprattutto a fatica. Il momento migliore è verso il tramonto quando le dune si tingono di rosso, ma personalmente preferisco la mattina presto quando non c’è nessuno. Nessun commento ulteriore per le grotte affrescate. Sono talmente belle che non c’è bisogno di dire nulla. Andate a vederle e basta! Da Dunhuang si prosegue verso il fortilizio della grande muraglia e oltre. Riprenderemo i miei racconti a settembre.
Buona estate a tutti e un arrivederci a presto.

venerdì 3 luglio 2009

Da Kashgar a Turfan

Ritorniamo al nostro bellissimo viaggio da Islamabad (Pakistan) a Urumqi (Cina). Abbiamo già parlato ampiamente della parte pakistana e delle meraviglie del Karakoram. Siamo arrivati a Kashgar per agganciarci ad una delle diramazioni della via della seta. Potrebbe anche essere definita ‘”la via del buddhismo”, dove si è sviluppato il buddhismo proveniente dall’India. Quando si arriva a Kashgar dal Pakistan sembra di ritornare alla “civilità”.
Kashgar, che fu un importante nodo carovaniero sulla via della seta, è diventata una città modernissima. Anche il famoso mercato domenicale si è modernizzato e ha perso il suo fascino rispetto al passato. Ma esiste ancora la Kashgar contadina. Al centro, vicino alla grande moschea del venerdì, uscendo dalla ‘futuristica’ piazza, rimane un nucleo ‘vecchio’ con case fatte di fango seccate al sole. Ahimè, stanno scomparendo.Ci sono ancora i negozi artigianali dove tutto viene fatto a mano. Il governo ha costruito dei moderni condomini ma nessuno ci vuol andar a vivere. Non è vita per loro. Ma nella periferia, dove vivono i contadini, le case sono tradizionali con il cortile interno dove si trova il fico e la vigna e nel giardino ci sono tanti alberi da frutta e animali. Usano ancora il carro e i cavalli per recarsi nei campi.
Ma lasciamo Kashgar. Ne abbiamo parlato anche troppo nei precedenti racconti. Il percorso da Kashgar verso Turfan è oramai lungo una superstrada. Si viaggia veloce anche se ora ci sono tanti divieti di velocità. La polizia stradale è sempre in agguato. Per vedere le famose grotte buddhiste lungo la via della seta bisogna fare centinaia e centinaia di chilometri. La prima tappa è lunga ma veloce (un po’ meno di 500 km) da Kashgar ad Aksu. E’ un percorso di trasferimento. Non c’è nulla da vedere a parte le montagne brulle da una parte e il deserto dall’altra: si tratta del bacino del Tarim, dove si trova il fatidico deserto del Taklamakan. Anzi, le oasi si stanno allargando notevolmente grazie alle acque che scorrono giù dalle montagne e che permettono di estendere le coltivazioni. In effetti lungo quella strada si vede molto meno deserto e molto più verde rispetto ad una volta.
Bisogna usare la fantasia per visualizzare le carovane cariche di merci che viaggiavano in pace durante l'espansione dell’impero mongolo in tutto il continente asiatico (1215-1360), che diede stabilità economica e ristabilì l'importanza della Via della seta come mezzo di comunicazione tra Oriente e Occidente. Allora il cammino era arduo sia d’inverno con il freddo pungente che d’estate con caldo torrido e forti venti. Oggi Aksu (all’epoca della dinastia Han conosciuta come Kumo) è una città modernissima con viali larghi, grattacieli, negozi eleganti e alberghi quasi lussuosi. Non c’è niente che valga la pena di vedere. È interessante comunque perché Aksu rispecchia il ‘grande balzo in avanti’, per usare un termine di Mao,verso la più completa modernizzazione.
Aksu è un importantissimo centro agricolo noto soprattutto per la produzione del cotone. Oggi ci sono nuove industrie, soprattutto chimiche. Si lascia Aksu per prendere una strada secondaria attraverso un paesaggio molto bello verso le alte vette della catena Tianshan per arrivare a Kizil, un importante sito buddhista disseminato di grotte, alcune delle quali affrescate. Si trova in una bellissima posizione sopra il fiume Muzat. È un complesso molto grande. Purtroppo i custodi che ‘custodiscono’ le chiavi non ti fanno vedere le grotte più belle. Bisogna discutere con loro prima di fare il giro, ma spesso fanno orecchie da mercante. L’anno scorso, 2008, ho trovato un custode piuttosto ragionevole e abbiamo visto delle grotte affrescate molto importanti che normalmente non vengono aperte. Da Kizil si percorre una valle rocciosa di grande suggestione per arrivare infine a Kuqa, la cittadina più uigura, etnia turcofona, dello Xinjiang. Qui molti appoggiano gruppi panturchi vietati dal governo centrale di Pechino.
Kuqa, nonostante la lenta modernizzazione, è ancora affascinante. Anche i dintorni sono affascinanti, in particolare le grotte buddhiste di Kizilkara. Peccato che molti affreschi all’interno delle grotte siano rovinati. Quello che colpisce è il paesaggio: un paesaggio da Star Trek. Fantastico! Sembra di essere sulla luna o su marte. Difficile da descrivere. Nelle vicinanze di Kuqa si trova la città ‘perduta’ di Subashi. Anche qui il paesaggio è notevole, direi di grande suggestione, ai piedi di montagne severe e adagiata su un torrente dal letto molto largo. Non lontano da Kuqa si trova un altro sito buddhista rupestre, lungo una valle di una bellezza rara. Ci vuole un permesso speciale e bisogna richiederlo molto tempo in anticipo. Si prende il carretto trainato da un asino per arrivare alle grotte. Le grotte si trovano lungo un torrente che si divide in due e si cammina sul letto del torrente. Le grotte sono molto interessanti. Purtroppo la grotta più bella è interdetta. La visita vale la pena anche soltanto per il paesaggio. Da Kuqa si prosegue verso oriente per arrivare a Korla, una prefettura autonoma mongola all’interno della provincia dello Xinjiang.
Korla si estende verso nord fino alle alte praterie dove vivono i mongoli dediti alla pastorizia e all’allevamento di bestiame. Qui a Korla hanno scoperto il petrolio. È diventata una città ricchissima e modernissima. È incredibile. Sembra una Atlanta in miniatura. Ha dei palazzi moderni elegantissimi, boutique, grandi magazzini e giardini fioriti. L’anno scorso, facendo una passeggiata in centro dal nostro bell’albergo, ci siamo fermati in un negozio di tè. Non vendeva soltanto diversi tipi di tè ma anche teiere e tazzine di qualità: è un negozio che potrebbe stare benissimo sulla Golden Mile a Chicago o in Via Roma a Torino. Credo che a Chicago un negozio del genere avrebbe un successo strepitoso.
Anche a Korla, come ad Aksu,non c’è niente che valga la pena di essere visto dal punto di vista artistico. Ma la cultura non è solo arte. Osservare questo ‘castello’ nel deserto è impressionante. Ne ho già parlato in uno dei primi racconti. Quando ho visitato Korla più di vent’anni fa era un ‘paesone’ con i primi modesti tentativi di modernizzazione. Era un postaccio, squallido e triste. Oggi non posso più dire così. Non ci vivrei mai, ma ha una sua dignità. Si lascia Korla per recarsi a Turfan (scritto anche Turpan) che si trova in un bacino circondato da alte montagne, sempre parte della catena Tian Shan. La cosa impressionante è che si trova sotto il livello del mare. La temperatura in estate può raggiungere i 45 gradi. L’anno scorso ci siamo resi conto della forte calura quando abbiamo visitato la vecchia città fantasma di Gaocheng al pomeriggio, sotto un sole rovente. È stata un’esperienza indimenticabile! Continuerò il racconto del viaggio verso oriente più avanti.

Arrivederci alla prossima.