venerdì 24 aprile 2009

LA TUNISIA

Cambiamo completamente continente e voliamo in Africa settentrionale, in Tunisia con esattezza. La Tunisia ha investito moltissimo nel turismo, soprattutto in quello balneare. Infatti lungo la costa si trovano decine e decine di alberghi spesso (ma non sempre) ben inseriti nell’habitat naturale. I prezzi sono buoni, gli alberghi discreti, il mare non male, e per di più si tratta di una destinazione vicina, per elencare alcuni pregi.
Personalmente però concepisco la Tunisia in un altro modo, non tanto per il mare o le bellissime oasi di Nefta e Kairouan, ma soprattutto per l’archeologia. Tutti quanti noi conosciamo Cartagine. È un’escursione che fanno tutti, se pernottano a Tunisi, Hammamet, a Bizerte o nelle vicinanze. Ma la Tunisia è ricchissima di archeologia. A Thuburbo Majus le rovine romane sono molto suggestive, adagiate su un lieve pendio in un paesaggio ameno. Conserva un Capitolium notevole. Anche il sito di Sufetula (Sbeitla) ha una Capitolium da mozzafiato. Il sito archeologico di Mactaris si trova all’interno, isolato, un notevole sito archeologico, ma direi più per esperti. Anche Utica è per gli esperti o gli amanti dell’archeologica, lì si trovano tracce di necropoli puniche e edifici romani.
Tra le cose più belle dell’archeologia in Tunisia ci sono i siti di Thugga (Dougga) e Bulla Regia. Thugga conserva monumenti punici, numidi e romani. Il Campidoglio e il Capitolium sono di una bellezza sconvolgente. Si trova anche un mausoelo numidico ben conservato. Il sito che mi ha colpito più di tutti è Bulla Regia, città romana dove sono conservate le abitazioni sotterranee con bei mosaici. I mosaici più belli di Bulla Regia sono custoditi al Museo du Bardo a Tunisi. Poi ci sono tanti altri siti ‘minori’.
Molti dei siti si trovano nel nord della Tunisia dove il paesaggio è verde e ameno. All’interno, nel nord del paese, gli inverni possono essere gelidi e la primavera piovosa e a volte fredda. Comunque sono posti che si possono visitare tutto l’anno. Non dimentichiamo l’anfiteatro di El Jem, di proprozioni notevoli. Sembra quasi un colosseo. Doveva essere molto capiente, forse uno degli anfiteatri più capienti del mondo romano.
Tunisi è una città piacevole con un’atmosfera un po’ parigina, nel downtown s’intende. La medina di Tunisi è notevole, ma non per fare ‘shopping’ (che perdita di tempo e spreco di energia!). Camminare nei vicoli, vedere le vecchie costruzioni, visitare qualche casa antica, anche vedere il suq, ma non fermarsi ogni secondo per vedere delle collane o altre cose che non valgono niente. Il fatto è che non si può neanche guardare i negozi in pace perché si è presi d’assalto dai negozianti. La visita della medina dev’essere fatta in maniera articolata. È indispensabile conoscere una persona del posto che conosca tutte le viuzze e vicoletti.

Alcune case signorili sono aperte al pubblico. Ce n’è una, non mi ricordo come si chiama, di epoca ottomana credo, dove si trova un museo etnografico. La casa è stata ristrutturata ed è molto bella, con un dedalo di cortili e stanze, ma la mostra permanente è di una noiosità estrema, stanze e stanze di bambocci vestiti in abiti tradizionali, in pose in cucina, in bagno, nella camera da letto, sui tappeti, donne bambocce ghirlandate di pesanti collane e gioielli, ecc.ecc. È bene conservare la propria eredità… ma bastano cinque minuti per vedere tutto (probabilmente bisogna avere un interesse quasi professionale ma apprezzare queste cose). Vale la pena visitare la casa, vedere l’architettura, i cortili interni, la pianta insomma, ma non stare delle ore a passare di stanza in stanza. Anche la città di Sousse, sulla costa, più a sud, ha una medina suggestiva. Troppi turisti però che si riversano dagli innumerevoli alberghi situati nelle vicinanze. Nella parte alta della medina di Sousse si trova un museo di mosaici favoloso. Le oasi di Tozeur e Nefta sono sognanti soprattutto al tramonto. Il più bel tramonto che ho mai visto in vita mia è stato a Nefta, il cielo color porpora, completamente porpora a perdita d’occhio.
Non si va in Tunisia per vedere il deserto. Dopo l’attraversamento del grande lago salato El-Chott-Djerid (molto suggestivo) da Nefta, si entra in una zona desertica. Fanno vedere due dune in croce con venti pullman attorno che sputano fuori tanto di quel gas che l’aria è più insana che Milano d’inverno. Non ci sto. È vero, il turismo porta ricchezza alla popolazione locale, ma portato a questo estremo è immorale. Ci sono tante cose belle da vedere in Tunisia e poi ti portano a vedere una duna! Comunque, dedicare una settimana alla visita dei siti archeologici tunisini vale veramente la pena. Non è possibile farlo stando fermi in un posto al mare. Bisogna spostarsi e stare in qualche albergo modesto. La Tunisia ha svilupputo il turismo sulla costa ma molto, molto meno all’interno.
Ricordo la belleza delle oasi di montagna verso l’Algeria, dove sono stato più di trent’anni fa. Allora non c’era nessun insediamento turistico e pochissimi turisti. Negli anni sono tornato molte volte in Tunisia. Circa ventitré anni fa sono tornato alle oasi di montagna e già allora stavano costruendo un mega-albergo, non mi ricordo esattamente dove. Da allora sono tornato a Tozeur e Nefta ma non nelle oasi di montagna. Credo che forse sia meglio non tornare in quei posti dove hai lasciato il cuore per non spezzare un sogno!

mercoledì 8 aprile 2009

VALLI NASCOSTE

Le alte valli nascoste della catena Karakoram sono qualche cosa di inimmaginabile. Di solito si percorre la cosiddetta Karakoram Highway fino al passo Khunjerab, da dove si passa in Cina Occidentale. Nelle alte valli del Karakoram vivono sia sunniti che sciiti. C’è una valle popolata da sciiti e una valle popolata da sunniti, che, tra l’altro, si guardano in cagnesco. Da Gilgit si può accedere a queste alte valli nascoste. Un percorso particolarmente coinvolgente è quello che porta all’alta valle di Bagrot. Quando si inizia a salire con la jeep su impervie strade a gomito, che a volte sembrano delle mulattiere, si vedono spuntar fuori tante vette innevate che si stagliano nitide nel cielo. Uno si chiede com’è possibile tale bellezza!
La distanza da Gilgt a Bagrot non è tanta ma la jeep si arrampica molto, molto lentamente. A volte la salita è talmente ripida che viene la pelle d’oca. Si passa in mezzo ad un paesaggio roccioso sovrastato da queste immense vette bianchissime. Finalmente si arriva nell’alta valle con i campi di orzo e di ortaggi. La gente quassù non è abituata a vedere stranieri e non sorride. Ho la sensazione di essere un intruso e di non esser ben visto. Ma la gente passa in secondo piano. La valle è talmente bella, le montagne talmente grandiose, l’atmosfera talmente tersa che non ci sono parole. C’è anche un silenzio particolare. I rumori piacevoli provengono dai contadini che lavorano nei campi e dalle risa dai bambini che giocano. Quassù sembra musica. Siamo venuti in questa sperduta valle per fare una scampagnata… ma che scampagnata! Abbiamo portato con noi il pranzo, diciamo il cestino. Il fatto di mangiare un pic-nic in un posto così lontano, dove non viene praticamente mai nessuno, è in effetti coinvolgente. La strada transitabile finisce qui. Non siamo attrezzati per fare trekking e poi non ci sarebbe neppure il tempo. Rimaniano un po’ dopo il pranzo ma poi decido che è ora di scendere. Qui comincia l’avventura!
Scendere sulla ripidissima ‘mulattiera’ fa paura. Le curve a gomito sono talmente strette che in alcuni casi la jeep deve fare marcia indietro e fare manovre sull’orlo del precepizio per poter girare. Alcune jeep, come potete immaginare, su queste strade hanno dei problemi tecnici: freno a mano che non funziona, marce che slittano, per non parlare delle gomme lisce. Ora anziché guardare le bellezze della natura che ci circonda siamo tutti preoccupatissimi per la discesa e la condizione della jeep. Io molto meno. Quando finalmente arriviamo sulla Karakoram Highway, il peso corporeo di tutti è diminuito di un paio di chili, non male, vero? Era la prima volta che portavo un gruppo nella alta valle di Bagrot e sarà l’ultima, anzi è stata l’ultima. Ho giurato che non avrei mai più portato nessuno perché erano tutti distrutti dalla discesa, terrorizzati, nervosi e polemici. Peccato perché l’escursione vale un viaggio. Ho sempre sostenuto che bisogna avere i nervi veramente saldi per fare un viaggio sulla Karakorum, ma addentrarsi nelle alte valli laterali richiede una volontà di ferro, anzi d’acciaio. Diciamo che sono stato un po’ ingenuo nel prendere la decisione di portarli su. Sono sicuro però che coloro che l’hanno fatto, se mi stanno leggendo (oramai sono passati tanti anni), ricorderanno l’escursione, certo, con una certa ansia, ma nello stesso tempo con piacere. Chi è mai salito a Bagrot?
In più in quell’occasione abbiamo perso una jeep. Cioè, ad un bivio aveva imboccato la strada sbagliata, una volta scesi dall’alta valle. Quando si è reso conto dell’errore l’autista è tornato indietro. Io faccio sempre tante di quelle raccomandazioni agli autisti di stare insieme ma loro sono veramente cocciuti. Ho aspettato la jeep ‘perduta’ in albergo per più di un’ora e poi ho deciso, insieme ad uno degli autisti e alla guida locale, di tornare sui nostri passi. Stava diventando buio e la preoccupazione era tanta, tanto più che nell’attraversare un alto ponte sul fiume l’autista e la guida si sporgevano per vedere se c’era qualche segno della jeep schiantata sotto! Ma della jeep nessuna traccia. Siamo costretti a tornare in albergo, dove qualcuno del gruppo mi stava gentilmente aspettando per dirmi che erano tornati sani e salvi. Quando poi mi hanno visto a cena erano ancora arrabbiati. L’autista capiva poco l’inglese e questo fatto non li aiutava a stare tranquilli. La loro reazione era comprensibilissima. Devo dire che l’arrabbiatura è passata subito vedendo la mia intensa preoccupazione e il dispiacere per quello che era accaduto. Anche questa escursione comunque è diventata mitica! L’albergo a Gilgit è molto confortevole, sembra un lodge di alta montagna, così le anime si sono calmate soprattutto a cena finita, tutti riuniti e comunque felici di essere in un posto così stupendo.
Dalla valle di Hunza, più avanti sulla strada rispetto a Gilgit, in altre occasioni abbiamo fatto un’escursione alle valli di Nagar e Hoper, dall’altra parte del fiume. È un’escursione molto meno eccitante ma sempre in jeep con paesaggi mozzafiato. Si vedono bellissimi e armoniosi terrazzamenti per le diversificate coltivazioni e albicocchi, tanti albicocchi. In agosto inizia la raccolta delle albicocche, che vengono stese al sole sui tetti, nei cortili, lungo la strada: una macchia brillante color albicocca intenso. Un’altra cosa suggestiva di questo percorso sono i tanti villaggi che si attraversano. Infine si giunge nelle vicinanze del ghiacciaio di Hoper. Se si riesce a camminare sul ghiacciao senza cadere e farsi male si possono ammirare due meravigliose vette, Kapala e Golden. Insomma, tutta la zona di Hunza è sorprendente, ma di questo ne parleremo ancora!

giovedì 2 aprile 2009

Tamil Nadu: non solo templi

Ritorniamo a parlare dell’India e dello stato dell’India meridionale Tamil Nadu.
Il Tamil Nadu si trova nell’India del sud ed è uno stato molto popoloso (circa 67 milioni di abitanti). È un posto faticoso perché ci sono folle dappertutto: nelle città, nei templi, nelle campagne, e nei villaggi. I villaggi poi sono fitti, uno dopo l’altro. È molto diverso da alcune zone di un altro stato dell’India meridionale, il Karnataka, dove c’è silenzio e poca gente, beh… molta meno gente.
I templi del Tamil Nadu sono grandiosi grazie al susseguirsi di dinastie indu dei Pallava, Pandya e Chola e poi un revival dei Pallava. Kanchipuram fu la capitale della dinastia Pallava, Madurai fu la capitale dei Pandya mentre i Chola costruirono una nuova capitale dopo una vittoria chiamata Gangaikondacholapuram. Tutte queste ex-capitali custodiscono le meravigliose opere templari di queste dinastie. Ho parlato del Tamil Nadu diverso tempo fa e dell’ubriacata di templi che uno fa in un viaggio nell’India del sud. Ci vuole un forte temperamento e grande amore per l’arte indiana per ‘reggere’ mentalmente, emotivamente e fisicamente alla fatica. In realtà il Tamil Nadu non ‘offre’ soltanto templi ma anche bei paesaggi tropicali. I templi spesso si trovano in mezzo alla vegetazione lussurreggiante e questo aumenta il fascino del templi stessi.
Chi è stato in India certamente conosce Mahamallapuram, più conosciuto come Mahalipuram, a una cinquantina di chilometri a sud di Madras (Chennai), noto per il tempio sulla spiaggia. Mahalipuram fu una specie di officina di produzione artistica divisa in tre fasi, ciascuna delle quali prende il nome del sovrano commitente. Comprende un’area molto grande e non soltanto i monumenti nelle vicinanze della spiaggia. Per esempio a 5 km dal tempio sulla spiaggia si trova la cosiddetta ‘grotta della tigre’ dedicata alla dea Durga dell’officina dei Pallava. Ma ci sono molte altre sorprese nei dintorni.I templi funzionanti, cioè quelli che non sono sotto la tutela dell’Archaeological Survey of India, come ad esempio il tempio a Gangaikondacholapuram, sono sempre stracolmi di pellegrini. C’è tutta un’altra atmosfera rispetto ai templi dell’India settentrionale o dell’Orissa. Si dice che il Tamil Nadu sia la vera India, dove si è a contatto con gli adoratori e i pellegrini e non ‘semplicemente’ in un monumento stupendo ma senza vita. Dato che il Tamil Nadu è faticoso, essere attorniato da centinaia di persone rende la situazione ancora più pesante, ma certamente l’impatto è incredibile. Molti dei templi del Tamil Nadu sono circondati da mura e l’avvicinamento al sancto sanctorum è un percorso lungo e molto graduale.
Per esempio a Srirangam, sul fiume Kaveri, di fronte alla città di Trichy, si trova il grande tempio di Ranganatha, una città-tempio consacrata a Vishnu. Il tempio più antico non esiste più. Questo fiorire di mura, cortili e passaggi che conducono al grembo del tempio è molto più recente. È un graduale meditabondo cammino per raggiungere la divinità. Bisogna togliere le scarpe all’ingresso principale del tempio e fare tutto il cammino scalzi fino al santuario. Per noi è faticoso togliersi sempre le scarpe, e verso la fine di un viaggio in Tamil Nadu qualcuno non ne può più e decide di rimanere fuori. È un peccato, ma come dicevo prima, ci vuole una forte motivazione per apprezzare l’arte del sud ed essere disposti a farsi avvolgere dall’ ambiente, dalla folla, dagli odori e dalla forte sensualità che questi templi emanano.
Alcuni dicono che i templi indu sono tutti uguali. Alcuni americani dicono che le chiese in Italia sono tutte uguali! Che eresia! In effetti a uno sguardo disattento può sembrare così, ma in realtà ogni tempio ha il suo capolavoro, ogni tempio ha la sua caratteristica e la sua atmosfera. Certo bisogna sapere cosa e dove guardare, e non è facile soprattutto nelle città-templi del Tamil Nadu così immensi.
Ma ripeto, il Tamil Nadu non è soltanto ‘templi’. Ad esempio c’è un bellissimo parco naturale nelle vicinanze del mare a sud di Nagapattinam dove si trova una riserva di mangrovie tra le più importanti dell’Asia. È una fatica mostruosa arrivarci perché la strada è stretta e piena di buchi (chissà se l’hanno sistemata ora). Si prende un battello e si naviga in mezzo alle mongrovie, molto bello. L’unico problema è che non si possono fare foto perché è una zona protetta, non so per quale motivo. Siamo stati seguiti per quasi tutto il tempo dai ‘rangers’. Alcuni, che ritengono indispensabile fare foto, ci rimangono molto male e non si godono la navigazione. Non posso dargli torto ma purtroppo in India succedono queste cose inspiegabili. Almeno ci fosse un bel libro o un catologo con belle foto da acquistare. Macché, non c’è assolutamente niente.
Una cosa ‘assurda’ o meglio ancora ‘divertente’ dell’India è che quando c’è un piccolo negozio in un tempio oppure alla biglietteria dove vendono libri spesso non ci sono pubblicazioni di quel monumento appena visitato ma di altri, forse in altri luoghi lontani. Non bisogna mai disperare, prima o poi si trovano publicazioni, belle o brutte che siano, magari a Hong Kong!
Ripeto ancora: il Tamil Nadu ha molte altre cose oltre ai templi. Chettinad, per esempio, è la casa nativa dei Nattukottai Chettiars, una prospera comunità di bancari e uomini d’affari, commercianti che migrarono nel sud-est dell’Asia nel IX e inizio XX sec. È un patrimonio artistico e architettonico. Alcune delle ville risalgono al XVIII secolo. Sono abbellite di marmi e tek birmano. È una cosa veramente sorprendente: una zona sconosciuta ai più, paragonabile agli Haveli del Rajasthan, le case dipinte dei commercianti. Chi può mai immaginare che ci siano paesini formati da belle case del XVIII secolo in mezzo al Tamil Nadu? Ma non finisce qui. Ci sono tante altre sorprese. Ne parlerò un’altra volta.