
È molto divertente prendere un vecchio tram oppure prendere la metropolitana ed esplorare zone sconosciute da ‘normali’ turisti frettolosi. Ricordiamo che Calcutta è anche la ‘Città della Gioia’ di Dominque Lapierre, ora diventata un quartiere ‘residenziale’. E che dire del giardino botanico (in realtà un parco) con alberi secolari? Prendere un battello lungo il fiume Hooghly e raggiungere i vecchi insediamenti francesi, danesi e portoghesi. E le sue innumerevoli chiese cristiane dove, all’interno, si trova la storia dei coloni. E che dire dei templi indu lungo il fiume frequentato da migliaia di fedeli?
Allora non è vero che c’è poco da vedere a Calcutta? No, non è vero. Se uno vuole vivere veramente l’India non deve andare a Delhi o Bombay ma a Calcutta. Fare tua la città, intimamente, è difficile ma non impossibile. È una vittoria sentire Calcutta parte di te stesso e credo che soltanto gli animi sensibili possano arrivarci. Sì, è vero che l’India ha due facce, una romantica e spirituale, l’altra carnale e violenta. Chi ha visto il film ‘Millionaire’, molto reale, capisce questo fatto. Ma per cogliere le sottigliezze di questo immenso paese bisogna avere una marcia in più, un animo gentile ma nello stesso tempo una volontà di ferro e forse un po’ di cinismo…. È una contraddizione? Può darsi, ma soltanto così si riesce a capire, almeno si tenta di capire, la sua carnalità e la sua spiritualità in sovrapposizione. Che dire? L’India è un mistero! Credo che il contrasto venga interiorizzato dal famoso poeta bengalese Tagore nella seguente poesia:
L'uccello prigioniero nella gabbia, l'uccello libero nella foresta: quando venne il tempo s'incontrarono, questo era il decreto del destino. L'uccello libero grida al compagno: «Amore mio, voliamo nel bosco!». L'uccello prigioniero gli sussurra: «Vieni, viviamo entrambi nella gabbia». Dice l'uccello libero: «Tra sbarre, dove c'è spazio per stendere l'ali?». «Ahimè», grida l'uccello nella gabbia, «Non so dove appollaiarmi nel cielo». L'uccello libero grida: «Amore mio, canta le canzoni delle foreste». L'uccello in gabbia dice: «Siedi al mio fianco, t'insegnerò il linguaggio dei sapienti». L'uccello libero grida: «No, oh no! I canti non si possono insegnare». L'uccello nella gabbia dice: «Ahimè, non conosco i canti delle foreste». Il loro amore è intenso e struggente, ma non possono mai volare assieme. Attraverso le sbarre della gabbia si guardano e si guardano, ma è vano il loro desiderio di conoscersi. Scuotono ansiosamente le ali e cantano: «Vieni vicino a me, amore mio!». L'uccello libero grida: «È impossibile, temo le porte chiuse della gabbia». L'uccello in gabbia sussurra: «Ahimé, le mie ali sono morte e impotenti».
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