lunedì 8 febbraio 2010

KARNATAKA, INDIA, TRA TEMPLI HOYSALA E PALME DI COCCO

Proseguendo con l’itinerario che ho fatto recentemente da Hyderabad a Bangalore vorrei segnalare i lavori meravigliosi della dinastia Hoysala nello stato indiano meridionale di Karnataka, tra il X e il XIV sec. La capitale dell'impero fu prima a Belur poi a Halebid. Una caratteristica dell’architettura dei templi Hoysala è la sua squisita attenzione ai particolari e la maestria qualificata delle sculture. La torre nel tempio santuario (vimana) è letteralmente ricoperta di intricati intagli ed elaborati ornamenti e dettagli. La pianta stessa dei templi è costruita in forma di stella e installata su delle alte piattaforme. Chi ha fatto questo bellissimo viaggio con me recentemente ricorderà la dinastia dei Chalukya (Pattadakal, Aihole): ne abbiamo fatto una scorpacciata, quasi un’indigestione! Lo stile dei templi Hoysala è una derivazione dello stile Chalukya occidentale. Lo stile Hoysala, che si chiama Karnata Dravida (distinte influenze dravidiche, templi stile del sud), è considerata una tradizione architettonica particolare con caratteristiche uniche. La scultura è appunto ricchissima; ogni centimetro è scolpito con precisa delicatezza anche se a volte può apparire pesante per la moltitudine infinita di soggetti raffigurati. Oltre alle divinità, le sculture si concentrano sulla raffigurazione della bellezza femminile e della sua grazia, ognuna fissata in una diversa posa. Alla base del tempio si trovano stupendi fregi scolpiti minuziosamente che mostrano elefanti, leoni, motivi floreali, animali mitologici e cavalieri. Questo è molto evidente a Halebid, uno dei capolavori dell’arte Hoysala. Nelle vicinanze di Belur, dove si trova un altro bellissimo tempio Hoysala, s’incontrano i ghat occidentali, catena montagnosa che forma una barriera tra la costa occidentale e l’India interna. Alla base dei ghat i paesaggi sono idilliaci: palme di cocco, palme di betel, piantagioni di caffè, risaie ecc. e tanti corsi d’acqua, laghi e laghetti. È incredibile l’albero della noce di cocco, così elegante e slanciato. Il fusto è colonnare e appunto slanciato, più stretto alla sommità che alla base e le foglie sono paripennate, fronde che danzano al vento. È incredibile quanto ‘benessere’ dà la palma di noce alle popolazioni locali: dalla copra (la polpa essiccata del cocco) si produce margarina di cocco, un olio vegetale utilizzato in pasticceria o per la fabbricazione di sapone e colla. Sempre dalla copra si ricava una farina utilizzata a fini alimentari. Poi ci sono le fibre coir che si trovano tra la buccia e il guscio esterno della noce del cocco per fare tappeti, zerbini e cordami. E che dire delle fronde che vengono usate per fabbricare stuoie e coperture per le capanne? Ma non è finita, si ricava dall’albero il vino di palma, l’aceto di palma, lo zucchero di palma e la grappa di palma oltre al legno di cocco per mobili, abitazioni e manici. Veramente dovrei parlare di viaggi, ma credetemi, la palma di cocco mi intriga moltissimo. Vedere centinaia e migliaia di queste eleganti palme nelle campagne dell’India del sud riempie di gioia e serenità. Il Karnataka meridionale è molto simile allo stato sud-occidentale del Kerala. Il Karnataka meridionale è’ molto diverso dalla parte nord, l’infuocata tavolata del Deccan. Al sud, grazie alla rigogliosa vegetazione e all’agricoltura dovuta alle copiose piogge durante il monsone, il paesaggio è ridente e ameno. Le case sono costruite bene e si respira una certa aria di benessere. Al nord invece è più secca e polverosa. È vero che ci sono tanti chilometri quadrati dove viene coltivata la canna da zucchero, ma basta uscire dalle zone irrigate per trovare zone arse dalla secchezza e territori coperti di rovi a causa della base rocciosa basaltica. Gulbarga e Bijapur sono due città del nord Karnataka di grande interesse (i monumenti delle dinastie islamiche sono strepitosi) ma polverosi e disordinati. Gli alberghi stessi sono fatiscenti anche se hanno pochi anni o addirittura pochi mesi di vita. Quello che colpisce in India è la campagna, le zone rurali, la gente contadina, i percorsi alternativi. Vorrei citare, per finire questo breve racconto, alcune osservazioni di Pier Paolo Pasolini dal libro ‘L’odore dell’India’. Anche se la descrizione non si riferisce allo stato di Karnataka è certamente emblematica.

I gridi delle cornacchie ci seguono, più o meno fitti e disordinati, per tutta l'India. È una iterazione significativa: pare che dicano: siamo sempre qui, perché l'India è sempre così. A parte la follia che domina quel breve rutto, insolente, idiota e sfacciato: quell'aria di chi non rispetta nulla, gratuitamente sacrilega. Con quel persistente verso negli orecchi, vediamo il paesaggio lentamente cangiare, come una sconfinata schiena emergente dalla polvere. Ma un cambiamento vero non avviene mai. In realtà esso resta uguale per centinaia di chilometri, da Bombay a Calcutta. La strada, stretta, circondata da due piste di terra rossiccia, e da una interminabile, stupenda galleria di banani o di altre piante simili ai nostri castagni, si snoda all'infinito attraverso due quinte sempre uguali: o distese incolte, bruciacchiate, con dei cespugli da bosco ceduo, o distese di terreno confusamente coltivato, con le chiazze color canarino, abbagliante, del miglio.



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