domenica 20 luglio 2008

Karakoroum Highway (Pakistan)

Forse non è il momento di recarsi in Pakistan. Personalmente non avrei problemi, ma mi rendo conto che la situazione è un po’ precaria. A parte la situazione politica, vorrei parlarvi del percorso, o meglio delle sensazioni, che ho provato viaggiando lungo la Karakoroum Highway da Islamabad al passo Khunjerab al confine con la Cina (Xinjiang). Per me la bellezza del paesaggio del Karakoroum è ineguagliabile. Il percorso di montagna attraverso le valli di Gilgit e Hunza è mozzafiato.
Venendo da Islamabad il primo tratto di strada si snoda lungo il fiume Indo, le acque sono vorticose e portano con sé molti sedimenti. Infatti, l’acqua dell’Indo non viene usata dai locali né per lavarsi, né per lavare i panni, tanto meno per bere. E’ addiruttura pericoloso attraversare il fiume da una sponda all’altra con un battello. E’ di grande suggestione percorrere la strada verso Besham e Gilgit e vedere sotto il fiume Indo che scorre veloce. Nel primo tratto c’è un alternarsi di montagne rocciose grigie e pesanti e di pendii verdi. Le piogge monsoniche qui sono abbastanza abbondanti. Ad un certo punto si abbandona questo alternarsi di rocce e verde e si entra in una zona arida chiamata “Deserto di Chilas”, un’area di montagna secca, sabbiosa e polverosa.
D’estate fa un caldo bestiale, la temperatura raggiunge anche i 40 gradi. Il vento che soffia inesorabilmente è caldo, anzi caldissimo. Normalmente ci si ferma a Chilas per la notte. E’ una specie di avamposto da ‘far west’. Quando feci il percorso per la prima volta, circa vent’anni fa, l’unico albergo allora era molto spartano e molto caldo e spesso mancava la corrente elettrica. Per quasi tutta la notte non c’era corrente e di conseguenza non si poteva usare l’aria condizionata, rumorissima tra l’altro, insomma… una vera tragedia. Mi alzai prestissimo. Mentre m’incamminavo verso il ristorante per la prima colazione, vidi appoggiato agli stipiti della porta della sua camera un mio amico di Lugo mezzo nudo, distrutto dal caldo. Aveva trascorso la notte a fare la doccia per il caldo insopportabile! Sono tornato a Chilas diverse volte, ma non ho mai più patito un caldo come la prima volta, chissà… Chilas ha un pregio: è appena sopra l’Indo e dall’albergo si può scendere sulla riva del fiume e toccare l’acqua!
Dopo aver abbandonato Chilas ci si reca lungo la Karakoroum verso Gilgit. Il paesaggio diventa sempre più bello, sempre più grandioso. Ad un certo punto si lascia l’Indo e si percorre la strada verso Gilgit sempre con il fiume sotto (ora chiamato Gilgit), le acque sono più chiare e le montagne più alte e più agguzze. Tempo meteorologico permettendo, si vede il grandioso massiccio del Nanga Parbat alto più di 8000 metri! Il paesaggio è greve ma idilliaco allo stesso tempo: le montagne sono nude senza vegetazione con formazioni rocciose bizzarre, con colori che vanno dal verde al nero e dal rosso al giallo, e s’innalzano vertiginosamente per essere incoronate dalle imponenti vette innevate; nella valle poi ci sono oasi verdissime dove si trovano alberi da frutta: albicocchi, ciliegi e meli oltre all’orzo e agli ortaggi. E sotto, nel profondo, il fiume scorre. E’ un contrasto di colori che fa venire i brividi. A proposito, i campi e i terrazzamenti rubati alla montagna sono irrigati tramite delle opere di ingegneria, utilizzando le acque dei ghiacciai raccolte e convogliate nella valle tramite un sistema di canali e serbatoi che rende costante il flusso.
Si arriva a Gilgit, una bruttissima cittadina, ma in una valle verdissima sovrastata da montagne innevate maestose. Si prosegue poi per la valle di Hunza. La strada costeggia una delle montagne più belle del Karakoroum, il Rakaposhi (7788 m.). E’ la mia montagna preferita. Questa porzione è probabilmente la parte più bella dell’intera Karakoroum Highway. Lungo la strada c’è un punto chiamato Rakaposhi View Point, una specie di bellevue, ma che bellevue!! Credo che l’altitudine del Rakaposhi View Point sia di circa 2000 metri. Da questo punto si vede il massiccio del Rakaposhi che s’innalza a sei mila metri, una parete di ghiaccio! In una giornata limpida, senza nuvole, si vede addiruttura la neve sulla cima che viene spazzata via dal vento e che lascia una scia di polvere bianca. E’ uno spettacolo incredibile. Credo che la vista più emozionante del Rakaposhi da questo belvedere sia quando, all’arrivo, la cima è coperta da nuvole. Si aspetta e si aspetta, senza fretta, sperando che la vetta si liberi! Quando finalmente s’intravede l’imponente vetta uscire dalle nuvole la sensazione è grandiosa, un senso di soggezione ti prende nel profondo…sotto la coltre di nuvole nessuno avrebbe potuto mai immaginare la grandiosità che questa montagna rivela, una mole senza precedenti.
Si arriva infine nella valle di Hunza. Non ci sono parole per descrivere la valle - idilliaca. Bisogna vederla e basta, è Shangri-la! Il percorso fino al passo Khunjerab (4700 m.) è grandioso, ma non descriverei l’impatto visivo delle cosiddette ‘cattedrali’, formazioni rocciose che sembrano cattedrali gotiche, e la salita al passo. Vette innevate spiccano da tutte le parti. Dovete ‘semplicemente’ andarci. Quando finalmente si arriva al passo e si guarda indietro ci si chiede: “Ma come ho fatto ad arrivare fino a qui? Sembrano montange invalicabili, è un miracolo!”. Il passo in sé è deludente rispetto a tutto il percorso precendente. Quasi tutte le vette sotto i 6000 metri non hanno nomi, per indicare quante vette alte ci sono, è una cosa veramente impressionante. Chi ama la montagna deve assolutamente fare questo percorso. E’ rimasto sempre nel mio cuore e quando penso alla loro grandiosità mi si riempie di stupore, di meraviglia…ancora. Nonostante i disagi del deserto di Chilas, le frequenti interruzioni per slavine, frane e i massi che si staccano e che invadono la strada, lo sforzo viene ricompensato. Ci possono essere lunghe attese per attraversare i punti ‘dolenti’, ma ricordatevi che questi disagi non sono niente se paragonati al percorso, talmente ‘super’ che la sensazione rimane impressa indelebilmente nel profondo.
Ci vogliono nervi saldi ma alla fine si è felici.

martedì 15 luglio 2008

Inghilterra sognante


Molti anni fa organizzavamo viaggi in Inghilterra dai titoli affascinanti: "Inghilterra Medievale e Normanna", "Inghilterra Gotica e Paesaggi", ecc… Quando si fa un giro in pullman di gruppo bisogna percorrere le strade principali. Un viaggio individuale, noleggiando una macchina, permette di entrare nelle "country lanes", strade secondarie di campagna, che attraversano paesaggi veramente incantevoli…sognanti.
La Gran Bretagna è forse uno dei paesi più globalizzati al mondo, soprattutto la capitale, ma quando uno si allontana dai grandi centri urbani si rende conto che la vecchia Ingilterra esiste ancora e che le campagne sono idilliache e i villaggi incantevoli, alcuni com’erano cent’anni fa. Anche a poche miglia dall’area metropolitana di Londra si trova l’Inghilterra di una volta. Per esempio nella contea di Hertfordshire, che confina con Londra, si trovano delle campagne inaspettate: boschi di querci e castagni, colline ondulanti e villaggi perduti nel tempo.
Una cittadina meravigliosa che visito ogni volta che vado a trovare mio padre è St. Alban’s nella contea di Hertfordshire (a appena 25 km circa da Londra). La cittadina è ubicata sopra una collina, piena di caratteristiche case medievali. La mia prima tappa è la cattedrale del primo periodo normanno. Ha subito molteplici restauri e aggiunte. È veramente imponente anche perché rimane in una posizione elevata. Si trova all’interno di un parco meraviglioso.
Dopo aver visitato la cattedrale vado nel refertorio della cattedrale per prendere un tè o un caffè e una fetta di torta fatta in casa (quella di carota è squisita). Ci sono le vecchie signore volontarie che servono e spesso attaccano bottone… chi dice che gli inglesi sono riservati? Dopo percorro una stradina incantevole in discesa, dove si trovano vecchie case, fino al fiume Ver… È un posto veramente idilliaco con cigni, anitre ed altri uccelli che popolano il fiume. Lì vicino c’è un antico pub di indubbio carattere, dove prendo una pinta di birra. Poi vado a visitare gli scavi romani, Verulamium: i resti del teatro e l’annesso museo.
La campagna inglese ha un effetto lenitivo sul mio spirito, mi sento bene e in pace. Un’altra volta riprenderò questo discorso e parlerò di altre esperienze nell’esplorare la campagna inglese.

martedì 8 luglio 2008

Patagonia

Quello che mi ha colpito maggiormente non sono stati gli animali, le foche, i pinguini o i leoni di mare, ma i paesaggi. Nella zona di Trelew, che tra l’altro è una parola gallese che vuol dire “villaggio di Lewis”, che si trova nella Patagonia argentina settentrionale, si visitano due aree principali: Punta Tomba e la penisola di Valdés. Ripeto, non sono gli animali che mi hanno colpito maggiormente, ma la distesa desolata che si estende per centinaia di chilometri, sempre uguale, monotona, con qualche hacienda circondata da alberi e gauchos a cavallo. Spazio, spazio e ancora spazio, fino a raggiungere la costa atlantica.
La parte che mi ha colpito di più è stata la Patagonia argentina meridionale. I ghiacciai che s’immettono nel lago Argentino sono grandiosi. Il colore del ghiaccio e degli iceberg ha un’intensità azzurra così forte che sembra di vivere in una favola da Alice nel paese delle meraviglie. Il ghiacciao che mi è piaciuto di più è stato il famoso Perito Moreno. Sembra un essere vivente: scricchiola, brontola, parla, canta, si muove. D’estate enormi pezzi di ghiaccio si staccano dal masso e cadono con un tonfo assordante nel lago. È meraviglioso.
Sono rimasto colpito dell’organizzazione dei parchi, ottimamente tenuti e curati. Nel caso del Perito Moreno c’è un passarella di legno a zig zag che scende verso il lago, da dove si può ammirare il ghiacciao in tutta la sua gloria da tutte le angolazioni: dal basso, dall’alto, di lato... C’è la possibilità di ammirarlo anche dal lago, prendendo un battello. Si vedono le torri di ghiaccio innalzarsi sull’acqua, come una catena montuosa in miniatura.
Un altro posto che ho trovato affascinante è la Tierra del Fuego. Eravamo in un albergo sulle rive del canale di Beagle nei pressi di Ushuaia, il capoluogo, da dove si vede, dall’altra parte, l’isola Navarino in Cile. Sarei rimasto sei mesi in quell’albergo a guardare il canale (e che canale!) e le vette aguzze e innevate tutto intorno: non particolarmente alte, ma stupende e sognanti. Non so come descrivere Ushuaia: è un misto tra Scozia, Irlanda, Galles e Inghilterra con un tocco di Spagna (la lingua). L’atmosfera del centro è come quella di un paesino dell’alto Adige o di una ‘High Street’ di un paese della contea del Devonshire in Inghilterra. È anche il paese delle confessioni religiose, ce ne sono tante: una tipica chiesa dei Mormoni con la guglia svettante bianca, la chiesa metodista, la chiesa battista, e la lista continua.
Ho mangiato veramente bene in Argentina e bevuto ancora meglio, si potrebbe quasi definire un percorso culinario. È un viaggio che ricordo con molto piacere… Lontano dalla pazza folla, ottima cucina, buonissimo vino, paesaggi da favola, aria buona e vento. Sì, il vento è onnipresente e può dare fastidio ma, dato che il sottoscritto non è della Val Padana ma un isolano, sa apprezzare il vento.
Siamo passati poi in Cile al parco del Paine con vette dolomitiche. All’entrata del parco si trova il magnifico lago Sarmiento, un contrasto stridente con il vellutto delle praterie, le falesie che si frastagliano sulle fiancate delle montagne e le vette alte e aguzze. Il posto che ricordo con più ardore nel parco è il lago Grey. Quando siamo arrivati soffiava un vento talmente forte che non si stava in piedi! Il ristorante e bar del lodge dove dormivamo ha la vista sul lago. Ci sono delle grandi vetrate. Ogni vetrata è come un quadro e ogni quadro ha un soggetto: un pino storto con i rami piegati in due, un pino di alto fusto maltrattato dal vento, un angolo recondito del lago. Osservando la veduta da ogni singola finestra, mi sembrava di tuffarmi in un acquarello giapponese o cinese, dove si coglie un soggetto, il tema dell’opera d’arte. Quello che maggiormente colpisce in Patagonia è la nitidezza dell’atmosfera, quasi cristallina. Soltanto in un posto sperduto del Tibet ho avuto la stessa sensazione.
Un altro posto incredibile è Puerto Natales, sempre in Cile, sulle sponde del fiordo dell’Ultima Speranza. Di nuovo avevamo l’albergo sul fiordo. L’alba e il tramonto sono i momenti più belli. Ho consumato le scarpe camminando avanti e indietro sul lungo fiordo. In distanza, oltre il fiordo o seno, come dicono loro, s’intravedono picchi alti…apparentemente irruggiungibili. Già il nome Ultima Speranza evoca qualche cosa che sta per finire, l’ultima spiaggia, dopo di che, se la speranza non si realizza, svanisce per sempre: c’è il buio o il nulla.
Friedrich Nietzsche una volta disse: “La Speranza: essa è in verità il peggiore dei mali, perché prolunga la sofferenza degli uomini”.
Io però sono d’accordo con Gerhard Richter, un pittore tedesco, che disse: “L’arte è la forma più alta della speranza”. Arte in tutte le sue forme e manifestazioni. Guardando il fiordo immenso, i picchi in distanza, le nuvole che volano nel cielo e che si tingono di rosso al tramonto, i gabbiani che volano e che si posano sul lungofiordo, il ghiacciao che sfiora il fiordo, un bambino che gioca con i sassi… Sì, credo che la speranza ci sia: di continuare a vivere ed assaporare l’arte delle bellezze naturali di questo meraviglioso pianeta.
Sì, la speranza c’è e probabilmente non è l’ultima. Vi lascio con un aforisma cinese: “Per quanto lunga sia la veste della tua vita, essa non supererà la statura della tua speranza”.