martedì 9 settembre 2008

Ladakh


Il Ladakh è chiamato il piccolo Tibet, e si trova nello stato indiano Jammu e Kashmir. Geograficamente e antropologicamente parte del Tibet e non del sub-continente indiano, il Ladakh è diventato una meta molto popolare in questi ultimi anni, soprattutto tra i giovani saccopelisti.

La prima volta che sono stato nel Ladakh risale al 1987. Ho volato a Srinagar, nel Kashmir, da Delhi e poi in aereo da Srinagar a Leh, un percorso sopra le vette della catena montuosa dello Zanskar. Nella valle di Leh ci sono tanti monasteri da visitare, più e meno belli. Ho fatto rafting sul fiume Indo tra Leh e Nimmu: un percorso molto bello e vario, ma lo raccomando soltanto a esperti perché ci sono un paio di rapide in due anse strette che sono veramente vorticose e c’è un pericolo reale di schiantarsi contro la roccia. Il mio gommone si è sbattutto contro la roccia dalla forza dell’acqua, ma fortunatamente ci siamo liberati senza difficoltà e senza alcun danno. È stata un’esperienza irrepetibile. Dopo le rapide si giunge in acque calme e tranquille dove il silenzio regna in mezzo ad alte pareti rocciose e sotto un cielo azzurro cobalto. Ricorda un’antica lirica giapponese che dice “Scorre tra vortici contro le rocce il fiume, ma poi le acque in uno stagno sostano che rispecchia la luna”.

Riprendo la macchina e proseguo per Alchi, famoso per l’antico complesso templare vecchio di ottocento anni. Il tempio principale contiene murali e sculture incredibili che rivelano uno stile di arte buddhista molto raro per le sue influenze persiane e greco-romane. Arrivo infine al bruttissimo paese di Kargil, la porta d’ingresso per accedere alla valle dello Zanskar. Dormo in un albergo del centro. Aspetto un mezzo che deve arrivare da Srinagar con tutti i viveri per portarmi nella valle dello Zanskar, ma non arriva. Parto con ventiquattro ore di ritardo perché il mezzo è rimasto bloccato in fondo all’orrido che conduce a Drass, strada piena di curve, frequentata da lunghissime colonne militari e a senso alternato.

Finalmente si parte. Dopo circa 4 ore di strada sterrata ci si ferma per fare una passeggiata (direi una sfacchinata più che una passeggiata). La macchina intanto va avanti a preparare le tende e la cena. La passeggiata è in salita, un dislivello di 800 metri, ma ad un certo momento comincia a piovere e il terreno diventa molto scivoloso. Si fa fatica a salire perché si scivola continuamente (forse avevo le scarpe sbagliate), ma una volta sulla cresta la vista ripaga di tutta la fatica. Davanti si trovano le due vette più alte del Ladakh, Nun e Kun, a più di 7000 metri! Il temporale si sta allontando e le nuvole si alzano. Che meraviglia, due montagne gemelle, cariche di neve e ghiaccio! Si vede dall’alto il campo in preparazione. Si arriva bagnati, affaticati ma felici.

Successivamente si raggiunge l’isolato monastero di Rangdum, situato su una collinetta morenica al centro di una valle incredibile, dove la prateria è coperta da innumerevoli stelle alpine. Mi ricordo che il monaco vendeva vecchi (o antichi) arredi del tempio. In realtà si entra nella valle dello Zanskar soltanto dopo aver superato il passo Pensi La (4400 metri slm). Il passo è pieno di marmotte e si sentono distintamente i loro strani versi. Si vedono erette e pronte a scattare, sul declivio della montagna. Poco dopo il passo s’incontra il ghiacciaio di Drung Drung, lungo più di 10 km. Si mette giù la tenda ad Abrang, vicino al fiume, in un prato letteralmente coperto di stelle alpine. Infine si arriva al capoluogo della valle, Padam, un postaccio orribile. Padum un generatore ce l'ha, ma non funziona sempre, funziona un paio d'ore al giorno, se va bene. Ma tanto si dorme in tenda, chi ha bisogno dell’elettricità? In compenso il paesaggio è fantastico.

Sani invece, nelle vicinanze di Padam, è costituito da un bel villaggio tibetano e dall’antico monastero, costruito su una piattaforma pianeggiante della valle. Tutti i paesi prima di Rangdum sono abitati da musulmani sunniti mentre i villaggi della valle sono quasi esclusivamente tibetani. La valle dello Zanskar è abitata da buddhisti. Soltanto il capoluogo Padam è misto, dove metà della popolazione è musulmana. Nelle vicinanze si trovano altri bellissimi monasteri, ad esempio Stongde e Karsha. Dal monastero di Karsha si ha una veduta magnifica sulla valle di Padam e dal monastero si possono vedere le due vette gemelle Nun e Kun. La cosa più bella comunque è camminare. Ogni mattina presto, dopo colazione, si lascia il campo e si procede a piedi. In seguito arriva la jeep che porta al campo successivo.

La valle dello Zanskar ha un clima secco e le montagne sono prive di alberi. In questi ultimi vent’anni hanno cominciato a piantare dei betulli vicino al fiume, ma se non ricevono acqua seccano. La valle dello Zanskar è come un’isola. D’inverno, e credo per quasi otto mesi all’anno, è isolata, i passi chiusi per via della neve. La vita è molto dura.

È interessante visitare una casa tipicamente “tibetana”. Mi ha colpito la cucina grande e piena di utensili di rame. La popolazione buddhista della valle è molto cordiale. Invariabilmente ti offre il tè alla tsampa. La tsampa si ricava dall'orzo tostato, una farina dal sapore che ricorda la nocciola e che può essere consumata in polvere, aiutandosi con le mani, oppure impastata con l'acqua per ottenere grosse palle. La tsampa viene mescolata al tè e al latte con l’aggiunta di zucchero. L’igiene non è il loro forte. Cerco di non berlo, ma quando insistono non posso rifiutare. Lo mando giù a malavoglia e spero che non succeda nulla!

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