Ultime notizie: il racconto di viaggio è stato scritto prima del forte terremoto che ha colpito la Repubblica Kirghisa alcuni giorni fa, in una zona impervia e isolata vicino a Sary-Tash. In realtà, ci sono state due forti scosse, una dalla parte kirghisa e l’altra dalla parte cinese, entrambe a circa 60 km da Sary-Tash. Ho avuto notizie dirette e so che non ci sono state vittime a Sary-Tash, soltanto qualche crepa ma nessun crollo. Durante il viaggio abbiamo dormito a Sary-Tash, quindi ero molto preoccupato per la famiglia che ci ha ospitato e per gli altri abitanti. Il villaggio colpito invece si chiama Nura, dove sono decedute 74 persone. Il villaggio è stato completamente raso al suolo. Dispiace veramente tanto.
Lo scorso agosto 2008 ho accompagnato un viaggio in Asia Centrale della durata di 26 giorni. È stato un ottimo gruppo, molto paziente e collaborativo. Il viaggio ha toccato tre paesi: Cina, Repubblica Kirghisa e Uzbekistan. Da Urumqi, il capoluogo della provincia autonoma uigura dello Sinkiang (Xinjiang), siamo arrivati all’oasi di Turfan (Turpan), una depressione sotto il livello del mare. Di pomeriggio c’erano 46 gradi. Io soffro il caldo, ma il calore di Turfan mi ha asciugato il corpo e tolto tutti i dolori!
Turfan è cambiata molto in questi ultimi anni. È quasi irriconoscibile. Il percorso fino alle grotte buddhiste di Bezeklik è stupendo. Le grotte si trovano nascoste in una stretta valle circondata da montagne nude e sabbiose. Nella stretta valle lungo il fiume si trova un’oasi. I colori, soprattutto di pomeriggio, sono bellissimi. Alcuni archeologi occidentali, soprattutto Sir Aurel Stein e Albert von Le Coq, spogliarono le grotte dagli affreschi. Ora si trovano nei musei di Londra, Berlino e San Pietroburgo e gli affreschi che rimasero furono “saccheggiati” dalle guardie rosse durante la rivoluzione culturale alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70. Purtroppo, in situ, c’è poco da vedere. Fanno vedere poche grotte, cinque o sei in tutto. Un paio di grotte sono ancora piuttosto belle, ma purtroppo abbastanza rovinate. Peccato!
Il viaggio segue la “Via della Seta” tra la catena montuosa del Tian Shan da una parte e il bacino del Tarim dall’altra. Si arriva a Kashgar (di cui ho già parlato più volte). Ora comincia la parte più “avventurosa”: l’ingresso nella Repubblica Kirghisa. Da Kashgar si sale verso il confine, in mezzo a montagne colorate soprattutto di rosso. Comincia a piovere, si vedono attraverso le nuvole vette innevate. Fa freddo! Poi il cielo si apre, le nuvole se ne vanno e il cielo diventa azzurro e l’atmosfera tersa. Arriviamo al confine cinese. Scarichiamo le valigie e passiamo agevolmente la dogana (soltanto una valigia viene aperta). È tutto molto ben organizzato. L’immigrazione (controllo passaporto) è abbastanza veloce. Ricarichiamo le valigie sul nostro pullman cinese, che ci porta a circa sei o sette chilometri al confine della Repubblica Kirghisa. Smontiamo in mezzo alla strada, prendiamo le nostre valigie e camminiamo in discesa (meno male) per circa 200 metri. Fortunatamente il tempo è bello. Non oso pensare se avesse piovuto, sarebbe stato un verso disastro. Aspettiamo circa venti minuti nell’attesa dei nostri tre pullmini kirghisi.
Incontriamo un gruppetto di neozelandesi che vanno nel Tagikistan per fare trekking e, poiché la loro macchina non arriva, diamo loro un passaggio fino al controllo passaporto nel villaggio a pochi chilometri di distanza. Il manto stradale è sempre bello come in Cina e comincio a sperare... so per esperienza che le strade kirghise di montagna sono terribili. In effetti, pochi chilometri dopo il villaggio dove abbiamo “scaricato” i neozelandesi, la strada diventa sterrata e poi una sassaia! Percorriamo 70 km in tre ore! Ma il paesaggio è così bello e grandioso che il fondo stradale diventa secondario rispetto al paesaggio incredibile che ci circonda. Purtroppo con la fretta non abbiamo caricato bene le valige e ci cadono addosso. Più tardi sistemo le valige in maniera più razionale. Torniamo al paesaggio. Da una parte ammiriamo la catena montuosa di Arka Alai, con vette innevate da 5000 e 6000 metri. La vetta più alta si chiama Kurumdy, al confine tra Cina, Tagikistan e Repubblica Kirghisa (6813 m). Sotto di noi c’è un immenso altopiano verde dove le bestie brucano durante la stagione estiva. Arriviamo infine a Sary Tash, un paese relativamente nuovo.
Fu fondato credo negli anni ’50, quando hanno cominciato a costruire la strada. È un paese ordinato con i tetti spioventi di lamiera. Stanno asciugando il fieno sui tetti. Nel villaggio raccolgono lo sterco delle mucche e fanno ordinate cataste. Lo sterco viene usato come combustibile. Dormiamo in una casa privata. I servizi sono rudimentali e dormiamo in comunità divise in tre stanze. Dormiamo sui tipici materassi in terra con coperte variopinte. La signora di casa è cordiale e pulita e le sue bimbe sono deliziose. Ci prepara la cena, il pilaff, che va benissimo. Serve delle albicocche sciroppate che sono la fine del mondo.
La notte passa tranquillamente e ripartiamo. L’arrivo nella Repubblica Kirghisa è stato un po’ traumatico a causa delle strade (direi piste, in alcuni casi quasi mulattiere) infami, delle valigie accatastate nei pullmini piuttosto stretti, della sistemazione in case private senza comodità, ma il ricordo rimane molto vivo. Tornerei a Sary Tash domani e ci starei qualche giorno.
La discesa ad Osh è regolare. Sempre paesaggi belli, formazioni rocciose straordinarie, colori da non credere, ma la strada è sempre terribile, meglio della prima parte, ma mette a dura prova i nervi. Arriviamo ad Osh nelle propaggini della valle di Fergana. Siamo in un albergo decente proprio di fianco al mercato. Il mercato di Osh è straordinario, probabilmente più bello di quello più famoso di Kashgar. Anche se siamo ancora nella Repubblica Kirghisa, l’Uzbekistan è a pochi chilometri e il quaranta percento della popolazione di Osh è uzbeka. I kirghisi sono sostanzialmente nomadi, e anche se alcuni si sono trasferiti ad Osh (una tattica del governo per contrastare l’ex-maggioranza uzbeka), nel loro intimo il nomadismo fa parte integrale della loro vita. La Repubblica Kirghisa è un paese per alpinisti e trekkisti. Chi fa un percorso “culturale” deve adattarsi alla mentalità poco imprenditoriale. Cambierà? Probabilmente il fascino del posto è proprio questo: lo spirito libero. Perché devono adattarsi a noi anziché noi adattarci a loro?
Credo che sia significativo questo semplice proverbio: "Si può viaggiare non per fuggire da se stessi, cosa impossibile, ma per ritrovarsi”. Riusciamo a “ritrovarci” in alberghi di super-lusso? Non credo, almeno non il sottoscritto. Affrontare esperienze particolari ci tempra e ci fa capire come siamo dentro. Ritornare alla semplicità ci può premiare. Comunque, mi rendo conto che sono considerazioni molto personali. Ritornando al viaggio, da Osh entriamo in Uzbekistan. Ma di questo vi parlerò un’altra volta!
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