Spostiamoci dall’area indiana all’area del sud-est asiatico, esattamente in Birmania (Burma), nome legato all'etnia maggioritaria dei Bamar. Dal 1988 si chiama Myanmar. In realtà il nome Myanmar incominciò a diffondersi con l'arrivo dei Mongoli nel XIII sec. ma non prese mai piede per via dell’etnia dominante dei Bamar. In Gran Bretagna viene usato il nome Burma, che probabilmente è legato alle guerre Anglo-Birmane, combattute nel XIX sec. La Birmania fu sconfitta dai britannici e si trasformò in una provincia dell’India britannica, dalla quale si distaccò nel 1937.
Il paese piace moltissimo ai turisti. Lasciamo stare la giunta militare intransigente che assume una connotazione negativa. Il paese si presenta soave, dolce e attraente (la parola appealing in inglese rende bene l’idea). Ci sono alcuni momenti di grande cultura come, ad esempio, Pagan (Bagan). Fu la vecchia capitale di parecchi regni antichi in Birmania. Centinaia di templi ed edifici religiosi si trovano nell’ansa del grande fiume Irawaddy. Salendo sulla collina di fronte oppure su uno dei tanti templi la vista dei templi è impagabile. Furono poi proprio i mongoli a far cadere Pagan. Fu saccheggiata e molte reliquie religiose furono rubate e portate via. Un altro momento magico è la visita dello stupa dorato alto 98 metri di Shwedagon a Rangoon (Yangon). Non è bello soltanto lo stupa dorato, ma tutto il complesso. Si accede dalla strada con l’ascensore, non è particolarmente romantico o suggestivo, ma una volta sulla ‘piattaforma’ circolare l’atmosfera diventa elettrizzante. Ci sono tantissimi stupa, tempietti e piccole pagode disseminati attorno allo stupa centrale. Tanti adoratori frequentano il posto. Molti sono seduti in contemplazione, altri fissano il sole in trance. Altri fanno la deambulazione attorno allo Shwedagon, rigorosamente in senso orario. Alla domenica ci sono tante famiglie che frequentano il complesso.
Venticinque anni fa, quando sono andato in Birmania per la prima volta, si poteva restare al massimo otto giorni. Sul breve volo Bangkok/Rangoon bisognava compilare un sacco di moduli per l’immigrazione, per la dogana e quant’altro. Il viaggio è breve, 40 minuti credo, e per compilare tutti i numerosi moduli il tempo era appena sufficiente. Poi, una volta sbarcati al fatiscente aeroporto di Rangoon, bisognava affrontare la barriera dei doganieri. Per far passare un gruppo indenne attraverso l’immigrazione e la dogana era obbligatorio passare sotto banco bottiglie di whisky e stecche di sigarette, altrimenti ti trattenevano per ore e ti facevano aprire tutte le valigie. Gli ufficiali erano tutti corrotti. In realtà non potevano non farti entrare avendo un visto regolare e anziché ‘corromperli’ si poteva aspettare, far aprire tutte le valigie e subire le loro angherie. Sarebbe stato più corretto da parte mia, ma vi assicuro che passare questi ‘regali’ sotto banco era la cosa più semplice per me e per il gruppo.
Venticinque anni fa gli alberghi erano tutti fatiscenti. L’albergo migliore allora era l’Inya Lake Palace. I letti nelle camere erano spostati rispetto alla parete per via dei bagarozzi. Ogni sera venivano a disinfettare la camera con il DDT. Almeno non c’era l’ombra di una zanzara! L’albergo Strand, un edificio storico nel centro di Rangoon oggi di gran lusso, era molto fatiscente, direi cadente. Mi ricordo di aver bevuto una ‘lime soda’ fresca al banco del bar, che era infestato di bagarozzi! Allora il vitto era insufficiente e cattivo, a parte qualche ristorante specializzato in cucina cinese. Si beveva ancora peggio. Era difficile trovare acqua minerale o acqua imbottigliata, soprattutto fuori Rangoon. Mi ricordo che, quando siamo arrivati a Pagan, avevamo una sete incredibile ma non c’era niente da bere. Anzi, c’era da bere ma solo bibite locali: una specie di Sprite, tremendamente dolciastra e poco dissettante, una schifezza vomitosa. Potete sicuramente immaginare la qualità degli alberghi fuori Rangoon. Tutti questi ‘vecchi’ alberghi sono stati completamente rinnovati e molti altri costruiti nuovi con gli aiuti internazionali. La situazione è cambiata notevolmente, anzi capovolta. Ma credetemi non è più la stessa cosa. Da allora il governo ha fatto dei lavori ‘disgustosi’ di restauro soprattutto a Pegu, ex-capitale, fondata dai Mon di Thaton nel VI sec. d.C. Sembra tutto fatto ieri. A Pindaya, non lontano dal lago Inle, in grotte di roccia calcarea si trovano migliaia di statue del buddha. È molto suggestivo ma ora hanno costruito un ascensore che porta all’ingresso. Un vero obbrobrio! Prima si saliva una lunga e ripida scalinata. Questi sono soltanto due esempi degli scempi che hanno fatto. Non c’è la mentalità del ‘restauro’.
Comunque è sempre un bel paese, la gente è molto affabile. Spesso s’incappa in manifestazioni religiose con centinaia di monaci e adoratori. Sono incontri inaspettati, che rendono il viaggio molto significativo. Allora non si poteva fare via terra. Bisognava per forza prendere l’aereo Rangoon/Heho (per Pindaya e lago Inle), Heho/Mandalay, Mandalay/Pagan e Pagan/Heho. A parte il fatto che non c’erano strade, le poche che c’erano erano mulattiere piene di buchi, che dico, piene di voragini. Gli aeromobili erano vecchi e maltenuti e tutti ad elica (che va anche bene quando l’aeromobile è in ordine). Mi ricordo che il volo per Heho da Mandalay non riusciva a decollare. Navigava appena sopra il folto cappello degli alberi. Lo steward vedendo le persone preoccupate disse: “Il pilota vola basso per permettervi di fare le foto”. Improvvisamente l’aereo vira in alto, il problema tecnico era stato risolto! Allora ci voleva fegato per fare un viaggio in Birmania. Ora le cose sono assai diverse, tutto comfort. Ma chi è stato in Birmania allora non dimentica e non dimenticherà mai l’avventura.
Il paese piace moltissimo ai turisti. Lasciamo stare la giunta militare intransigente che assume una connotazione negativa. Il paese si presenta soave, dolce e attraente (la parola appealing in inglese rende bene l’idea). Ci sono alcuni momenti di grande cultura come, ad esempio, Pagan (Bagan). Fu la vecchia capitale di parecchi regni antichi in Birmania. Centinaia di templi ed edifici religiosi si trovano nell’ansa del grande fiume Irawaddy. Salendo sulla collina di fronte oppure su uno dei tanti templi la vista dei templi è impagabile. Furono poi proprio i mongoli a far cadere Pagan. Fu saccheggiata e molte reliquie religiose furono rubate e portate via. Un altro momento magico è la visita dello stupa dorato alto 98 metri di Shwedagon a Rangoon (Yangon). Non è bello soltanto lo stupa dorato, ma tutto il complesso. Si accede dalla strada con l’ascensore, non è particolarmente romantico o suggestivo, ma una volta sulla ‘piattaforma’ circolare l’atmosfera diventa elettrizzante. Ci sono tantissimi stupa, tempietti e piccole pagode disseminati attorno allo stupa centrale. Tanti adoratori frequentano il posto. Molti sono seduti in contemplazione, altri fissano il sole in trance. Altri fanno la deambulazione attorno allo Shwedagon, rigorosamente in senso orario. Alla domenica ci sono tante famiglie che frequentano il complesso.
Venticinque anni fa, quando sono andato in Birmania per la prima volta, si poteva restare al massimo otto giorni. Sul breve volo Bangkok/Rangoon bisognava compilare un sacco di moduli per l’immigrazione, per la dogana e quant’altro. Il viaggio è breve, 40 minuti credo, e per compilare tutti i numerosi moduli il tempo era appena sufficiente. Poi, una volta sbarcati al fatiscente aeroporto di Rangoon, bisognava affrontare la barriera dei doganieri. Per far passare un gruppo indenne attraverso l’immigrazione e la dogana era obbligatorio passare sotto banco bottiglie di whisky e stecche di sigarette, altrimenti ti trattenevano per ore e ti facevano aprire tutte le valigie. Gli ufficiali erano tutti corrotti. In realtà non potevano non farti entrare avendo un visto regolare e anziché ‘corromperli’ si poteva aspettare, far aprire tutte le valigie e subire le loro angherie. Sarebbe stato più corretto da parte mia, ma vi assicuro che passare questi ‘regali’ sotto banco era la cosa più semplice per me e per il gruppo.
Venticinque anni fa gli alberghi erano tutti fatiscenti. L’albergo migliore allora era l’Inya Lake Palace. I letti nelle camere erano spostati rispetto alla parete per via dei bagarozzi. Ogni sera venivano a disinfettare la camera con il DDT. Almeno non c’era l’ombra di una zanzara! L’albergo Strand, un edificio storico nel centro di Rangoon oggi di gran lusso, era molto fatiscente, direi cadente. Mi ricordo di aver bevuto una ‘lime soda’ fresca al banco del bar, che era infestato di bagarozzi! Allora il vitto era insufficiente e cattivo, a parte qualche ristorante specializzato in cucina cinese. Si beveva ancora peggio. Era difficile trovare acqua minerale o acqua imbottigliata, soprattutto fuori Rangoon. Mi ricordo che, quando siamo arrivati a Pagan, avevamo una sete incredibile ma non c’era niente da bere. Anzi, c’era da bere ma solo bibite locali: una specie di Sprite, tremendamente dolciastra e poco dissettante, una schifezza vomitosa. Potete sicuramente immaginare la qualità degli alberghi fuori Rangoon. Tutti questi ‘vecchi’ alberghi sono stati completamente rinnovati e molti altri costruiti nuovi con gli aiuti internazionali. La situazione è cambiata notevolmente, anzi capovolta. Ma credetemi non è più la stessa cosa. Da allora il governo ha fatto dei lavori ‘disgustosi’ di restauro soprattutto a Pegu, ex-capitale, fondata dai Mon di Thaton nel VI sec. d.C. Sembra tutto fatto ieri. A Pindaya, non lontano dal lago Inle, in grotte di roccia calcarea si trovano migliaia di statue del buddha. È molto suggestivo ma ora hanno costruito un ascensore che porta all’ingresso. Un vero obbrobrio! Prima si saliva una lunga e ripida scalinata. Questi sono soltanto due esempi degli scempi che hanno fatto. Non c’è la mentalità del ‘restauro’.
Comunque è sempre un bel paese, la gente è molto affabile. Spesso s’incappa in manifestazioni religiose con centinaia di monaci e adoratori. Sono incontri inaspettati, che rendono il viaggio molto significativo. Allora non si poteva fare via terra. Bisognava per forza prendere l’aereo Rangoon/Heho (per Pindaya e lago Inle), Heho/Mandalay, Mandalay/Pagan e Pagan/Heho. A parte il fatto che non c’erano strade, le poche che c’erano erano mulattiere piene di buchi, che dico, piene di voragini. Gli aeromobili erano vecchi e maltenuti e tutti ad elica (che va anche bene quando l’aeromobile è in ordine). Mi ricordo che il volo per Heho da Mandalay non riusciva a decollare. Navigava appena sopra il folto cappello degli alberi. Lo steward vedendo le persone preoccupate disse: “Il pilota vola basso per permettervi di fare le foto”. Improvvisamente l’aereo vira in alto, il problema tecnico era stato risolto! Allora ci voleva fegato per fare un viaggio in Birmania. Ora le cose sono assai diverse, tutto comfort. Ma chi è stato in Birmania allora non dimentica e non dimenticherà mai l’avventura.
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