mercoledì 23 dicembre 2009

GIAPPONE

Molti pensano che il Giappone sia una nazione modernissima e industrializzata, e niente più. Ma sapevate che il Giappone è una delle nazioni più boscose del mondo? Sapevate che il Giappone custodisce tesori inestimabili, templi e monasteri lignei di grande valore, giardini zen strepitosi e musei grandiosi? Sapevate che nonostante la modernità il Giappone ha mantenuto le sue antiche tradizioni molto più di quanto abbiamo fatto noi? Ho avuto il ‘privilegio’ di recarmi in Giappone una volta e sono rimasto profondamente colpito. Prima di partire avevo qualche preoccupazione. Molti giapponesi non parlano altre lingue, pochissimi l’inglese. “Come farò a farmi capire?” continuavo a chiedermi. Come farò a leggere la loro scrittura, i nomi delle strade, delle stazioni, a viaggiare in metropolitana, ecc.? L’organizzazione giapponese, si sa, è nota a tutti e l’ho riscontrato personalmente. Tutto funziona alla perfezione o quasi. La grande area di Tokyo è una megalopoli che conta 35 milioni di abitanti! Eppure, la fitta, fittissima rete della metropolitana funziona che è una meraviglia. Tutto è scritto in caratteri latini, oltre che in giapponese naturalmente. Le biglietterie automatiche sono facilissime da usare. Danno sempre il resto anche se metti una banconota di grosso taglio e sono velocissime. Poi ci sono i treni ad alta velocità “Shinkansen” - che indica la linea e non il singolo convoglio. Shinkansen vuol dire “nuovo tronco ferroviario” e vi viaggiano i cosiddetti “treni proiettile” (bullet train). L’organizzazione del traffico passeggeri è grandiosa. Prevede vari accorgimenti come la banchina a filo della soglia del treno, con una distanza molto ridotta tra la banchina e la soglia; linee a terra numerate che delimitano il punto esatto in cui la porta del treno si aprirà, in modo che i passeggeri possano attendere più ordinatamente l’arrivo; le operazioni di entrata e uscita sono rapidissime anche grazie all’abitudine dei giapponesi di viaggiare “leggeri”, cioè di spedire a parte i bagagli ingombranti (solitamente gli unici che trasportano valigie voluminose sono gli occidentali). I passeggeri in arrivo scendono da una parte mentre i passeggeri in partenza salgono dall’altra. In pratica ci sono due marciapiedi. E che dire della puntualità? E’ esemplare: si stimano ritardi medi inferiori ai dieci secondi. L’efficienza del Giappone è proverbiale ma è una realtà.
Sapevate che il Giappone è il posto al mondo dove si registrano il maggior numero di terremoti? Questo perché la piattaforma del Pacifico, quella delle Filippine e quella Eurasiatica vengono violentemente a contatto e l’arcipelago giapponese ci si trova sopra! Il Giappone è il paese con la migliore organizzazione contro i sismi del mondo. Nell’edilizia vengono infatti utilizzati materiali elastici in grado di assorbire le onde d’urto: le fondamenta dei grattacieli di Tokio per esempio poggiano su una sorta di gigantesche molle che sono in grado di scaricare l’energia tettonica e preservare così le strutture. Quando si verifica una scossa, la rete radiotelevisiva diffonde contemporaneamente alle immagini un allarme acustico, che può essere udito anche a radio spenta; dopo due minuti vengono fornite ai cittadini le notizie sull’intensità, sull’epicentro della scossa e sull’eventuale pericolo di maremoto, con l’ora dell’ondata di tsunami prevista. Pensate che a Tokyo un sisma del 7° grado causerebbe solo 400 vittime, in Calabria 32 mila, secondo una stima.
Il Giappone conta una popolazione di circa 128 milioni di persone, e con una superficie di 377.835 chilometri quadrati ha un'altissima densità demografica; eppure, come ho scritto sopra, è una delle nazioni più verdi al mondo. Quasi tutte le città e megalopoli rimangono in pianura o sulle rive del mare. Tutta la parte montagnosa è scarsamente popolata e interamente coperta da boschi.
Per apprezzare il paesaggio boschivo bisognerebbe recarsi al Miho Museum progettato da Pei. Si trova a sudest di Kyoto. Contiene rarissimi pezzi antichi, provenienti soprattutto dall’Asia e dall’Europa. Ogni pezzo è stato accuratamente selezionato, sia per l'intrinseca bellezza artistica che per il significato storico. La cosa che colpisce maggiormente, a parte l’architettura stessa del complesso, è l'attenzione particolare che viene posta sul modo in cui le opere sono presentate al visitatore. Il museo rimane isolato sulle colline e totalmente circondato da boschi. L’autunno è il momento migliore. I colori delle foglie sono accesi, con tante sfumature dal rosso al giallo e dal marrone al verde dei pini. È un contrasto indimenticabile se visto attraverso le finestre del museo.
L’esperienza giapponese mi ha segnato profondamente. Ci sono molte altre cose da dire e riprenderò a parlare del Giappone dopo le feste, al mio ritorno dall’India.

venerdì 11 dicembre 2009

BURMA

Spostiamoci dall’area indiana all’area del sud-est asiatico, esattamente in Birmania (Burma), nome legato all'etnia maggioritaria dei Bamar. Dal 1988 si chiama Myanmar. In realtà il nome Myanmar incominciò a diffondersi con l'arrivo dei Mongoli nel XIII sec. ma non prese mai piede per via dell’etnia dominante dei Bamar. In Gran Bretagna viene usato il nome Burma, che probabilmente è legato alle guerre Anglo-Birmane, combattute nel XIX sec. La Birmania fu sconfitta dai britannici e si trasformò in una provincia dell’India britannica, dalla quale si distaccò nel 1937.
Il paese piace moltissimo ai turisti. Lasciamo stare la giunta militare intransigente che assume una connotazione negativa. Il paese si presenta soave, dolce e attraente (la parola appealing in inglese rende bene l’idea). Ci sono alcuni momenti di grande cultura come, ad esempio, Pagan (Bagan). Fu la vecchia capitale di parecchi regni antichi in Birmania. Centinaia di templi ed edifici religiosi si trovano nell’ansa del grande fiume Irawaddy. Salendo sulla collina di fronte oppure su uno dei tanti templi la vista dei templi è impagabile. Furono poi proprio i mongoli a far cadere Pagan. Fu saccheggiata e molte reliquie religiose furono rubate e portate via. Un altro momento magico è la visita dello stupa dorato alto 98 metri di Shwedagon a Rangoon (Yangon). Non è bello soltanto lo stupa dorato, ma tutto il complesso. Si accede dalla strada con l’ascensore, non è particolarmente romantico o suggestivo, ma una volta sulla ‘piattaforma’ circolare l’atmosfera diventa elettrizzante. Ci sono tantissimi stupa, tempietti e piccole pagode disseminati attorno allo stupa centrale. Tanti adoratori frequentano il posto. Molti sono seduti in contemplazione, altri fissano il sole in trance. Altri fanno la deambulazione attorno allo Shwedagon, rigorosamente in senso orario. Alla domenica ci sono tante famiglie che frequentano il complesso.
Venticinque anni fa, quando sono andato in Birmania per la prima volta, si poteva restare al massimo otto giorni. Sul breve volo Bangkok/Rangoon bisognava compilare un sacco di moduli per l’immigrazione, per la dogana e quant’altro. Il viaggio è breve, 40 minuti credo, e per compilare tutti i numerosi moduli il tempo era appena sufficiente. Poi, una volta sbarcati al fatiscente aeroporto di Rangoon, bisognava affrontare la barriera dei doganieri. Per far passare un gruppo indenne attraverso l’immigrazione e la dogana era obbligatorio passare sotto banco bottiglie di whisky e stecche di sigarette, altrimenti ti trattenevano per ore e ti facevano aprire tutte le valigie. Gli ufficiali erano tutti corrotti. In realtà non potevano non farti entrare avendo un visto regolare e anziché ‘corromperli’ si poteva aspettare, far aprire tutte le valigie e subire le loro angherie. Sarebbe stato più corretto da parte mia, ma vi assicuro che passare questi ‘regali’ sotto banco era la cosa più semplice per me e per il gruppo.
Venticinque anni fa gli alberghi erano tutti fatiscenti. L’albergo migliore allora era l’Inya Lake Palace. I letti nelle camere erano spostati rispetto alla parete per via dei bagarozzi. Ogni sera venivano a disinfettare la camera con il DDT. Almeno non c’era l’ombra di una zanzara! L’albergo Strand, un edificio storico nel centro di Rangoon oggi di gran lusso, era molto fatiscente, direi cadente. Mi ricordo di aver bevuto una ‘lime soda’ fresca al banco del bar, che era infestato di bagarozzi! Allora il vitto era insufficiente e cattivo, a parte qualche ristorante specializzato in cucina cinese. Si beveva ancora peggio. Era difficile trovare acqua minerale o acqua imbottigliata, soprattutto fuori Rangoon. Mi ricordo che, quando siamo arrivati a Pagan, avevamo una sete incredibile ma non c’era niente da bere. Anzi, c’era da bere ma solo bibite locali: una specie di Sprite, tremendamente dolciastra e poco dissettante, una schifezza vomitosa. Potete sicuramente immaginare la qualità degli alberghi fuori Rangoon. Tutti questi ‘vecchi’ alberghi sono stati completamente rinnovati e molti altri costruiti nuovi con gli aiuti internazionali. La situazione è cambiata notevolmente, anzi capovolta. Ma credetemi non è più la stessa cosa. Da allora il governo ha fatto dei lavori ‘disgustosi’ di restauro soprattutto a Pegu, ex-capitale, fondata dai Mon di Thaton nel VI sec. d.C. Sembra tutto fatto ieri. A Pindaya, non lontano dal lago Inle, in grotte di roccia calcarea si trovano migliaia di statue del buddha. È molto suggestivo ma ora hanno costruito un ascensore che porta all’ingresso. Un vero obbrobrio! Prima si saliva una lunga e ripida scalinata. Questi sono soltanto due esempi degli scempi che hanno fatto. Non c’è la mentalità del ‘restauro’.
Comunque è sempre un bel paese, la gente è molto affabile. Spesso s’incappa in manifestazioni religiose con centinaia di monaci e adoratori. Sono incontri inaspettati, che rendono il viaggio molto significativo. Allora non si poteva fare via terra. Bisognava per forza prendere l’aereo Rangoon/Heho (per Pindaya e lago Inle), Heho/Mandalay, Mandalay/Pagan e Pagan/Heho. A parte il fatto che non c’erano strade, le poche che c’erano erano mulattiere piene di buchi, che dico, piene di voragini. Gli aeromobili erano vecchi e maltenuti e tutti ad elica (che va anche bene quando l’aeromobile è in ordine). Mi ricordo che il volo per Heho da Mandalay non riusciva a decollare. Navigava appena sopra il folto cappello degli alberi. Lo steward vedendo le persone preoccupate disse: “Il pilota vola basso per permettervi di fare le foto”. Improvvisamente l’aereo vira in alto, il problema tecnico era stato risolto! Allora ci voleva fegato per fare un viaggio in Birmania. Ora le cose sono assai diverse, tutto comfort. Ma chi è stato in Birmania allora non dimentica e non dimenticherà mai l’avventura.

martedì 1 dicembre 2009

PAKISTAN

Vorrei parlare ancora del Pakistan, un paese a me molto caro.
Certo è un momentaccio pensare di trascorrere una vacanza in Pakistan, anzi è impensabile al momento.
Molti degli alberghi in cui ho pernottato negli anni scorsi sono stati attaccati da terroristi talebani: alcuni sventrati, altri distrutti con molte vite umane stroncate.
Cito un articolo del Corriere della Sera dell’11 Maggio 2009 sulla situazione di questo paese: “In un’intervi­sta alla NBC (il presidente pachistano Ali Zardari) ha rassicurato che ‘lo Stato non collasserà’ ma ha riconosciuto che il suo pae­se sta combattendo ‘la guerra per la propria esistenza’. Quindi ha ricordato che il pro­blema delle formazioni inte­graliste non è nato oggi, essen­do un’eredità della guerra con­tro i sovietici. La crescita del movimento Mujaheddin negli anni ‘80, ha osservato, «è un cancro creato da noi tutti, Pakistan e America». Una chia­ra
allusione al finanziamento da parte delle intelligence dei due Paesi (e dell’Arabia Saudi­ta) verso gli insorti che si bat­tevano per liberare l’Afghani­stan dall’Armata Rossa”.
Nonostante lo sforzo dell’esercito del governo di combattere ad oltranza ‘Al Qaeda’, la soluzione non è imminente anzi dall'11 Maggio di quest’anno la situazione è precipitata ulteriormente.
Siamo qui non per parlare di combattimenti ma per ricordare un paese intriso di cultura, arte e storia. Nel ricordare il Pakistan non possiamo non citare il più grande orientalista del Novecento, Giuseppe Tucci, fra i massimi tibetologi a livello internazionale. Nel 1956 G.Tucci diede inizio agli scavi nella valle dello Swat. Lo Swat fu uno stato indipendente dell’India, e poi, dopo la partizione del Pakistan, fino al 1969.
G.Tucci disse più volte di amare solo il viaggio lento, in carovana, con gli asini o i cavalli o, meglio ancora, a piedi, una specie di slow-travel! Sarebbe in effetti bello trascorrere qualche mese a visitare i siti archeologici del Pakistan e spendere tempo a Hunza, lungo la Karakoram, per assaporare l’atmosfera del luogo e godere della bellezza mozzafiato e delle montagne. Pensate: la catena montuosa del Karakoram ha la più alta concentrazione di ghiacciai del continente asiatico. Fantastico!
Insieme ad Harappa il sito di Mohenjodaro è una delle più grandi città della civilità della valle dell’Indo. Mohenjodaro significa letteralmente "il monte dei morti", nome che condivide con Lothal sulla costa del golfo di Cambay, nello stato indiano del Gujarat, che diversi lettori hanno visitato. Che dire di Lahore, la seconda città del Pakistan? Dal 1524 al 1752 Lahore fece parte dell’Impero Moghul del quale fu capitale dal 1584 al 1598 sotto Akbar il Grande. I capolavori dell’architettura Moghul sono imponenti come la moschea Badshahi, rossa e bianca, costruita dall’imperatore Aurangzeb agli inizi del secolo XVIII.
Straordinario il contrasto fra il corpo inferiore dell’edificio di pietra arenaria rossa con finissimi intarsi marmorei e le tre cupole a bulbo di marmo bianco che lo sovrastano. Poi c’è l’immenso Forte che mitologicamente viene attribuito a Lava, figlio di Rama, eroe del Ramayana. Dopo varie vicissitudini il Forte fu ricostruito in mattoni dal Akbar sulle vecchie fondazioni. Poi c’è il famoso giardino di Shalimar organizzato attorno a tre terrazze e disseminati di laghetti, cascate e più di quattrocento fontane. E che dire della moschea di Wazir Khan, risalente al XVII secolo, inconfondibile, rivestita di maiolica colorata, caratterizzata da torrette e minareti? Poi c’è il Museo di Lahore contenente importantissimi pezzi dell’arte Gandhara. E ancora c’è appunto la Valle dello Swat (di cui ho già parlato anche in un precedente racconto), importantissima; dal 1 al III secolo d.C. con la Battriana fu al centro dell’Impero Kushana dove fiorì l’arte del Gandhara.

Un posto difficilmente raggiungibile è Quetta, nella provincia pakistana del Baluchistan. La città è isolata da qualsiasi altra città del paese (dista 1000 km da Islamabad, la capitale). La città più vicina si trova in Afganistan, precisamente a Kandahar. Quetta si trova appunto vicina al confine afgano, in un ambiente molto secco e arido circondato da montagne di roccia, brulle, che di giorno sotto il forte sole sembrano irreali, fiabesche e irraggiungibili, mentre si accendono di rosso al tramonto.
I mercati di Quetta sono bellissimi, sembra di tornare indietro nel tempo. E’ qui che si comprano i tappeti più belli del Pakistan, fabbricati dalle tribù nomadiche della zona. Stranamente si trova un paese chiamato Quetta anche in Italia, nel Trentino, che fa parte del comune di Campodenno. Quetta (Pakistan) nella lingua Pashto (l’afgano) è una parola che significa "forte". Probabilmente ha ricevuto il suo nome dalle imponenti colline e montagne che circondano la città. E’ un posto affascinante (Quetta in Pakistan s’intende, ma forse anche Quetta nel Trentino è altrettanto affascinante) ma si respira una certa ostilità verso gli stranieri. Quando sono andato alcuni anni fa qualcuno ha lanciato dei sassi. Dovrei perè spezzare una lancia per Quetta. Al mercato sono stato fermato più volte da persone curiose ma affabili, che mi facevano un sacco di domande. Sono contento di esserci stato. Come già scritto in un racconto precedente, c’è un albergo molto confortevole e simpatico a Quetta, pensate, in stile forte del Balucistan! Una volta i collegamenti aerei interni erano efficienti, direi molto di più che in India. Tutto funzionava ‘perfettamente’, diversamente dall’India dove i ritardi erano all’ordine del giorno. Spesso gli alberghi non ti accoglievano perché avevano fatto male i conti, nonostante la prenotazione. Ora credo che la situazione sia capovolta.
Indipendentemente da queste valutazioni, in questo momento il Pakistan sta soffrendo enormemente ed è la gente comune che ci va di mezzo maggiormente. Mi auguro che la situazione possa migliorare, anche per permettere a coloro che amano la storia, l’arte e la cultura di poter visitare il paese e apprezzare tutte le sue struggenti bellezze.