Si potrebbe dire che la Casa Madre è il luogo in cui bisogna ricomporre continuamente l’unità e l’identità con la diversità, il passato con il presente, la Chiesa pellegrina con il viandante che riposa provvisoriamente sotto la tenda di Abramo. Azione e contemplazione, memoria e rinnovamento, diversità di compiti all’interno e all’esterno, ricchezza e povertà delle differenti personalità, esperienze di lunghi anni in Asia, Africa, America e Oceania devono sapere integrare l’eterogeneità con la continuità. Tutto questo è segno di dinamismo. Per forza di cose, questa comunità mostra oggi le ferite dell’usura del tempo. Ma non si tratta di inerzia passiva. Chi vi appartiene deve saper sfuggire continuamente all’invasione dell’ineluttabile, deve saper intuire l’imprevedibile, scorgere la conciliazione anche nella dialettica degli opposti, intravedere l’aurora nel tramonto, la speranza nell’apparente decadenza. I membri di questa comunità hanno bisogno di recuperare costantemente il senso del loro essere qui e ora, riscoprire i semi della promessa anche nei ricordi antichi
Ma ritorniamo all’Indonesia, che è il più popoloso paese a maggioranza musulmana del mondo. Il tema del viaggio, in questo caso, era però Induismo e Buddhismo. Dal VII secolo ci furono importanti scambi commerciali con l’India e la Cina. I sovrani locali fin dai primi secoli dopo Cristo adottarono gradualmente il modello culturale, religioso e politico dell’India e fiorirono regni indù e buddhisti. L’isola di Giava è ancora disseminata da molteplici rovine di templi indù. Ci sono dei monumenti grandiosi come Borobodur, vicino alla città di Yogjakarta, che risale all’800 d.C. più o meno e fu un centro spirituale buddhista per più di un secolo. La costruzione è straordinaria, piramidale a sei piani e a forma di loto, costruita interamente in pietra lavica. Sempre nella zona di Yogjakarta si trova il complesso induista mozzafiato di Prambanan formato da tre templi principali dedicati alla trimurti cioè Brahma, Vishnu e Shiva. I templi sono molto slanciati e dominano la visuale. È stato molto interessante ascoltare i continui collegamenti che Padre Favaro faceva con la Cristianità (dico Cristianità e non Cristianesimo). Il Cristianesimo del I secolo che gli apostoli di Gesù predicarono venne successivamente contaminato da infiltrazioni esterne. Comunque sono due luoghi da non perdere. L’Indonesia è un paese prettamente tropicale. La vegetazione è lussureggiante. È un paese di vulcani, cinquecento credo, molti dei quali attivi. A parte le abbondanti piogge che rendono l’Indonesia un paradiso di verde, il suolo di ceneri vulcaniche la rende assai fertile. L’isola di Bali è ancora a maggioranza indù, ma è un Induismo tutto particolare. Sembra un’integrazione tra l’Induismo e il Buddhismo. Infatti è chiamato l’Induismo del Dharma, la legge che regola l’universo, l’ordine dell’essere e delle cose. Bali è un’isola bellissima nonostante la massa di turisti, soprattutto australiani, che arrivano in flotte. Forse meno di una volta. Il mare non è straordinario anzi è ordinario. L’interno è stupendo: montagne verdissime, laghi, vulcani e risaie. C’è un incredibile contrasto tra la baldoria di alcune zone costiere, dove ci sono i grandi alberghi, discoteche, ristoranti e bar, con l’interno, così soave e misterioso. La gente è molto cordiale. Con l’avvento del turismo di massa forse le cose sono cambiate ma credo che all’interno dell’isola la vita continui come sempre. Bali è diventata ‘famosa’ negli anni 1952/1953 quando è uscito il film, in parte musicale ‘Road to Bali’ (in Italiano Principessa di Bali) con Bing Crosby, Bob Hope e Dorothy Lamour. Tra le canzoni, c’erano le bellissime ‘Chicago Style’ e ‘Moonflowers’. Dell’isola di Sumatra ne parlerò un’altra volta.
1 commento:
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