venerdì 13 novembre 2009

LA REPUBBLICA KIRGHISA

La Repubblica Kirghisa, incastonata tra Uzbekistan, Kazakistan, Tagiskistan e Cina, è un paese prettamente alpino, ad eccezione del territorio che si affaccia sul confine Kazako, dove si trova la capitale Bishkek, e della valle di Fergana, dove si trova la città di Osh, confinante con l’Uzbekistan. Ho già parlato di questo paese in racconti scritti un po’ di tempo fa. Non è turisticamente attrezzato, almeno per chi fa viaggi ‘regolari’ o ‘culturali’. È un paese che prende emotivamente molto lentamente, direi a scoppio ritardato!
Guardando indietro e pensando alle fatiche delle strade sterrate, delle sistemazioni alberghiere precarie, per non parlare dei pernottamenti in yurte collettive a 3500 metri con un vento gelido sferzante che si sente ululare come se fosse un lupo feroce, questi disagi si attenuano a tal punto che col passar del tempo tutta l’esperienza ‘negativa’ diventa prima quasi piacevole, poi piacevole e infine, forse dopo qualche anno, molto piacevole.

Noi turisti siamo strani. Brontoliamo perché non c’è l’acqua calda, perché si mangia male, perché non c’è la marmellata o un caffè decente alla prima colazione e poi, guardando indietro, tutto si placa e diventa relativo. Anzi, ci facciamo pure grandi davanti ai nostri amici raccontando i disagi subiti… ma che bel viaggio, ma che bel viaggio!
La Repubblica Kirghisa non offre lusso, a parte la capitale, ma offre molto di più. Offre prima di tutto un paesaggio spettacolare. Chi poi proviene in viaggio dalla Cina capisce ancora di più la bellezza di questo paese. La cosa che rimane indelebile nel cuore di un viaggiatore sensibile è la semplicità del paese, intesa come naturalezza, sia dei suoi abitanti, sia del loro modo di vivere, sia delle loro abitudini, sia del loro modo di porsi. Nonostante i disagi, il paese, soprattutto la parte montana, si presenta con un’atmosfera soave e rilassante. Come si può dimenticare il villaggio di Sary Tash, non lontano dalla frontiera con la Cina, con le sue piccole case che sembrano dacie, il fieno appena raccolto sotto il tetto spiovente e le piccole finestre colorate? I turisti o coloro che passano per Sary Tash pernottano in case private dove la padrona di casa prepara sia la cena che la prima colazione, e prepara il letto in terra esattamente come dormono loro. Ma è così bello essere con una famiglia locale, mangiare quello che mangiano loro e dormire come dormono loro. Sì, è vero, il gabinetto rudimentale è fuori in una casupola di legno e il lavandino è pure fuori senza acqua corrente. La padrona riempie una vaschetta con l’acqua. Quando l’acqua è finita (la vaschetta è grande come lo sciacquone di un gabinetto) la riempie di nuovo. Alla mattina poi la vaschetta viene riempita di acqua calda. Che goduria! Che cosa c’è di più bello di vivere allo stato brado, per così dire, e di godere dell’ambiente e del paesaggio.
Davanti al villaggio e davanti alla casa dove si alloggia si apre un paesaggio straordinario: una prateria a perdita d’occhio e sullo sfondo, maestosa, una catena montuosa di picchi innevati sopra i 6000 metri. E che dire del picco Lenin, di 7134 m? È la vetta più alta sulla cresta di Zaalay, tra il Kirghizistan e il Tagikistan, e appartiene alla catena dei Pamir. Con la sua asimmetrica piramide domina la Valle Alai ed è visibile a grande distanza.


Purtroppo non è sempre oro ciò che luccica e anche qui ci sono dei conflitti. La parte montuosa è abitata esclusivamente da kirghisi e per la maggior parte sono pastori. Ad Osh invece, all’inizio della valle di Fergana, c’è una cospicua popolazione uzbeka, i quali sono agricoltori e commercianti. Non scorre buon sangue tra le due etnie. Il governo ha incoraggiato la popolazione kirghisa a trasferirsi ad Osh, dove gli uzbeki sono tanti. I nostri autisti uzbeki, che sono venuti a prenderci alla frontiera con la Cina, hanno sospirato prima di arrivare ad Osh dicendo “stiamo lasciando i Kirghisi” per dire che stavano entrando, secondo loro, in un territorio uzbeko, nonostante non faccia parte dell’Uzbekistan.
Per capire questa diatriba bisogna tornare indietro nel tempo. Gli antenati dell'odierno popolo kirghiso vissero nel bacino dello Yenisey superiore, in Siberia, almeno fino al X secolo, quando a causa di incursioni mongole iniziarono a spostarsi più a sud, nel Tian Shan (catena montuosa che si estende dalla valle di Fergana fino a Turfan in Cina). L'emigrazione fu accelerata dall'ascesa di Gengis Khan. L'odierno Kirghizistan faceva parte dell'eredità del secondo figlio di Gengis Khan, Chagatai. A causa di altre vicissitudini i kirghisi furono spinti verso sud, nella zona dell'attuale Tagikistan. Nel 1918 il territorio kirghiso fu assorbito dalla Repubblica Socialista Sovietica Autonoma del Turkestan all'interno della Federazione Russa; nel 1924 venne separato nella Oblast Autonoma dei Kara-Kirghisi e infine nel 1936 divenne una Repubblica Socialista Sovietica a pieno titolo. La questione della terra e degli alloggi fu in effetti la causa scatenante del più cruento conflitto interetnico dell'Asia centrale, quello tra kirghisi e uzbeki nei dintorni di Osh nel 1990, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Osh è una città vitale e piena di vita e si trova in una posizione strategica di grande importanza.


Diatribe a parte, la Repubblica Kirghisa è soprattutto montagna, ed è qui che si respira il soave odore della tranquillità.

martedì 3 novembre 2009

Manali e la Valle di Kulu


Partendo da Kaza, capoluogo della valle dello Spiti, si sale al bellissimo passo Kunzum per poi scendere a Gramphoo da dove si prende la strada Leh-Manali. Il percorso a dire poco è fantastico. Da Gramphoo si sale verso il passo Rothang, a quasi 4000 metri (3978). Credo che la strada Manali-Rothang Pass sia stata costruita negli anni ’60. Mi ricordo che nel 1984 era molto stretta e pericolosa con paurosi strapiombi e spesso interrotto per frana. Era difficile passare quando s’incrociava un camion. Da allora la strada è stata allargata e modificata più volte. I lavori continuano. Attualmente stanno facendo dei lavori immani. Come potete immaginare il percorso mette a dura prova i nervi: voragini, ammassi di terra, scavatrici ovunque, migliaia di uomini che lavorano sui bordi della strada. Ci sono enormi tendopoli dove vivono gli operai.
Il passo è quasi sempre avvolto dalle nuvole. La nebbia si alza dalla valle di Kulu, che si trova nella cintura monsonica. Butta tanta di quella nebbia sul passo che spesso la visibilità è di pochi metri soltanto. Non è particolarmente bello. È vero che la nebbia rende il paesaggio spettrale e triste, ma anche quando è sereno il paesaggio è severo. Con tutti lavori che sono stati fatti ci sono molti scarti buttati con noncuranza ovunque, vecchi pali della luce, strumenti di lavoro arrugginiti, sporcizia da tendopoli. Al passo e appena dopo ci sono innumerevoli posti di ristoro, centinaia di baracche che servono il tè (sempre buono) e tutto quello che uno desidera. Il passo è molto gettonato per gli indiani che provengono da Delhi perché negli anfratti delle montagne spesso rimane la neve anche in estate. D’inverno il passo è chiuso. La neve può raggiungere anche diversi metri. A volte è ancora chiuso in giugno.
La discesa verso Manali però è molto bella. Man mano che si scende la valle diventa sempre più verde. Gli abeti che coprono le montagne hanno il fusto alto e slanciato e si stagliano verso il cielo per formare un bellissimo quadro. Le vecchie case sono caratterizzate dall’alternanza di pietre e legno e hanno delle grandi balconate di legno. Manali è diventato un resort a tutti gli effetti. Pullula di alberghi, pensioni e case da affittare. Persone benestanti di Delhi hanno costruito o comperato la seconda casa, per passarvi le vacanze. Come sapete da fine aprile a settembre il clima a Delhi è insopportabile, soprattutto nei mesi di maggio e giugno, quando la temperatura supera i 40 gradi e non è raro che raggiunga addirittura i 48 gradi. Manali è a circa 2000 metri e d’estate si sta bene. È abbastanza umida perché risente dei monsoni anche se molto, molto meno di Dharmasala (dove si trova il Dalai Lama) che è esposta frontalmente all’influsso dei monsoni. Purtroppo a Manali sono state costruite delle strutture con materiali scadenti. Dopo un anno gli edifici sono già fatiscenti. La vecchia Manali, anche se ci sono dei cambiamenti in atto, mantiene alcune vecchie case di grande fascino. Nei dintorni si possono ancora vedere dei villaggi intatti con vecchie case di legno e pietra. C’è la tendenza però a costruire nuove case di cemento. C’è uno sforzo da parte delle autorità di incoraggiare a costruire nello stile tipico della valle, ma il materiale è molto caro soprattutto il legname. Da non dimenticare che anche qui l’abusivismo imperversa e non c’è nessun piano regolatore. “Ma siamo in India” qualcuno dirà… ma non dobbiamo andare tanto lontano per vedere degli scempi.
A Manali c’è poco di artistico da vedere. Può essere interessante la casa e il museo del russo Nikolaj Konstantinovič Roerich nato a San Pietroburgo il 9 ottobre 1874. Nikolaj Roerich trascorre gli ultimi anni della sua vita vicino a Manali, a Naggar. Sono esposti i suoi lavori e quelli di suo figlio Svetoslav. Lo stile di Roerich si colloca fra il surrealismo e la pittura iconografica russa. Un’altra cosa interessante è il tempio indu di Hadimba, la sposa di Bhima nel Mahabharata, in mezzo al bosco, poco lontano dalla vecchia Manali. È un tempio tipico di queste zone con rilievi lignei e sopra l’ingresso sono raffigurati danzatori. Una curiosità è l’albero sacro (il figlio di Hadimba e Bhima è venerato qui), non lontano dal tempio, dove vengono offerti coltelli, corna di montone ed effigi in stagno di casette, animali e raffigurazioni umane. Ritornando a Naggar c’è qualche tempio indu di un certo interesse. Da Haggar ci sono belle vedute sulla valle e sulle risaie che in agosto sono verdi.
Proseguiamo verso Chandigarh per chiudere il circuito. La discesa verso Mandi è oramai veloce. E’ un lontano ricordo il periodo in cui la strada era spesso interrotta per frana con attese snervanti. Hanno costruito una lunga galleria che taglia la montagna e che fa evitare la vecchia strada tortuosa che era incastonata tra la ripida montagna da una parte e il fiume Beas dall’altra. La valle di Kulu è molto verde e fertile. La lavorazione del terreno è a terrazze. La sistemazione dei singoli lotti di terreno avviene parallelamente all’orientamento delle curve di livello, contrastando e attenuando la forza dell’erosione delle acque. La valle di Kulu (si può anche scrivere così: Kullu), è conosciuta come la ‘valle degli dei’, perché ogni anno tra ottobre e novembre, secondo il calendario indu, c’è un importante festival che dura sette giorni, chiamato Kulu Dussehra. Celebra la vittoria di Lord Rama sull’empio re Ravana. Ho assistito al festival nel 1984. La folla è immensa e travolgente. Ogni giorno durante il festival la divinità è portata fuori dal tempio e viene sorretta da portatori che corrono di qua e di là, anche a zig-zag, all’impazzata, probabilmente per rappresentare la lotta tra lui e Ravana. Dalla cittadina di Kulu si scende appunto a Mandi. Mandi ha due bellissimi templi gemelli separati l’uno dall’altro dal fiume. Sono dedicati a Shiva (XII sec.). Prima di arrivare a Mandi, lungo il percorso, ma nascosto dalla strada, si trova un altro tempio indu, squisitamente scolpito del VIII sec. Sempre dedicato a Shiva. Si scende a Chandigarh, passando per il Punjab, dove appunto termina il percorso circolare del nostro viaggio.