La Valle dello Swat in Pakistan sta passando un bruttissimo momento. Il governo sta combattendo una cruciale battaglia a Mingora, città capoluogo dello Swat, per liberarla dai Talebani e per prendere pieno controllo della città e della valle. Ci vorrà comunque tempo per sgominarli dalla regione, che confina con l’Afghanistan. Purtroppo molti civili sono stati coinvolti con la perdita di molte vite umane e migliaia sono in preda al panico.
La valle dello Swat è una valle idilliaca, assomiglia un po’ alla Val Brembana nel bergamasco, anche se la valle dello Swat è più esotica e certamente più evocativa. Sono stato diverse volte a Mingora e nella valle. Chi ha fatto un viaggio in Pakistan con noi probabilmente si ricorda la valle. La cittadina di Saidu Sharif è attaccata a Mingora. A Saidu Sharif, cittadina dove si pernotta, c’è un bellissimo albergo coloniale che ti porta indietro nel tempo.
Storicamente lo Swat è stata una regione molto importante. Fu attraversato da Alessandro Magno che vi conquistò una roccaforte (oggi Udegram). Dal II secolo divenne una regione fervidamente buddhista. Padmasambhava nacque nella valle dello Swat nell’VIII secolo. È considerato il primo e più importante diffusore del buddhismo in Tibet, particolarmente del Vajrayana, e il fondatore del buddhismo Tibetano. La conquista islamica si deve al famoso e terribile sultano Mahmud di Ghazni (Ghazni in Afganistan) all’inizio dell’XI secolo. Mosse contro il nord-ovest del sub-continente indiano una guerra devastante e predatoria. Forse sanno che nella valle dell’Indo e in territorio afgano, la Missione Archeologica dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente di Roma (IsIAO, in precedenza IsMEO) opera da più di cinquant’anni. L’attività di ricerca italiana fu promossa a partire dal 1955 dal grande orientalista Giuseppe Tucci. Gli scavi avviati nelle aree sacre di Butkara, Panr e Saidu Sharif portarono alla luce molte sculture appartenenti all’arte del Gandhara e diedero un contributo fondamentale alla conoscenza dell’architettura e dell’arte buddhista. Nel 1963 la missione creò il Museo Archeologico di Saidu Sharif dove si trovano tutt’ora capolavori dell’arte Gandhara.
Il fiume Swat scende dalla catena montuosa himalayana del Hindu Kush e scorre di fianco a Mingora. Qui ha un letto molto ampio e, percorrendo la strada che va a monte, ci sono delle vedute grandiose del fiume. Quante volte ho fatto la strada da Mingora nella alta valle dello Swat, dove termina la strada carrozzabile! L’ultimo avamposto si chiama Kalam, da dove si gode un panorama di vette innevate alte 6000/6500 metri. Percorrendo la strada verso Kalam (piena di buchi) si segue sempre il corso del fiume. La prima parte è densamente popolata e il paesaggio è abbastanza ordinario. Una volta i paesi lungo il fiume oppure appena sopra il fiume erano affascinati. Le case avevano delle bellissime porte d’ingresso in legno di albicocco (credo) intarsiati finemente, alcune ‘antiche’ anche di cent’anni. Purtroppo sono stati tutti venduti agli antiquari. Poi c’erano delle moschee lignee di grande fascino. Oramai non ci sono più, cioè le moschee ci sono ancora, ma i pilastri intarsiati sono stati venduti o abbattuti e sostituiti con colonne di cemento. Che peccato!
Nell’ultimo viaggio che abbiamo fatto in Pakistan, nel 2006, abbiamo tolto l’escursione a Kalam per le ragioni indicate sopra: non vale più la pena. Sì, è vero che Kalam è bella ma se la giornata è nuvolosa si rischia di non vedere le vette innevate. Il viaggio poi prosegue sulla famosa Karakorum Highway (che ho già descritto nei miei racconti più volte) e di vedute stupende e di vette innevate non c’è fine.
Ritornando a Mingora, coloro che ci sono stati ricordano il mercato lungo la strada maestra. La strada è stretta e da entrambi i lati ci sono negozi di ogni genere per almeno un chilometro, se non di più. È un postaccio. Gli edifici sono fatiscenti e cadenti, ma non solo. Passano camion e corriere, spesso fanno fatica a passare, e il mercato diventa una camera a gas, irrespirabile. Saidu Sharif invece è più spostata all’interno. Dove si trova l’albergo, Swat Serena Lodge (facciamo un po’ di pubblicità per solidarietà) c’è molto verde e molta pace. È un edificio coloniale bianco con all’interno un ampio cortile con giardino. Mi ricordo con nostalgia di aver sorseggiato un ottimo te con biscotti seduto sulla poltrona di vimini nel giardino. Non si può bere Gin tonic perché l’alcol è proibito in Pakistan.
Mingora ora è completamente accerchiata dall'esercito del governo centrale, dove sono rimasti intrappolati migliaia di civili e dove è stato imposto il coprifuoco. In questo momento, difficilissimo per la popolazione della valle, pare molto lontano quello che disse negli anni Venti il giovane Winston Churchill, ufficiale dell’esercito britannico in visita: “Stando qui capisco perché scrivete tante poesie”.
venerdì 29 maggio 2009
lunedì 25 maggio 2009
LE MERAVIGLIE DEI PAMIR E LA DISCESA VERSO KASHGAR
Un volta superato il valico tra Pakistan e Cina sulla Karakorum Highway si scende a Tashkorgan, il primo paese di una certa importanza venendo dal passo Khunjerab. Infatti è qui che si fa il vero controllo polizia e dogana per l’ingresso in Cina. Si trova a più di 3000 metri d’altezza, con strade dritte alla cinese con tanti palazzi coperti di quelle piastrelline rettangolari bianche. È un posto desolante. Sarebbe un avamposto tagiko, anche se rimane in territorio cinese, ma sembra che ora siano in minoranza rispetto ai cinesi Han. Credo che la cittadina si ravvivi un po’ di sera, dopo il tramonto, dove si trovano locali a ‘luci rosse’. Ho sentito che le ragazze si offrono per 30 yuan. Personalmente non sono mai uscito di sera a Tashgorkan. A me sembra una cittadina fantasma. Ultimamente sono sorti edifici modernissimi come se Tashgorkan volesse gareggiare con Shanghai! Sembrano veramente fuori luogo e aumentano la sensazione di spettralità della cittadina.
Sulla collina c’è una fortezza. Rimangono praticamente solo le mura. Se la giornata è bella e limpida forse vale la pena salire per godere il panorama, altrimenti è meglio lasciar stare, perché durante il percorso verso Kashgar il paesaggio è talmente bello che non salire alla fortezza non toglie niente a quello che si vede lungo la strada. Comunque è sorprendente il contrasto tra il paesaggio maestoso dei Pamir e questa cittadina angosciante. L’albergo che normalmente viene assegnato ai turisti non è terribile e poi l’edificio è ricoperto di quei famosi petrini bianchi che danno una certa sicurezza, come se si fosse protetti dall’armata rossa! Certo la manutenzione è quasi inesistente, perciò perdite dai rubinetti, macchie sulla moquette, porte che chiudono male o che non chiudono sono all’ordine del giorno. D’altronde gli alberghi sono chiusi praticamente otto mesi all’anno!
Non è il caso di rimanere a Tashgorkan più di una notte. È consigliabile partire subito all’alba per Kashgar. Lungo la strada, nuvole permettendo, si vede un massiccio enorme, completamente bianco, che venendo dal sud sembra un enorme panettone o, più romanticamente, una grande e immensa cupola. È la vetta del Muztagh Ata (7546 m). La strada le gira intorno per arrivare infine al lago Karakul (lago nero). Il lago è diventato un luogo turistico gettonato da cinesi. È rovinato da un brutto ristorante vicino alle rive del lago e da un filare di yurte (alcune bruttissme), una specie di albergo, dove si può dormire. Si può noleggiare un cavallo e fare il giro del lago, almeno in parte.
Quando c’è il sole il lago ha un colore blu intenso e le montagne che si rispecchiano dentro formano un ‘quadro’ idilliaco, ma quando il cielo è coperto il lago diventa nero e minaccioso. Si rispecchia nel lago non soltanto il monte Muztagh Ata, ma anche il monte Kongurshan (7719). È una cosa da non credere, di una bellezza straordinaria. Le poche brutture del turismo che hanno preso forma sulle rive del lago (soltanto dalla parte della strada fortunatamente) spariscono, perché la maestosità del posto è talmente schiacciante che ti travolge. Certo se il cielo è coperto è meno spettacolare. In effetti, non sarebbe una cattiva idea dormire in yurta sul lago (soffrire una notte può essere benefico!). Normalmente al mattino presto il cielo è pulito e l’atmosfera tersa, il momento giusto per godere appieno il panorama.
Si prosegue per Kashgar e da un’ampia vallata la strada lentamente scende in mezzo ad uno stretto canyon con pareti rocciose di un color rosso acceso, che sembrano dipinte per quanto sono rosse. Ora i cinesi hanno costruito una nuova strada ma prima il percorso era assai arduo e difficile. In questa grande vallata tutti i corsi d’acqua che provengono dalle alte montagne formano mille rivoli e spesso la vecchia strada era sott’acqua. La discesa verso Kashgar è fenomenale perché i colori della roccia sono incredibili. Alcuni sono di un rosso intenso, quasi cremisi. Da Islamabad (Pakistan) a Kashgar (Cina) l’intero percorso è una specie di meraviglia. Credo che nessun percorso in tutto il mondo sia così bello come questo. Qualcuno mi potrebbe smentire e sarei lieto di ricevere le vostre indicazioni. Prima di arrivare a Kashgar s’incontrano diverse oasi formate da strade dritte fiancheggiate da filari di pioppi anche in doppia fila. Qui troviamo gli uiguri, l’etnia turcofana che costituisce una bella fetta della popolazione nella provincia autonoma del Xinjiang (Sinkiang).
Sono villaggi ridenti pieni di frutta nella stagione estiva, fatti di case basse che da fuori sembrano insignficanti ma dentro hanno un cortile interno con tralci di vite e giardini pieno di alberi da frutta, animali da soma, galline e tutto quello che occorre per vivere una vita ‘serena’.
Kashgar è molto lontana da Pechino e anche da Urumqi, la capitale della provincia. Le alte montagne impediscono un passaggio veloce verso la vicina repubblica Kirghisa e il Tajikistan ma dopo aver attraversato alti passi di montagna, strade interrotte da frane, corsi d’acqua che invadono la strada e pericoli vari, non sembra di essere in un posto così sperduto ma quasi in una metropoli! È strano come tutto sia relativo!
Vorrei lasciarvi con una descrizione di Kashgar dell’inizio del ventesimo secolo, quando si trovava al centro di un conflitto sottile tra russi e britannici per il controllo dell’area, il cosiddetto “Grande gioco”. La Sig.a Catherine Macartney, moglie dell’agente britannico George, trascorse 17 anni a Kashgar, e descrive nel suo libro ‘Chini Bagh, una lady inglese nel Turkestan cinese’, le sue esperienze. “È una fatica improba farsi strada fra la calca della gente, in parte a piedi e in parte su asini o cavalli così carichi di fieno che si vedono soltanto il naso e gli zoccoli”. In effetti quando c’è il mercato domenicale è ancora così ma oramai sono soprattutto le moto a intasare le strade più che i carretti!
Ancora oggi però, come ai tempi della Catherine, gridano “Posh, Posh!” (“Largo, largo!”).
Sulla collina c’è una fortezza. Rimangono praticamente solo le mura. Se la giornata è bella e limpida forse vale la pena salire per godere il panorama, altrimenti è meglio lasciar stare, perché durante il percorso verso Kashgar il paesaggio è talmente bello che non salire alla fortezza non toglie niente a quello che si vede lungo la strada. Comunque è sorprendente il contrasto tra il paesaggio maestoso dei Pamir e questa cittadina angosciante. L’albergo che normalmente viene assegnato ai turisti non è terribile e poi l’edificio è ricoperto di quei famosi petrini bianchi che danno una certa sicurezza, come se si fosse protetti dall’armata rossa! Certo la manutenzione è quasi inesistente, perciò perdite dai rubinetti, macchie sulla moquette, porte che chiudono male o che non chiudono sono all’ordine del giorno. D’altronde gli alberghi sono chiusi praticamente otto mesi all’anno!
Non è il caso di rimanere a Tashgorkan più di una notte. È consigliabile partire subito all’alba per Kashgar. Lungo la strada, nuvole permettendo, si vede un massiccio enorme, completamente bianco, che venendo dal sud sembra un enorme panettone o, più romanticamente, una grande e immensa cupola. È la vetta del Muztagh Ata (7546 m). La strada le gira intorno per arrivare infine al lago Karakul (lago nero). Il lago è diventato un luogo turistico gettonato da cinesi. È rovinato da un brutto ristorante vicino alle rive del lago e da un filare di yurte (alcune bruttissme), una specie di albergo, dove si può dormire. Si può noleggiare un cavallo e fare il giro del lago, almeno in parte.
Quando c’è il sole il lago ha un colore blu intenso e le montagne che si rispecchiano dentro formano un ‘quadro’ idilliaco, ma quando il cielo è coperto il lago diventa nero e minaccioso. Si rispecchia nel lago non soltanto il monte Muztagh Ata, ma anche il monte Kongurshan (7719). È una cosa da non credere, di una bellezza straordinaria. Le poche brutture del turismo che hanno preso forma sulle rive del lago (soltanto dalla parte della strada fortunatamente) spariscono, perché la maestosità del posto è talmente schiacciante che ti travolge. Certo se il cielo è coperto è meno spettacolare. In effetti, non sarebbe una cattiva idea dormire in yurta sul lago (soffrire una notte può essere benefico!). Normalmente al mattino presto il cielo è pulito e l’atmosfera tersa, il momento giusto per godere appieno il panorama.
Si prosegue per Kashgar e da un’ampia vallata la strada lentamente scende in mezzo ad uno stretto canyon con pareti rocciose di un color rosso acceso, che sembrano dipinte per quanto sono rosse. Ora i cinesi hanno costruito una nuova strada ma prima il percorso era assai arduo e difficile. In questa grande vallata tutti i corsi d’acqua che provengono dalle alte montagne formano mille rivoli e spesso la vecchia strada era sott’acqua. La discesa verso Kashgar è fenomenale perché i colori della roccia sono incredibili. Alcuni sono di un rosso intenso, quasi cremisi. Da Islamabad (Pakistan) a Kashgar (Cina) l’intero percorso è una specie di meraviglia. Credo che nessun percorso in tutto il mondo sia così bello come questo. Qualcuno mi potrebbe smentire e sarei lieto di ricevere le vostre indicazioni. Prima di arrivare a Kashgar s’incontrano diverse oasi formate da strade dritte fiancheggiate da filari di pioppi anche in doppia fila. Qui troviamo gli uiguri, l’etnia turcofana che costituisce una bella fetta della popolazione nella provincia autonoma del Xinjiang (Sinkiang).
Sono villaggi ridenti pieni di frutta nella stagione estiva, fatti di case basse che da fuori sembrano insignficanti ma dentro hanno un cortile interno con tralci di vite e giardini pieno di alberi da frutta, animali da soma, galline e tutto quello che occorre per vivere una vita ‘serena’.
Kashgar è molto lontana da Pechino e anche da Urumqi, la capitale della provincia. Le alte montagne impediscono un passaggio veloce verso la vicina repubblica Kirghisa e il Tajikistan ma dopo aver attraversato alti passi di montagna, strade interrotte da frane, corsi d’acqua che invadono la strada e pericoli vari, non sembra di essere in un posto così sperduto ma quasi in una metropoli! È strano come tutto sia relativo!
Vorrei lasciarvi con una descrizione di Kashgar dell’inizio del ventesimo secolo, quando si trovava al centro di un conflitto sottile tra russi e britannici per il controllo dell’area, il cosiddetto “Grande gioco”. La Sig.a Catherine Macartney, moglie dell’agente britannico George, trascorse 17 anni a Kashgar, e descrive nel suo libro ‘Chini Bagh, una lady inglese nel Turkestan cinese’, le sue esperienze. “È una fatica improba farsi strada fra la calca della gente, in parte a piedi e in parte su asini o cavalli così carichi di fieno che si vedono soltanto il naso e gli zoccoli”. In effetti quando c’è il mercato domenicale è ancora così ma oramai sono soprattutto le moto a intasare le strade più che i carretti!
Ancora oggi però, come ai tempi della Catherine, gridano “Posh, Posh!” (“Largo, largo!”).
giovedì 14 maggio 2009
HUNZA - PAKISTAN
Hunza è uno dei luoghi più belli della terra. È raggiungibile da Islamabad lungo la famosa, tremenda, terrifica ma bellissima, affascinante, strepitosa Karakoram Highway. Il capoluogo di Hunza è Karimabad. Ecco il forte di Baltit, l'antico palazzo del mir (il principe) di Hunza, appollaiato in cima a un'antica morena, all'ombra dell'Ultar (7.388 metri), che domina il paese agricolo di Karimabad. Lo spettacolare paesaggio è mozzafiato e circondato da maestosi rilievi, come il Rakaposhi (7.788 m), l'Ultar Sar (7.388m) e il Bojahagur Duanasir II (7329m). Sotto invece si trova un altro forte, il forte di Altit. Dalla veranda traforata del forte di Altit, su una rupe che strapiomba per 300 metri sul fiume Hunza, si ha una bellissima veduta sul villaggio di Altit e dal mese di agosto gli abitanti mettono a seccare le albicocche sui tetti piatti delle case. Il villaggio è interessante perché è un groviglio di case, tutte con i tetti piatti, con strettisssimi passaggi che s’intersecano, un vero labirinto di viuzze. Sembra dall’alto che le case siano tutte collegate. È bello vedere le albicocche, di un arancione vivace, i panni colorati stesi e le cataste di legno tutti insieme sui tetti delle case. Gli abitanti non gradiscono i curiosi che li guardano dalla veranda e non vogliono assolutamente fotografi, diventano cattivi.
Gli abitanti di Hunza vivono molto a lungo, chi dice che è la dieta, chi l’isolamento, chi l’aria pura, ma probabilmente il segreto della longevità è nell’acqua. Dipende da certi minerali presenti nell’acqua che proviene direttamente dai ghiacciai. Questi minerali posseggano una elevata carica elettrostatica e delle proprietà fisiche specifiche. Diversi studi sono stati fatti a questo proposito, non sono mie fantasie. Il romanzo di James Milton, Orizzonti Perduti, è ambientato a Shangri-La, un monastero tibetano, che alcuni associano a Hunza. In realtà, James Milton si ispirò alla narrazione dei Padri Evariste Regis Huc e Joseph Gabet (nel 800), ferventi missionari, che percorsero l'Asia centrale attraversando il nord della Cina, la Mongolia e il Tibet fino a giungere a Lhasa nel 1846. Nel romanzo la lamaseria di Shangri-La si trova torreggiante sulla valle della luna blu dove gli abitanti conducono una vita immuni da malattie e dallo scorrere del tempo: forse per questo alcuni pensano a Hunza.
Bisogna dire che il Nord del Pakistan è un mosaico: agli Ismailiti di Hunza (l’Aga Khan è l’imam), si affiancano i musulmani sciiti e sunniti. E tra questi ultimi bolle il fondamentalismo. A Gilgit, capitale della regione, l’atmosfera è pesante per i continui tafferugli tra sciiti e sunniti. Diversamente da Hunza, dove la situazione è calma e l’atmosfera rilassante e piacevole. L’Aga Khan ha fatto moltissimo per gli abitanti di Hunza. La Fondazione Aga Khan ha dato vita, nel 1982, al suo programma di sviluppo rurale. Sono stati scavati centinaia di chilometri di nuovi canali d´irrigazione e nuove strade di montagna. La valle diventa sempre più verde e sempre più produttiva grazie ai questi importanti lavori. Il contrasto è notevole: le vette innevate, i ghiacciai, le aspre pareti di roccia senza vegetazione e infine il verde della valle, grazie ai canali che provengono dalla neve perenne e i ghiacciai che alimentano un’agricoltura rigogliosa. Stupende le albicocche e le pesche, le più buone, succose e dolci mai mangiate!Amo la poesia e particolarmente R.Tagore, il noto poeta bengalese, e vorrei terminare il racconto della valle di Hunza con una sua bella poesie sulla montagna:
La tua vita è giovane, il tuo sentiero lungo;
tu bevi in un sorso l'amore che ti portiamo,
poi ti volgi e corri via da noi.
Tu hai i tuoi giochi e i tuoi compagni.
Non vi è colpa se non ti resta tempo per pensare a noi.
Noi, invece, abbiamo tempo nella vecchiaia
di contare i giorni che son passati, di rievocare
ciò che le nostre annose mani hanno dimenticato per sempre.
Il fiume corre rapido tra gli argini, cantando una canzone.
Ma la montagna resta immobile, ricorda e veglia col suo amore.
Gli abitanti di Hunza vivono molto a lungo, chi dice che è la dieta, chi l’isolamento, chi l’aria pura, ma probabilmente il segreto della longevità è nell’acqua. Dipende da certi minerali presenti nell’acqua che proviene direttamente dai ghiacciai. Questi minerali posseggano una elevata carica elettrostatica e delle proprietà fisiche specifiche. Diversi studi sono stati fatti a questo proposito, non sono mie fantasie. Il romanzo di James Milton, Orizzonti Perduti, è ambientato a Shangri-La, un monastero tibetano, che alcuni associano a Hunza. In realtà, James Milton si ispirò alla narrazione dei Padri Evariste Regis Huc e Joseph Gabet (nel 800), ferventi missionari, che percorsero l'Asia centrale attraversando il nord della Cina, la Mongolia e il Tibet fino a giungere a Lhasa nel 1846. Nel romanzo la lamaseria di Shangri-La si trova torreggiante sulla valle della luna blu dove gli abitanti conducono una vita immuni da malattie e dallo scorrere del tempo: forse per questo alcuni pensano a Hunza.
Bisogna dire che il Nord del Pakistan è un mosaico: agli Ismailiti di Hunza (l’Aga Khan è l’imam), si affiancano i musulmani sciiti e sunniti. E tra questi ultimi bolle il fondamentalismo. A Gilgit, capitale della regione, l’atmosfera è pesante per i continui tafferugli tra sciiti e sunniti. Diversamente da Hunza, dove la situazione è calma e l’atmosfera rilassante e piacevole. L’Aga Khan ha fatto moltissimo per gli abitanti di Hunza. La Fondazione Aga Khan ha dato vita, nel 1982, al suo programma di sviluppo rurale. Sono stati scavati centinaia di chilometri di nuovi canali d´irrigazione e nuove strade di montagna. La valle diventa sempre più verde e sempre più produttiva grazie ai questi importanti lavori. Il contrasto è notevole: le vette innevate, i ghiacciai, le aspre pareti di roccia senza vegetazione e infine il verde della valle, grazie ai canali che provengono dalla neve perenne e i ghiacciai che alimentano un’agricoltura rigogliosa. Stupende le albicocche e le pesche, le più buone, succose e dolci mai mangiate!Amo la poesia e particolarmente R.Tagore, il noto poeta bengalese, e vorrei terminare il racconto della valle di Hunza con una sua bella poesie sulla montagna:
La tua vita è giovane, il tuo sentiero lungo;
tu bevi in un sorso l'amore che ti portiamo,
poi ti volgi e corri via da noi.
Tu hai i tuoi giochi e i tuoi compagni.
Non vi è colpa se non ti resta tempo per pensare a noi.
Noi, invece, abbiamo tempo nella vecchiaia
di contare i giorni che son passati, di rievocare
ciò che le nostre annose mani hanno dimenticato per sempre.
Il fiume corre rapido tra gli argini, cantando una canzone.
Ma la montagna resta immobile, ricorda e veglia col suo amore.
lunedì 4 maggio 2009
Calcutta
Torniamo a parlare di Calcutta (Kolkata) una città che amo particolarmente. Non è bella, ma affascinante. Sembra una contraddizione ma non lo è. L’assetto della città è disordinato, le case fatiscenti, i marciapiedi sconessi, gli atri delle case anneriti, smog e fumo pervadono l’atmosfera, ma in tutta questa bolgia la vita pulsa talmente forte che non ci sono uguali. La folla è incontenibile, ti travolge, ti penetra dentro addirittura, almeno si ha questa sensazione. Tutti gli sguardi sono su di te, ti scrutano, ma non disturba perché nessuno ha occhi cattivi. A parte la folla immensa che travolge la città tutti i giorni, camminare per le strade, osservare vecchi edifici fine 800 e inizio 900, camminare nella zona del tempio dedicato alla dea Kali, tra l’altro di fianco all’ospizio di Madre Teresa di Calcutta, tra le bancarelle, recarsi al famoso ponte di ferro sul fiume Hooghly, andare al mercato dei fiori sotto il ponte presto alla mattina dove ci si ubriaca dell’odore delle foglie marcite, calpestate da migliaia di persone, ma anche della piacevole fragranza dei fiori appena arrivati dalle campagne, molti dei quali saranno offerti nei templi della città per non parlare del miscuglio di colori, ti galvanizza; camminare nel parco (Maidan) e guardare i ragazzi giocare a cricket, passeggiare per il lungo fiume e osservare i fedeli offrire fiori al fiume (Hooghly è in realtà la Ganga) e assistere ad alcuni riti presieduti dal brahmino, camminare nel cimitero (Park Cemetry) e leggere i nomi dei personaggi incisi sulle tombe, per lo più britannici, vissuti nel 700, 800 e 900, molti dei quali deceduti prematuramente per una malattia tropicale o per problemi gastro-intestinali a causa del clima pestifero, sognare ad occhi aperti e fare un quadro della persona e pensare come potesse trovarsi in un posto così ‘diverso’ ma nello stesso tempo così ‘simile’, dato che all’inizio del 900 divenne la seconda città più grande dell’impero dopo Londra, ti paralizza; passeggiare nella zona universitaria e fermarsi agli innumerevoli negozietti e bancarelle di libri di seconda mano, visitare il museo universitario con una notevole collezione di sculture, visitare il Palazzo di Marmo, appartenente ad una vecchia famiglia bengalese, entrare nella Victoria Memorial per studiare la storia della città, ti meraviglia. La lista di meraviglie poi continua.
È molto divertente prendere un vecchio tram oppure prendere la metropolitana ed esplorare zone sconosciute da ‘normali’ turisti frettolosi. Ricordiamo che Calcutta è anche la ‘Città della Gioia’ di Dominque Lapierre, ora diventata un quartiere ‘residenziale’. E che dire del giardino botanico (in realtà un parco) con alberi secolari? Prendere un battello lungo il fiume Hooghly e raggiungere i vecchi insediamenti francesi, danesi e portoghesi. E le sue innumerevoli chiese cristiane dove, all’interno, si trova la storia dei coloni. E che dire dei templi indu lungo il fiume frequentato da migliaia di fedeli?
Allora non è vero che c’è poco da vedere a Calcutta? No, non è vero. Se uno vuole vivere veramente l’India non deve andare a Delhi o Bombay ma a Calcutta. Fare tua la città, intimamente, è difficile ma non impossibile. È una vittoria sentire Calcutta parte di te stesso e credo che soltanto gli animi sensibili possano arrivarci. Sì, è vero che l’India ha due facce, una romantica e spirituale, l’altra carnale e violenta. Chi ha visto il film ‘Millionaire’, molto reale, capisce questo fatto. Ma per cogliere le sottigliezze di questo immenso paese bisogna avere una marcia in più, un animo gentile ma nello stesso tempo una volontà di ferro e forse un po’ di cinismo…. È una contraddizione? Può darsi, ma soltanto così si riesce a capire, almeno si tenta di capire, la sua carnalità e la sua spiritualità in sovrapposizione. Che dire? L’India è un mistero! Credo che il contrasto venga interiorizzato dal famoso poeta bengalese Tagore nella seguente poesia:
L'uccello prigioniero nella gabbia, l'uccello libero nella foresta: quando venne il tempo s'incontrarono, questo era il decreto del destino. L'uccello libero grida al compagno: «Amore mio, voliamo nel bosco!». L'uccello prigioniero gli sussurra: «Vieni, viviamo entrambi nella gabbia». Dice l'uccello libero: «Tra sbarre, dove c'è spazio per stendere l'ali?». «Ahimè», grida l'uccello nella gabbia, «Non so dove appollaiarmi nel cielo». L'uccello libero grida: «Amore mio, canta le canzoni delle foreste». L'uccello in gabbia dice: «Siedi al mio fianco, t'insegnerò il linguaggio dei sapienti». L'uccello libero grida: «No, oh no! I canti non si possono insegnare». L'uccello nella gabbia dice: «Ahimè, non conosco i canti delle foreste». Il loro amore è intenso e struggente, ma non possono mai volare assieme. Attraverso le sbarre della gabbia si guardano e si guardano, ma è vano il loro desiderio di conoscersi. Scuotono ansiosamente le ali e cantano: «Vieni vicino a me, amore mio!». L'uccello libero grida: «È impossibile, temo le porte chiuse della gabbia». L'uccello in gabbia sussurra: «Ahimé, le mie ali sono morte e impotenti».
È molto divertente prendere un vecchio tram oppure prendere la metropolitana ed esplorare zone sconosciute da ‘normali’ turisti frettolosi. Ricordiamo che Calcutta è anche la ‘Città della Gioia’ di Dominque Lapierre, ora diventata un quartiere ‘residenziale’. E che dire del giardino botanico (in realtà un parco) con alberi secolari? Prendere un battello lungo il fiume Hooghly e raggiungere i vecchi insediamenti francesi, danesi e portoghesi. E le sue innumerevoli chiese cristiane dove, all’interno, si trova la storia dei coloni. E che dire dei templi indu lungo il fiume frequentato da migliaia di fedeli?
Allora non è vero che c’è poco da vedere a Calcutta? No, non è vero. Se uno vuole vivere veramente l’India non deve andare a Delhi o Bombay ma a Calcutta. Fare tua la città, intimamente, è difficile ma non impossibile. È una vittoria sentire Calcutta parte di te stesso e credo che soltanto gli animi sensibili possano arrivarci. Sì, è vero che l’India ha due facce, una romantica e spirituale, l’altra carnale e violenta. Chi ha visto il film ‘Millionaire’, molto reale, capisce questo fatto. Ma per cogliere le sottigliezze di questo immenso paese bisogna avere una marcia in più, un animo gentile ma nello stesso tempo una volontà di ferro e forse un po’ di cinismo…. È una contraddizione? Può darsi, ma soltanto così si riesce a capire, almeno si tenta di capire, la sua carnalità e la sua spiritualità in sovrapposizione. Che dire? L’India è un mistero! Credo che il contrasto venga interiorizzato dal famoso poeta bengalese Tagore nella seguente poesia:
L'uccello prigioniero nella gabbia, l'uccello libero nella foresta: quando venne il tempo s'incontrarono, questo era il decreto del destino. L'uccello libero grida al compagno: «Amore mio, voliamo nel bosco!». L'uccello prigioniero gli sussurra: «Vieni, viviamo entrambi nella gabbia». Dice l'uccello libero: «Tra sbarre, dove c'è spazio per stendere l'ali?». «Ahimè», grida l'uccello nella gabbia, «Non so dove appollaiarmi nel cielo». L'uccello libero grida: «Amore mio, canta le canzoni delle foreste». L'uccello in gabbia dice: «Siedi al mio fianco, t'insegnerò il linguaggio dei sapienti». L'uccello libero grida: «No, oh no! I canti non si possono insegnare». L'uccello nella gabbia dice: «Ahimè, non conosco i canti delle foreste». Il loro amore è intenso e struggente, ma non possono mai volare assieme. Attraverso le sbarre della gabbia si guardano e si guardano, ma è vano il loro desiderio di conoscersi. Scuotono ansiosamente le ali e cantano: «Vieni vicino a me, amore mio!». L'uccello libero grida: «È impossibile, temo le porte chiuse della gabbia». L'uccello in gabbia sussurra: «Ahimé, le mie ali sono morte e impotenti».
Iscriviti a:
Post (Atom)