Uno degli stati più poveri dell’India è il Bihar. Si trova nell’India orientale. Confina con il Nepal a nord e il Bengala Occidentale a est. La capitale Patna è adagiata sul fiume Gange. Il letto del fiume è enorme, ma, nonostante ciò, spesso, durante il monsone, il fiume si gonfia all’inverosimile e allaga le campagne circonvicine. La città di Patna comunque rimane sopra un’altura sul fiume e difficilmente viene colpita. L’altra parte del fiume invece s’allaga quasi tutti gli anni.
Patna è una brutta città e assai arretrata rispetto ad altri capoluoghi come Bhopal (Madhya Pradesh), Hyderabad (Andhra Pradesh) o Bangalore (Karnataka), per portare alcuni esempi. Ha comunque un passato, un lontano passato glorioso.
Col nome di Pataliputra fu capitale del regno di Magadha. Con l'ascesa dell’impero Maurya, venne scelta come capitale imperiale. Le prime descrizioni di Pataliputra si devono al geografo Megastene, che serviva come ambasciatore dei Selucidi presso i Maurya verso la fine del regno di Chandragupta. Patna rimase capitale sotto l’impero Gupta. Fu quindi un importante centro religioso e artistico, con molti monasteri e templi sia induisti che buddhisti. Oggi è difficile intuire il suo glorioso passato. Lo scavo di Pataliputra è quasi inesistente. Rimane la traccia di un’enorme sala colonnata dall’epoca Maurya. Quando visitai per la prima volta la sala colonnata era tutto sott’acqua. In loco è rimasta soltanto una colonna, messa lì come testimonianza.
Arrivati a Patna in aereo da Bombay siamo andati subito in albergo, classificato 5 stelle (ma ne vale neanche la metà), per correre fuori a vedere Pataliputra. Tutti entusiasti, ma che delusione! Certo è uno scavo importantissimo per gli storici ma per i non addetti ai lavori è veramente deludente. Non è rimasto praticamente niente… il vuoto! Ci siamo guardati in faccia, senza commentare. Per dimenticare la delusione ho proposto di fare un giro in centro e vedere il mercato, prima della conferenza serale. Abbiamo preso dei risciò. Pochissimi turisti vanno a Patna, a parte i giapponesi che fanno un percorso ‘buddhista’. Patna, naturalmente, è una tappa obbligatoria. Il giro è stato molto interessante, non la città in sé ma la vita, le persone.
Vicino alla stazione si trova un nuovo e imponente tempio indù, dedicato a Hanuman (il modello del devoto servitore degli dei) a forma di pagoda. Di sera è tutto illuminato e pullula di adoratori. Patna non è una città ‘da godere’, al contrario ha un’atmosfera cupa. Come in quasi tutta l’India, non esiste il servizio di nettezza urbana. A Patna accumulano l’immondizia sui marciapiedi nelle zone semi-periferiche e la coprono con sabbia e terra.
In compenso, il museo archeologico di Patna è un gioiello con statue di epoca Maurya, Gupta e Pala. Di bellezza stravolgente è la statua della Yakshi (semi-dea della fertilità e dell’abbondanza). Nelle vicinanze di Patna, dall’altra parte del fiume, in una campagna rigogliosa, si trova un posto di pace e tranquillità: Vaishali, dove si tenne il secondo concilio buddhista e dove si trova una bellissima colonna di Ashoka. Il posto è magico dopo la confusione e la sporcizia di Patna.
Bihar, a proposito, deriva da Vihar, che significa monastero buddhista. L’importanza del Bihar è fuori questione, ma per apprezzarlo maggiormente bisogna essere amanti della cultura indiana. Benché poverissimi, i villaggi sono molto caratteristici, sembrano rimasti fermi nel tempo. L’agricoltura è la fonte principale di sussistenza grazie al fertile suolo alluvionale della valle del Gange: grano, riso, juta, granturco, canna da zucchero, tabacco, banane e tante patate.
Nelle vicinanze di Patna ci sono molti luoghi ‘buddhisti’ da visitare tra cui Nalanda, sede di una celebre università, che attirò uomini di cultura alla ricerca di un confronto sul grande tema del buddhismo. Lo stato del Bihar non gode di buona fama in India, è noto per la corruzione politica e per le battaglie intestine all’interno dell’Università di Patna.
Nel Bihar ci sono molti problemi tra la casta dei brahmini e i cosiddetti senza casta, i paria. Il sentimento di appartenenza ad una casta è sempre molto, molto forte, non soltanto nel Bihar. Un proverbio sanscrito lo evidenzia dicendo: “L'uomo deve sacrificarsi alla famiglia, deve sacrificare la famiglia alla casta, la casta al paese, il suo paese al mondo, e il mondo a se stesso." A parte queste considerazioni, visitare il Bihar, anche se più consigliabile per ‘esperti’ e amanti del buddhismo, conserva un fascino di ‘già passato’, che sta scomparendo rapidamente da altre zone dell’India.
L’ultima volta sono stato nel 2002, sei anni fa. Sarà cambiata? Ne dubito. Comunque l’anno scorso, novembre 2007, un nostro gruppetto ha visitato Patna e dintorni in un viaggio epico chiamato ‘Regno di Magadha’. Vorrei sentire magari il loro parere a riguardo. Bisogna avere un motivo intrinseco per recarsi nel Bihar. Chi conosce bene l’India deve assolutamente visitarlo, se non l’ha già fatto. Chi non conosce l’India… beh è forse meglio che visiti prima qualche altra zona, magari il Rajasthan. Ma del Rajasthan parleremo un’altra volta.
giovedì 20 novembre 2008
venerdì 14 novembre 2008
CHI OSA ANDARE IN BANGLADESH?
Fare un viaggio in Bangladesh? Mah… non c’è una miseria nera? Che cosa c’è da vedere? In effetti, andare in Bangladesh è una ‘bella’ avventura. Racconto alcuni episodi.
Prendiamo la strada che da Calcutta va a Nord verso il Sikkim. Arriviamo fino a Malda (English Bazar). Malda, nel Bengala Occidentale (India), è famosa per i suoi manghi. Sono i migliori manghi dell’India, se non di tutta l’Asia. L’albero del mango è molto bello. Le foglie hanno un intenso color verde. E’ emozionante vedere chilometri e chilometri di manghi. E’ difficile recarsi da quelle parti durante la raccolta dei manghi, perché si raccolgono in giugno e luglio quando il clima è insopportabile, sia per il caldo sia per l’umidità. E’ il periodo che precede l’inizio dei monsoni, che da quelle parti sono molto intensi.
Prendiamo la strada che da Calcutta va a Nord verso il Sikkim. Arriviamo fino a Malda (English Bazar). Malda, nel Bengala Occidentale (India), è famosa per i suoi manghi. Sono i migliori manghi dell’India, se non di tutta l’Asia. L’albero del mango è molto bello. Le foglie hanno un intenso color verde. E’ emozionante vedere chilometri e chilometri di manghi. E’ difficile recarsi da quelle parti durante la raccolta dei manghi, perché si raccolgono in giugno e luglio quando il clima è insopportabile, sia per il caldo sia per l’umidità. E’ il periodo che precede l’inizio dei monsoni, che da quelle parti sono molto intensi.
La strada da Calcutta a Malda è stretta e molto trafficata, perciò lunga e tediosa. I dintorni di Malda però sono fantastici. Malda è un paese polveroso (nella stagione secca), fatiscente e sporco. Inoltre, essendo su una strada di grande comunicazione, è molto rumorosa e piena di gas di scarico dei camion. Nel 2002, quando ci siamo andati, c’era un brutto albergo (ci sarà ancora), sporco e fatiscente con bagni praticamente inservibili.
Crisi generale! Sono andato a vedere un altro albergo che sembrava molto più nuovo, dall’altra parte della strada, ma le camere erano talmente piccole che non ci stava dentro neppure una valigia. Era nuovo, forse aperto da qualche mese, ma stava già cadendo a pezzi. L’unico ‘vantaggio’: i pavimenti di ceramica e non la moquette, ma nient’altro. Così siamo rimasti nel nostro albergaccio.
Oltre alla campagna rigogliosa si trovano dei monumenti inaspettati. La moschea di Adina è affascinante perché è stata costruita con materiale proveniente da templi indù. La fusione degli elementi islamici e indù rende la costruzione veramente magica.
Non lontano si trova Gaur, ex-capitale del Bengala sotto i re indù delle dinastie dei Pala e dei Sena. Per un certo periodo fu una fiorente città commerciale, centro d’arte e di scienze e di una corte sfarzosa sotto il sultanato di Delhi. Ci sono delle moschee notevoli, sempre con la fusione di elementi indù e islamici veramente straordinari. Insomma, di fronte a tanta bellezza e arte abbiamo dimenticato l’albergo orribile!
Partiamo per il Bangladesh. Malda è a pochi chilometri dal confine. Verso il confine c'è una lunga fila di camion fermi in attesa di passare la frontiera, credo almeno per 8 km. Un lato della strada è libero e ci muoviamo. Ma se s’incontra un camion che viene in senso inverso sono guai. In effetti, il nostro mezzo ha dovuto fare delle manovre da Schumacher di tanto in tanto per poter passare e arrivare al controllo. Passiamo la frontiera abbastanza facilmente, anche se la burocrazia fa perdere tempo.
Oltre alla campagna rigogliosa si trovano dei monumenti inaspettati. La moschea di Adina è affascinante perché è stata costruita con materiale proveniente da templi indù. La fusione degli elementi islamici e indù rende la costruzione veramente magica.
Non lontano si trova Gaur, ex-capitale del Bengala sotto i re indù delle dinastie dei Pala e dei Sena. Per un certo periodo fu una fiorente città commerciale, centro d’arte e di scienze e di una corte sfarzosa sotto il sultanato di Delhi. Ci sono delle moschee notevoli, sempre con la fusione di elementi indù e islamici veramente straordinari. Insomma, di fronte a tanta bellezza e arte abbiamo dimenticato l’albergo orribile!
Partiamo per il Bangladesh. Malda è a pochi chilometri dal confine. Verso il confine c'è una lunga fila di camion fermi in attesa di passare la frontiera, credo almeno per 8 km. Un lato della strada è libero e ci muoviamo. Ma se s’incontra un camion che viene in senso inverso sono guai. In effetti, il nostro mezzo ha dovuto fare delle manovre da Schumacher di tanto in tanto per poter passare e arrivare al controllo. Passiamo la frontiera abbastanza facilmente, anche se la burocrazia fa perdere tempo.
La campagna del Bangladesh è rigogliosa e molto fertile. Quello che colpisce è che ogni fetta di terreno è coltivata, niente è lasciato al caso. I villaggi poi sono sopraelevati su una piccola montagnola di terra, perché quando straripa il maestoso fiume Brahmaputra, i villaggi dovrebbero rimanere appena fuori dall’acqua. Sentiamo quasi ogni estate le alluvioni che colpiscono questo paese.
Il Bangladesh è quasi tutta pianura. Potete immaginare come, durante i monsoni, il Brahmaputra si gonfia d’acqua, che scende giù vorticosamente dall’Himalaya. Ma il grande fiume trasporta ricchi depositi e minerali e permette ai contadini di praticare un’agricoltura intensiva. Sembra una contraddizione: le alluvioni portano la morte, ma senza non ci sarebbe la vita. E’ una specie di compensazione. Strano a dirsi ma è così.
Viaggiavamo in due o tre mini-bus. Che paura! Gli autisti guidano come pazzi anche perché c’è pochissimo traffico. Le strade sono, nel complesso, larghe e ben tenute, una cosa che non avrei mai pensato. Dopo ogni monsone devono rifare il manto stradale.
Dhaka, la capitale, è un incubo, veramente un incubo. Il centro della città invece, grazie agli inglesi (non per caso!), è molto verde, con viali alberati e giardini fioriti e con alcuni edifici coloniali. Per il resto è una bolgia infernale. Sorprendentemente o meno, c’è un museo archeologico di prim’ordine. Il Bangladesh ha importanti siti archeologici, antichi monasteri buddhisti, molto imponenti. Siamo arrivati al sud del paese, ai confini con la Birmania. Da Cox’s Bazar, sulla costa, abbiamo fatto una gita in barca all’isola di Moheskhali. Si prende il motoscafo, tutti pazzi per la velocità… comunque è sempre un’esperienza. Sull’isola non c’è niente di artistico da vedere ma la gente, l’atmosfera, i vecchi battelli di legno, che assomigliano a piccoli galeoni, danno l’idea di tornare indietro nel tempo, nel lontano passato.
A Chittagong, sempre sulla costa, abbiamo avuto un’esperienza interessante. Abbiamo fatto una gita all’interno per visitare un villaggio buddhista. Ad un certo punto ci siamo fermati e una famiglia musulmana ci ha invitato in casa offrendoci da bere. Sulla parete c’era un grande calendario (anno 2002) con la foto delle Torri Gemelle nel momento in cui si sono schiantati contro gli aerei! C’era anche una gigantografia di Bin Laden. Ci siamo guardati in faccia senza commentare… ma la famiglia era molto affabile e ospitale.
Vi racconterò altri aneddoti del Bangladesh in un’altra occasione.
Il Bangladesh è quasi tutta pianura. Potete immaginare come, durante i monsoni, il Brahmaputra si gonfia d’acqua, che scende giù vorticosamente dall’Himalaya. Ma il grande fiume trasporta ricchi depositi e minerali e permette ai contadini di praticare un’agricoltura intensiva. Sembra una contraddizione: le alluvioni portano la morte, ma senza non ci sarebbe la vita. E’ una specie di compensazione. Strano a dirsi ma è così.
Viaggiavamo in due o tre mini-bus. Che paura! Gli autisti guidano come pazzi anche perché c’è pochissimo traffico. Le strade sono, nel complesso, larghe e ben tenute, una cosa che non avrei mai pensato. Dopo ogni monsone devono rifare il manto stradale.
Dhaka, la capitale, è un incubo, veramente un incubo. Il centro della città invece, grazie agli inglesi (non per caso!), è molto verde, con viali alberati e giardini fioriti e con alcuni edifici coloniali. Per il resto è una bolgia infernale. Sorprendentemente o meno, c’è un museo archeologico di prim’ordine. Il Bangladesh ha importanti siti archeologici, antichi monasteri buddhisti, molto imponenti. Siamo arrivati al sud del paese, ai confini con la Birmania. Da Cox’s Bazar, sulla costa, abbiamo fatto una gita in barca all’isola di Moheskhali. Si prende il motoscafo, tutti pazzi per la velocità… comunque è sempre un’esperienza. Sull’isola non c’è niente di artistico da vedere ma la gente, l’atmosfera, i vecchi battelli di legno, che assomigliano a piccoli galeoni, danno l’idea di tornare indietro nel tempo, nel lontano passato.
A Chittagong, sempre sulla costa, abbiamo avuto un’esperienza interessante. Abbiamo fatto una gita all’interno per visitare un villaggio buddhista. Ad un certo punto ci siamo fermati e una famiglia musulmana ci ha invitato in casa offrendoci da bere. Sulla parete c’era un grande calendario (anno 2002) con la foto delle Torri Gemelle nel momento in cui si sono schiantati contro gli aerei! C’era anche una gigantografia di Bin Laden. Ci siamo guardati in faccia senza commentare… ma la famiglia era molto affabile e ospitale.
Vi racconterò altri aneddoti del Bangladesh in un’altra occasione.
venerdì 7 novembre 2008
WESSEX E THOMAS HARDY
Non esiste più la contea del Wessex, l’antichissimo nome dell’Inghilterra sud-occidentale. Il nome Wessex significa letteralmente Sassoni Occidentali. Il famoso scrittore Thomas Hardy (1840-1928) nacque nel Dorset (antico Wessex). Quasi tutti i suoi libri sono ambientati nel Wessex. Il paesaggio del Dorset è idilliaco e si può ancora seguire le orme di Hardy attraverso le vivide descrizioni dei suoi libri.
Credo di avere letto i suoi libri decine di volte. Mi piace particolarmente “The Mayor of Casterbridge” (il sindaco di Casterbridge), per non parlare del suo libro forse più famoso “Tess of the d’Ubervilles”. Ogni volta che leggo i suoi libri mi vengono i brividi. La sua tecnica narrativa e soprattutto la caratterizzazione dei personaggi colpiscono nel profondo. Ma anche la descrizione dei paesaggi ha una sensualità così forte che tutto il mio essere freme di emozione. Trovo difficile descrivere le emozioni che provo leggendo i suoi romanzi.
Visitare il Wessex (Dorset) oggi fa rivivere i suoi racconti. È rimasto tutto uguale a cent’anni fa. Nei suoi libri ha cambiato i nomi di villaggi, città e luoghi ma essi corrispondono a villaggi, città e luoghi reali. Fare il circuito della campagna dove Thomas Hardy ha ambientato i suoi romanzi è certamente di grande suggestione, un avvenimento da non perdere. Prima di farlo però bisogna leggere almeno un paio di suoi libri. Il capoluogo della contea del Dorset e Dorchester era un castrum al tempo dei romani. La costa è molto varia e straordinariamente bella. Si chiama la “Jurassic Coast”(la costa giurassica), ora patrimonio mondiale per la sua imponente geologia, che presenta una sequenza di superbe rocce giurassiche e di altre formazioni.
Michael’s room è un blog di racconti di viaggio, ma non posso fare a meno di trasmettere uno dei poemi di Thomas Hardy intitolato in Inglese “THE DARKLING THRUSH” (Tordo a Sera in italiano). Illustra la capacità di Hardy di vivere con grande profondità e tristezza i suoi racconti, ma sempre con un raggio di speranza. Alla prossima settimana!
M'appoggiai al cancello d'un boschetto
Credo di avere letto i suoi libri decine di volte. Mi piace particolarmente “The Mayor of Casterbridge” (il sindaco di Casterbridge), per non parlare del suo libro forse più famoso “Tess of the d’Ubervilles”. Ogni volta che leggo i suoi libri mi vengono i brividi. La sua tecnica narrativa e soprattutto la caratterizzazione dei personaggi colpiscono nel profondo. Ma anche la descrizione dei paesaggi ha una sensualità così forte che tutto il mio essere freme di emozione. Trovo difficile descrivere le emozioni che provo leggendo i suoi romanzi.
Visitare il Wessex (Dorset) oggi fa rivivere i suoi racconti. È rimasto tutto uguale a cent’anni fa. Nei suoi libri ha cambiato i nomi di villaggi, città e luoghi ma essi corrispondono a villaggi, città e luoghi reali. Fare il circuito della campagna dove Thomas Hardy ha ambientato i suoi romanzi è certamente di grande suggestione, un avvenimento da non perdere. Prima di farlo però bisogna leggere almeno un paio di suoi libri. Il capoluogo della contea del Dorset e Dorchester era un castrum al tempo dei romani. La costa è molto varia e straordinariamente bella. Si chiama la “Jurassic Coast”(la costa giurassica), ora patrimonio mondiale per la sua imponente geologia, che presenta una sequenza di superbe rocce giurassiche e di altre formazioni.
Michael’s room è un blog di racconti di viaggio, ma non posso fare a meno di trasmettere uno dei poemi di Thomas Hardy intitolato in Inglese “THE DARKLING THRUSH” (Tordo a Sera in italiano). Illustra la capacità di Hardy di vivere con grande profondità e tristezza i suoi racconti, ma sempre con un raggio di speranza. Alla prossima settimana!
M'appoggiai al cancello d'un boschetto
Quando il gelo era grigio fantasma,
E le scorie d'inverno desolavano
L'occhio morente del giorno.
I rami intrecciati striavano il cielo
Come corde di lire spezzate,
E tutti gli umani all'intorno
Erano presso il loro focolare.
Le linee della terra scheletrita
Sembravano il cadavere del secolo disteso.
Sua cripta sepolcrale la volta nuvolosa,
Il vento suo lagno di morte.
Il palpitare antico del seme e della nascita
S'era rattratto in rigida secchezza,
E ogni spirito sopra la terra
Svuotato di fervore come me.
Ed ecco una voce improvvisa
Scoppiò dagli squallidi rami,
A piena gola, in canto vespertino
Di gioia sconfinata;
Un vecchio tordo, fragile, sparuto, piccolino,
Le piume arruffate dal vento,
In quel modo spendeva la sua anima
Sull'ombra che scendeva.
Così poco incentivo a carole
Di tanto estatica nota
Era scritto sul volto della terra,
Lontano o intorno a lui,
Da farmi pensare vibrasse
In quella sua gioiosa buona-notte
Una lieta speranza, di cui egli sapeva
E io ero ignaro.
SUFFOLK E JOHN CONSTABLE
Quando ho parlato di Norfolk, nell’East Anglia, alla fine del racconto ho citato la contea del Suffolk, che confina a nord con il Norfolk. È nel Suffolk meridionale che è nato il famoso paesaggista romantico John Constable (1776/1837), a East Bergholt. Il Suffolk è una contea luminosa con un cielo speciale, esattamente come nei quadri di Constable. Il villaggio “storico”, nato alla fine del XV e inizio del XVI sec, mantiene ancora oggi il fascino “antico” di un villaggio inglese perduto nel tempo. I quadri di Constable sono ispirati ai paesaggi della campagna circostante. Il quadro “Cottage a East Bergholt” è un insieme di chiaroscuro con un bellissimo cielo movimentato, attraverso il quale si intravede un raggio di luce. Molti suoi quadri sono ambientati vicino o sul fiume Stour, che divide praticamente il Suffolk a nord e l'Essex a sud. Altri famosi quadri sono: “The Mill at Dedham” (il mulino a Dedham), “View on the Stour” (veduta sul fiume Stour), “Dedham Vale” (la valle di Dedham) e “The Hay Wain” (difficile da tradurre, è una specie di carretto trainato da cavalli), ambientato a Flatford sul fiume. Visitare questi posti oggi è come rivivere i soggetti di Constable. Il paesaggio è tuttora incontaminato, il cielo luminoso e le nuvole imponenti. È magico visitare oggi la Valle di Dedham con la copia del quadro di Constable in mano, perché non è cambiato! Forse il quadro più famoso di Constable è “The Cornfield” (il campo di grano), un vero capolavoro di paesaggio rurale della vecchia Inghilterra. La zona dove è nato Constable si chiama oggi: “The Constable Country” e vale la pena andarci. Non si trova molto lontano da Londra, ma preparatevi a entrare in un altro mondo, come una specie di metamorfosi. Da non credere! Nelle vicinanze si trovano il capoluogo del Suffolk, Ipswich, di origine romana, e il capoluogo dell’Essex, Colchester, ritenuto il più antico insediamento romano della Gran Bretagna.
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