venerdì 19 febbraio 2010

GIAPPONE: TRA TRADIZIONE E MODERNITA'

Prima di natale avevo promesso che avrei parlato ancora del Giappone dopo le festività di fine anno, al mio ritorno dall’India. Ma non l’ho fatto. L’India mi prende così nel profondo che i primi tre racconti di quest’anno parlano dell’India! Il Giappone mi ha colpito molto per vari motivi, come descritto sull’ultimo racconto del 2009. Le tradizioni sono ancora fortemente ancorate nell’animo dei giapponesi e questo colpisce particolarmente in un paese ultra-moderno e altamente tecnologico. I giardini giapponesi sono oasi di pace e bellezza. Il culto della natura non ha uguali. I giardini zen, per esempio, sono semplici ma nello stesso complicati. È il lavoro dell’uomo, le pietre e poi la ghiaia, le piante, le fontane, gli aceri: tutti questi elementi hanno un preciso significato. Personalmente, li vedo sotto il profilo prettamente materiale, anche se lo zen è meditazione. I padiglioni di legno che si affacciano su questi giardini sono fatti appunto per la meditazione ma personalmente guardo la cosa con un’altra ottica. Kyoto, la Firenze del Giappone, è ricca di giardini e templi. Kyoto è circondata da tre lati da verdi colline, una specie di ferro di cavallo, dove si trovano i templi e giardini zen. Sono tantissimi. La parte vecchia di Kyoto, vicino al fiumicciatolo che attraversa la città, è affascinante per i suoi negozi, ognuno specializzato in un solo prodotto: ad esempio il negozio di vecchi kimono, il negozio di utensili di peltro, di noodles di grano saraceno (soba), di tè e porcellane da tè, il negozio di ceramica, di lanterne, di ombrelli, il negozio di pettini, di bambole d’argilla, di tofu, di farina glutinata, il negozio di ventagli e il negozio di carta e così via. Sono negozi di grande interesse. Io che ‘odio’ guardare negozi e vedere mercati spenderei tutta la giornata a visitare questi negozietti specializzati. Poi ci sono tanti piccoli ristoranti in cui bisogna prenotare un bel po’ in anticipo perché accolgono pochi clienti. È tutto servito con molta delicatezza e ‘savoir-faire’ ma la scomodità, almeno per me, di sedersi in terra su un pavimento di legno su cui sono messi dei cuscini e il classico tavolo basso alla giapponese, è grande. Tra l’altro ci si tolgono le scarpe all’ingresso (giustamente). Lo trovo di una scomodità infinita ma l’esperienza è da fare. Le pietanze possono apparire eccessivamente misere, ma in Giappone si valorizzano con eleganza e raffinatezza anche pochi semplici ingredienti. Poi ho dimenticato gli ohashi, ovvero i bastoncini che si usano al posto delle posate. Mamma mia che fatica! Ma anche se alla fine del pasto è difficile alzarsi in piedi da seduto a stante, almeno per noi, la soddisfazione di avercela fatta è grande. In Giappone ci sono molte regole di etichetta su come comportarsi a tavola, ma questo ve lo risparmio. Dico soltanto una cosa: per mangiare i noodles non si deve essere inibiti. Si dovrebbero gustare bollenti direttamente dal brodo e quindi risucchiati rapidamente aspirando contemporaneamente aria per raffreddarli. Potete immaginare il forte rumore ma gradito dai locali perché significa che la pietanza è molto gustosa. Un’altra cosa che mi è rimasto impressa del Giappone sono le stazioni ferroviarie, che sono dei veri e propri punti d’incontro. Sì è vero! “Facciamo una passeggiata?” “Dove andiamo?” “Andiamo alla stazione”. Anch’io sono andato alla stazione diverse volte. Ci sono tantissimi bar, ristoranti, negozi, magazzini e addirittura un teatro. La stazione di Kyoto poi è spaziale e ultra-moderna. Sono salito fino al punto di osservazione all’undicesimo piano, da cui si gode una vista della città, fantastico! Un’altra stazione dove ho bazzicato un bel po’ è la stazione di Shinagawa (non è la stazione centrale ma è una delle principali). Infatti, la stazione di Shinagawa si affaccia sul mare dove ci sono strutture portuali mercantili e nei dintorni si possono vedere importanti grattacieli, sedi di aziende che operano in campo tecnologico. Il momento più ‘suggestivo’ in cui andare è l’ora di punta (the rush hour); arrivano migliaia di pendolari, per la maggior parte impiegati, quasi tutti uomini. Sono vestiti tutti uguale: con il vestito intero scuro e la cravatta. Arrivano dai binari come uno scudo umano. Ma non c’è confusione, non ti travolgono, tutto si svolge ordinatamente. Anche la zona di Shinagawa è interessante da visitare: passeggiate lungo il mare con percorsi attraverso giardini e ponti in un ambiente di ultra-modernità. Ma naturalmente il Giappone non è solo modernità , è anche - e soprattutto - antichità. Ma di questo parleremo, caso mai, un’altra volta.

lunedì 8 febbraio 2010

KARNATAKA, INDIA, TRA TEMPLI HOYSALA E PALME DI COCCO

Proseguendo con l’itinerario che ho fatto recentemente da Hyderabad a Bangalore vorrei segnalare i lavori meravigliosi della dinastia Hoysala nello stato indiano meridionale di Karnataka, tra il X e il XIV sec. La capitale dell'impero fu prima a Belur poi a Halebid. Una caratteristica dell’architettura dei templi Hoysala è la sua squisita attenzione ai particolari e la maestria qualificata delle sculture. La torre nel tempio santuario (vimana) è letteralmente ricoperta di intricati intagli ed elaborati ornamenti e dettagli. La pianta stessa dei templi è costruita in forma di stella e installata su delle alte piattaforme. Chi ha fatto questo bellissimo viaggio con me recentemente ricorderà la dinastia dei Chalukya (Pattadakal, Aihole): ne abbiamo fatto una scorpacciata, quasi un’indigestione! Lo stile dei templi Hoysala è una derivazione dello stile Chalukya occidentale. Lo stile Hoysala, che si chiama Karnata Dravida (distinte influenze dravidiche, templi stile del sud), è considerata una tradizione architettonica particolare con caratteristiche uniche. La scultura è appunto ricchissima; ogni centimetro è scolpito con precisa delicatezza anche se a volte può apparire pesante per la moltitudine infinita di soggetti raffigurati. Oltre alle divinità, le sculture si concentrano sulla raffigurazione della bellezza femminile e della sua grazia, ognuna fissata in una diversa posa. Alla base del tempio si trovano stupendi fregi scolpiti minuziosamente che mostrano elefanti, leoni, motivi floreali, animali mitologici e cavalieri. Questo è molto evidente a Halebid, uno dei capolavori dell’arte Hoysala. Nelle vicinanze di Belur, dove si trova un altro bellissimo tempio Hoysala, s’incontrano i ghat occidentali, catena montagnosa che forma una barriera tra la costa occidentale e l’India interna. Alla base dei ghat i paesaggi sono idilliaci: palme di cocco, palme di betel, piantagioni di caffè, risaie ecc. e tanti corsi d’acqua, laghi e laghetti. È incredibile l’albero della noce di cocco, così elegante e slanciato. Il fusto è colonnare e appunto slanciato, più stretto alla sommità che alla base e le foglie sono paripennate, fronde che danzano al vento. È incredibile quanto ‘benessere’ dà la palma di noce alle popolazioni locali: dalla copra (la polpa essiccata del cocco) si produce margarina di cocco, un olio vegetale utilizzato in pasticceria o per la fabbricazione di sapone e colla. Sempre dalla copra si ricava una farina utilizzata a fini alimentari. Poi ci sono le fibre coir che si trovano tra la buccia e il guscio esterno della noce del cocco per fare tappeti, zerbini e cordami. E che dire delle fronde che vengono usate per fabbricare stuoie e coperture per le capanne? Ma non è finita, si ricava dall’albero il vino di palma, l’aceto di palma, lo zucchero di palma e la grappa di palma oltre al legno di cocco per mobili, abitazioni e manici. Veramente dovrei parlare di viaggi, ma credetemi, la palma di cocco mi intriga moltissimo. Vedere centinaia e migliaia di queste eleganti palme nelle campagne dell’India del sud riempie di gioia e serenità. Il Karnataka meridionale è molto simile allo stato sud-occidentale del Kerala. Il Karnataka meridionale è’ molto diverso dalla parte nord, l’infuocata tavolata del Deccan. Al sud, grazie alla rigogliosa vegetazione e all’agricoltura dovuta alle copiose piogge durante il monsone, il paesaggio è ridente e ameno. Le case sono costruite bene e si respira una certa aria di benessere. Al nord invece è più secca e polverosa. È vero che ci sono tanti chilometri quadrati dove viene coltivata la canna da zucchero, ma basta uscire dalle zone irrigate per trovare zone arse dalla secchezza e territori coperti di rovi a causa della base rocciosa basaltica. Gulbarga e Bijapur sono due città del nord Karnataka di grande interesse (i monumenti delle dinastie islamiche sono strepitosi) ma polverosi e disordinati. Gli alberghi stessi sono fatiscenti anche se hanno pochi anni o addirittura pochi mesi di vita. Quello che colpisce in India è la campagna, le zone rurali, la gente contadina, i percorsi alternativi. Vorrei citare, per finire questo breve racconto, alcune osservazioni di Pier Paolo Pasolini dal libro ‘L’odore dell’India’. Anche se la descrizione non si riferisce allo stato di Karnataka è certamente emblematica.

I gridi delle cornacchie ci seguono, più o meno fitti e disordinati, per tutta l'India. È una iterazione significativa: pare che dicano: siamo sempre qui, perché l'India è sempre così. A parte la follia che domina quel breve rutto, insolente, idiota e sfacciato: quell'aria di chi non rispetta nulla, gratuitamente sacrilega. Con quel persistente verso negli orecchi, vediamo il paesaggio lentamente cangiare, come una sconfinata schiena emergente dalla polvere. Ma un cambiamento vero non avviene mai. In realtà esso resta uguale per centinaia di chilometri, da Bombay a Calcutta. La strada, stretta, circondata da due piste di terra rossiccia, e da una interminabile, stupenda galleria di banani o di altre piante simili ai nostri castagni, si snoda all'infinito attraverso due quinte sempre uguali: o distese incolte, bruciacchiate, con dei cespugli da bosco ceduo, o distese di terreno confusamente coltivato, con le chiazze color canarino, abbagliante, del miglio.