venerdì 27 febbraio 2009

Orissa

Sempre India. Non c’è niente da fare, torno sempre in India. È irresistibile. Ti prende l’anima.
Vorrei parlare dell’Orissa, stato indiano orientale, che ha il primato di avere più templi indù di qualsiasi altro stato indiano. È vero che si sente parlare di violenze tra indù e cristiani, ma queste avvengono nelle zone rurali tribali dell’Orissa occidentale. Ora parliamo invece dell’Orissa orientale, vicino alla costa.
Il capoluogo, Bhubaneshwar, significa il Signore dell’Universo ed è legato strettamente al culto di Shiva. Ci sono dei templi straodinari come, ad esempio, Mukteshwara (X sec.) con il cortile lastricato, cinto da un basso muro perimetrale; l’accesso al tempio è contrassegnato da un torana (specie di arco) che presenta un ricco addobbo scultoreo. Sono bellissime le colonne scolpite con serpenti (naga) attorcigliati, coppie di amanti, fanciulle divine e naturalmente Shiva, Parvati e Ganesha. Anche il tempio di Vaital-Deul (VIII sec.) è straordinario. È un piccolo tempio noto per l’insolita architettura, per l’incredibile ricchezza decorativa dell’ornato e l’eleganza delle sue sculture. Il santuario è oblungo a tre navate, sormontato da un tetto piatto. Ci sono decine di altri templi nella città e nei dintorni.
La campagna dell’Orissa è molto bella. Assomiglia all’India merdionale, rigogliosa e molto fertile. Prendendo la strada per il famoso tempio del Sole (Surya) di Konarak il paesaggio è molto verde con palmeti, coltivazioni di riso, canna da zucchero, banani, manghi ecc. Le campagne nascondono tesori inaspettati come un bellissimo tempio tantrico probabilmente risalente al IX secolo dedicato a Varahi, una delle otto divinità-madri, associata a Varaha (incarnazione di Vishnu in forma di cinghiale). Si trova in una situazione rurale di grande suggestione. Vicino al tempio c’è un villaggio ancora con le vecchie case di fango e i tetti di paglia. Konarak è poco distante dal Golfo del Bengala dove si trova il maestoso tempio dedicato a Surya la cui struttura riproduce quella del carro del Sole, con dodici coppie di ruote e sette cavalli impegnati nel traino. L’intero complesso architettonico è letteralmente coperto di sculture a tutto tondo e di rilievi, da mozzafiato! Puri, proprio adagiata sul golfo, è un importante luogo di pellegringaggio. Il grandioso tempio di Jagannatha è interdetto ai non-indù. Il culto di Jagannatha è tipico dell’Orissa soltanto. È una forma locale di Krishna (avatara o manifestazione di Vishnu). In realtà tre sono le immagini di culto venerate nel tempio: con Jagannatha si trovano suo fratello Balarama e sua sorella Subhadra, un bel trio. Sono immagini stranamente arcaiche, scolpite nel legno e dipinte di bianco, nero e giallo, una grande testa senza collo si innesta su un corpo informe e privo di arti che ricorda quello di un pupazzo. Il trio è molto carino e sembra un gioccatolo per bambini. Jagannatha è particolarmente amato dai senza-casta perché promette la redenzione di tutti gli uomini senza distinzione di casta!
Sempre a Puri è incredibile il villaggio di pescatori (villaggio per modo di dire, perché conta circa 50.000 abitanti!). I pescatori provengono da Andhra Pradesh, uno stato indiano a sud dell’Orissa. Provengono da Andhra Pradesh prima perché non è una tradizione degli abitanti di Orissa di fare i pescatori (sono agricoltori) e secondo per la pescosità del mare. L’ultima volta che sono andato i pescatori erano fermi per una festa, non mi ricordo quale, e tutti i battelli erano arenati sulla spiaggia. Era uno spettacolo vedere centinaia e centinaia di battelli a perdita d’cchio sulla riva del mare. Abbiamo parlato con la gente, tutti molto affabili e soprattutto curiosi. L’Orissa offre ancora molto di più: importantissimi siti buddhisti, templi e santurari indù sparpagliati per tutto il territorio, villaggi perduti nel tempo. L’Orissa è anche nota per le sue minoranze etniche. Soltanto sentire l’espressione minoranze etniche mi dà noia e poi il pensiero di andare nella foresta a fotografarle come se fossero alieni provenienti da un altro pianeta mi da fastidio. Non disdegno vederle ma non vado apposta. Visitarle è diventato popolare in quest ultimi anni ma il turismo li ha resi ‘falsi’. A volte provengono dalla città, si cambiano, attendono i turisti, e poi si ricambiano e rientrano con la loro moto! Niente di male! Sono contento che si siano evoluti…mah! Anche dire evoluti mi sembra poco appropriato! Sarà molto meglio lasciarci con una poesia d’amore di Rabrindanath Tagore:
"Vorrei dirti le parole più vere, ma non oso, per paura che tu rida. Ecco perché mento, dicendo il contrario di quello che penso. Rendo assurdo il mio dolore per paura che tu faccia lo stesso."

venerdì 20 febbraio 2009

BANGLADESH SÌ, BANGLADESH NO

Tempo fa ho descritto alcuni episodi di un mio viaggio in Bangladesh. Ci vuole una fortissima motivazione per recarsi in questo paese, visto che è martoriato da mille problemi, dalla fame alla sicurezza, dai disastri climatici alla sovrappopolazione. Recarsi in un paese come il Bangladesh, dove ci sono miseria nera, malattia e fame è fuori questione, pare impensabile. In realtà recarsi in Bangladesh è molto meno peggio di quello si pensa. L’altra volta avevo descritto la rigogliosa campagna. Vedere tutti i campi ordinati e lavorati non dà un senso di squallore. Al contrario! Certo si visita il paese durante la stagione ‘secca’, d’inverno. D’estate, come sappiamo, le alluvioni sono frequenti. Pensate che il territorio del Bangladesh è per la maggior parte sotto i 10 metri slm, e si ritiene che quasi il 10% della regione verrebbe inondata se il livello del mare crescesse di un metro! La capitale Dacca è un inferno, d’accordo, ma le città minori sono vivibili.
La gente è molto cordiale e ospitale. Dato che in Bangladesh si vedono pochi turisti, gli abitanti locali sono molto curiosi e si affollano attorno a loro. I siti archeologici poi sono notevoli. Il monastero buddhista di Paharpur, per esempio, è grandioso: è considerato il più grande monastero a sud dell’Himalaya. L'aspetto del santuario, piramidale a base cruciforme, ha influenzato costruzioni coeve del sud-est asiatico. Nei dintorni sono stati ritrovati numerosi oggetti di terracotta, monete, statuette con immagini divine e ceramiche, che sono conservati nei musei di Paharpur e Rajshahi. Attorno alla base del grande santuario si trovano delle belle formelle di bassorilievi in terracotta con scene di persone e animali. Forse questo sito archeologico è il più bello del Bangladesh, ma ce ne sono tanti altri sparsi per il paese. Non è un paese grande e si può percorrerlo abbastanza facilmente in poco tempo.
Fuori Dacca, dove si trovano alberghi a 5 stelle, le strutture ricettive sono modeste ma più che accettabili. Spesso nei ristoranti degli alberghi non servono cucina bengalese bensì internazionale, tendente all’inglese. Diversamente dall’India, dove si mangiano cibi ottimi ma speziati dappertutto, in Bangladesh danno piatti insipidi ai visitatori. Forse è il cuoco che decide di preparare un menu inglese quando sa che gli ospiti sono turisti stranieri occidentali. Chi non ama le spezie gioisce, ma chi ama la vera cucina indiana brontola! Comunque, a parte queste considerazioni, che hanno una importanza relativa, il Bangladesh sorprende.
La vita culturale del paese si concentra a Dacca, sede della Bangla Academy, istituzione che si occupa dello sviluppo e della promozione della lingua e letteratura bengalese. A Dacca si trovano inoltre la biblioteca principale del paese (presso l’università) e il Museo Nazionale del Bangladesh, ricco di splendide collezioni d’arte e di reperti archeologici, una vera goduria. Nell’Università di Rajshahi invece ha sede il Museo Varendra, importante centro di ricerca archeologica, antropologica e storica.
Il Bangladesh è un paese molto, molto forte. Fa sempre parte del subcontinente indiano ma, mentre India e Pakistan sono paesi più conosciuti e visitati, problemi di terrorismo a parte, non è frequentato dai turisti. Primo perché non viene proposto praticamente da nessuno, secondo per la miseria che caratterizza il paese, terzo perché si pensa che non ci sia niente da vedere. Come ho sottolineato all’inizio di questo racconto, ci vuole una fortissima motivazione per recarsi in Bangladesh, dettata dalla voglia di scoprire nuovi orizzonti e soprattutto di approfondire argomenti come il buddhismo e l’induismo, anche se ora, al novanta percento, la popolazione è di religione islamica. È una grande avventura!
Vi lascio con un aforismo del poeta bengalese Tagore, nato dall’altra parte della barricata, nel Bengala Occidentale-India, ma allora tutt’uno con il Bangladesh: “Quando una religione ha la pretesa di imporre la sua dottrina all’umanità intera, si degrada a tirannia e diventa una forma d’imperialismo”.

venerdì 13 febbraio 2009

IRAN

Sono stato in Iran per la prima volta nel 1992 e mi sono trovato benissimo. Spesso si vedono in televisione migliaia di donne in chador color nero, come corvi, inneggiare al potere teocratico e gridare slogan contro gli Stati Uniti, in apparenza tutte esaltate. Aspettavo di trovare freddezza, invece la gente (uomini e donne) ti saluta con molto garbo dicendo ‘Benvenuto in Iran’. Ogni volta che sono tornato in Iran ho avuto la stessa esperienza, ho incontrato persone gentili e affabili. Molte famiglie ti fermano per chiedere informazioni sulla tua provenienza o per chiedere cosa ne pensi dell’Iran ecc. Nelle zone rurali ho anche incontrato persone che si sentivano libere di parlare senza essere spiati e che si lamentavano della situazione politica. Mi ricordo di aver incontrato una famiglia che stava vistando un sito archeologico: lui era un professore e si lamentava della sua paga e delle condizioni di lavoro.
Tehran, la capitale, è una città senza capo né coda, poco attraente. Come in tutte le megalopoli del mondo, la gente non ha tempo di chiacchierare e neppure di sorridere. Fuori dalla capitale però è tutta un’altra cosa. Nel 1992, ma anche fino a poco tempo e forse ancora oggi, c’erano striscioni fuori dagli alberghi di Tehran con ‘Down America’ o qualche cosa di simile (non mi ricordo le parole esatte, ma comunque si capisce qual è la sostanza dello slogan!). Nel 1992 molti dicevano anche ai nostri amici che si sono iscritti al viaggio ‘ma siete matti di andare in Iran, lì sono tutti esaltati, è pericoloso!’. La realtà è ben diversa, almeno tra la gente ‘comune’. Non ho mai sentito di essere in pericolo né ne ho mai avuto il minimo sentore.
L’Iran è un paese meraviglioso, talmente intriso di storia che un solo viaggio non è assolutamente sufficiente per apprezzare appieno la sua storia e la sua cultura. Il viaggio classico, cioè Tehran, Shiraz (Persepoli) e Isfahan, è grandioso ma ci sono tante altre cose da vedere. Per esempio le chiese armene nella parte nord-occidentale dell’Iran, confinante con Turchia, Armenia e Azerbaijan. Le chiese armene sono di grande suggestione, possono essere un po’ ripetitive ma si trovano in un paesaggio talmente bello che è una goduria totale. Poi c’è la parte sud-orientale verso il Pakistan. Non è il caso di andare oltre Bam per via di predoni e spacciatori di droga che frequentano il deserto. La bellissima cittadella di Bam fu completamente distrutta da un potente terremoto alla fine del 2003. Nel 2004 il principe di Galles, Carlo, si recò a Bam per solidarietà. Si sta ricostruendo la cittadella, credo con l’aiuto di un’equipe giapponese. Non posso non ricordare le innumerevoli vittime del terremoto che distrusse circa il 70% della città nuova di Bam.
Nel 1992 abbiamo fatto un percorso piuttosto lungo e nei centri piccoli gli alberghi erano molto modesti, ma sempre gestiti con tanta buona volontà. La situazione è migliorata notevolmente da allora. Mi ricordo a Hamadan, l’antica Ecbatana, nel nord-ovest dell’Iran, in un modesto albergo, una donna spazzava il pavimento con una saggina. Si alzava la polvere e si depositava da un’altra parte! Trovandosi sulla via della seta in una posizione strategica, fu una città di grande commercio e scambi nei giorni che furono.
Un viaggio in Iran va fatto. Certo le donne devono coprirsi il capo, le braccia e le gambe, ma non devono pensare che sia obbligatorio coprirsi con il chador. Non è richiesto. Basta un foulard in testa, un paio di pantaloni non stretti e sopra un vestito abbastanza largo che arrivi fino al ginocchio. Se non si indossano pantaloni è sufficiente indossare un vestito lungo fino alle caviglie con maniche lunghe e naturalmente un fazzoletto in testa. Per gli uomini è meglio avere la camicia con le maniche lunghe. Credo che molte donne iraniane non ne possano più di indossare il chador, ma sotto hanno le magliette e i blu jeans. Non sarebbe permesso guardare i canali in lingua straniera ma quasi tutti hanno l’antenna (il cosiddetto ‘disco’). Ogni tanto il governo interviene ma una settimana dopo le antenne appaiono di nuovo. Insomma è un popolo allegro e simpatico.

venerdì 6 febbraio 2009

BOMBAY

Dopo i fattacci di Bombay (Mumbai), vorrei parlare ancora di questa città incredibile, autoproclamatasi urbs prima in Indis. Molte volte mi domando come faccia Bombay ad andare avanti. È una megalopoli con una quindicina di milioni di abitanti. Ha dei grossi problemi di funzionamento. Molti condomini, anche quelli nuovi, non ricevono acqua per molte ore al giorno e spesso nei piani alti arriva soltanto di notte. Forse per la forte umidità, le case sono fatiscenti e anche quelli nuovi si deteriorano molto presto. Bombay ha la bidonville più grande dell’Asia, una vera città nella città. Milioni di persone non hanno servizi igienici. Esistono bagni comuni ma sono talmente stipati che le persone preferiscono fare i loro bisogni fuori. Le donne escono a fare i loro bisogni soprattutto di notte, per non essere viste. Insomma è una situazione difficile!

Eppure Bombay è anche una città elegante, ha una bellissima passeggiata lungo la baia, edifici coloniali di prim’ordine come Victoria Station, il Museo Prince of Wales, il vecchio Taj Hotel, Crawford Market, l’Università, l’Alta Corte e molti altri. Alcune delle vecchie case di Bombay hanno dei bellissimi balconi in ferro battuto, altre in legno. Di solito non si ha mai la possibilità di visitare Victoria Station, perché i pullman turistici non possono fermarsi. Bisogna andarci a piedi oppure prendere un taxi. Vale la pena visitarla e non soltanto per l’architettura. Sembra un po’ St. Pancras Station di Londra, ma è ancora più imponente. Centinaia di migliaia di persone arrivano in città dai sobborghi ogni giorno. E’ sorprendente vedere quanti treni entrano ed escono, soprattutto durante gli orari di punta. Gli scompartimenti sono stipati, alcuni non hanno sedili, si rimane in piedi. Quando i passeggeri scendono sui binari, la folla è immensa.
Ho preso il treno da Victoria Station più volte. Una volta per andare ad Ambarnath, una cittadina a nord di Bombay, dove c’è un antico tempio dedicato a Shiva risalente al nono secolo. È un po’ in rovina ma è aperto al culto. Ci sono sempre tanti adoratori che fanno la fila per recarsi nella cella interna e offrire incenso e fiori alla divinità. La ricca decorazione scultorea rende il tempio di grande interesse. Come sapete, spesso i templi sono vicino ai corsi d’acqua, e Ambarnath non è da meno. Ma il corso d’acqua è maleodorante e sudicio. Peccato, ma Bombay è così. Non credo che valga lo sforzo di fare un’escursione in pullman. Uscire da Bombay in macchina è sempre traumatico. Prendere il treno suburbano da Victoria Station per Ambarnath è di per sé un’esperienza, credo che ne valga veramente la pena. Poi dalla stazione di Ambarnath si può prendere un triciclo fino al tempio, oppure andare a piedi. Basta seguire la folla!
Il porto di Bombay è uno dei più importanti del subcontinente indiano. Andando all’isola Elephanta dalla Porta dell’India, si intravede in distanza il porto commerciale. È sorprendente come i ‘terroristi’ siano riusciti ad arrivare in gommone con tutte le loro armi e granate. Ci sono diversi bastimenti militari nella baia!
Per conoscere bene Bombay bisogna girarla a piedi: un’impresa difficile, perché le distanze sono notevoli. Bisognerebbe dedicare una giornata intera a gironzolare per Colaba, la zona della Porta dell’India, osservare gli edifici, fermarsi nei negozi, visitare il mercato di Crawford, entrare nella stazione di Victoria, e visitare il Museo, che ha una ricca collezione archeologica e contiene anche una bellissima collezione di miniature.
Insomma Bombay è una metropoli sorprendente, sia nel bene che nel male. È un crogiuolo di umanità, pullula di umanità. I nuovi condomini sovrastano la bidonville. Non credo che coloro che abitano nelle catapecchie gradirebbero vivere in un alveare, anche se gli appartamentini dispongono di servizi privati.
Il santo protettore di Bombay è Ganesha, il Signore del buon auspicio, direi adatto ad una città così dinamica, centro dell’economia del subcontinente. La festa in onore di Ganesha a Bombay è molto sentita ed è frequentata da milioni di persone. Non è necessario andare a Bombay per vedere la festa, ce n’è una anche a Parigi!!
Un libro straordinario da leggere su Bombay è Maximum City di Suketu Mehta. Salman Rushdie ha scritto di questo libro: “Straordinario... La qualità investigativa del reportage di Mehta, l'abilità con cui persuade gangster e assassini a raccontare le loro storie, sono sorprendenti. È il miglior libro scritto finora su questa grande metropoli in rovina, e merita assolutamente di essere letto”.