venerdì 26 settembre 2008

Bhutan


Oggi vi parlerò del Bhutan, un paese affascinante. Non raggiunge le bellezze naturali di Nepal, Ladakh o Karakoroum ma l’atmosfera serena, la gente sorridente e cordiale, i villaggi attraenti, i monasteri interessanti e le sue tradizioni colpiscono nel profondo.

Il Bhutan è un paese incastonato tra India e Cina. Bisogna arrivare via terra per apprezzarne la posizione geografica. È molto più faticoso e lungo ma ne vale veramente la pena. Si arriva dallo stato del Bengala Occidentale.
Vent’anni fa ho visitato per la prima volta il Bhutan con un nostro gruppetto di viaggi di cultura. Dalla fertilissima umida piana del Bengala nord orientale, pullulante di vita, si arriva alla cittadina indiana di Jaigaon, un postaccio al confine con il Bhutan. C’è una porta che divide Jaigaon da Phuntsholing, dalla parte bhutanese. Sembra tutto molto informale. Quando si entra dalla porta d’ingresso si entra in un altro mondo, un mondo tranquillo, più soave, direi. Non che sia un bel paese, è di frontiera, c’è poco da vedere ma si respira un’aria di…di buddhità!
Da Phuntsholing inzia la montagna, e non solo. Guardando la cartina si nota che, dove finisce la piana del Bengala in India, i monti si stendono verso nord e improvvisamente raggiungono i 4000, addiruttura i 4700 metri slm. Il Bhutan è un paese interamente montagnoso. Non ci sono pianure, neanche piccole.
Ritorniamo al nostro viaggio. Da Phutsholing si sale. La prima parte è piena di curve a gomito e sotto si vede la piana del Bengala in tutta la sua grandezza. Presto entriamo nella nebbia, causata dall’umidità che sale dalla piana. Ad un certo punto si lascia la vegetazione sub-tropicale del versante sud per arrivare ai coniferi a 2500 metri slm. Il paesaggio cambia radicalmente e si attraversano villaggi deliziosi. La nebbia non c’è più, ma appare un cielo limpido e pulito con nuvole bianchissime che corrono nel cielo. Sembra di essere nei Grigioni in Svizzera.
Ad un certo punto si lascia la strada principale che conduce alla capitale Thimphu per prendere una strada laterale che conduce alla valle di Paro. Che meraviglia! Si trovano monasteri abbarbicati sulle alture, villaggi incantevoli, case affrescate e balconi in legno. Si arriva alla cittadina di Paro, che si trova nella valle omonima. È idilliaca. Ma è solo l’inizio.
Il paesaggio non è fantastico come quello del Ladakh o del Nepal e non assomiglia alla grandezza delle montagne del Karakoroum. In alcuni casi sembra di essere nella Val Brembana nel Bergamasco (niente da eccepire, a me piacciono le valli del bergamasco e del bresciano). In maggio ci sono i rodendendri in fiore e questo rende il paesaggio ancora più bello, ma non molto diverso dal nostro.
Il bello è dato dall’insieme dei villaggi, dei monasteri e soprattuto degli dzong. Questi funzionano da centri religiosi, militari, burocratici, amministrativi e sociali dei vari distretti. Ogni distretto ha il suo dzong. Lo dzong di Thimphu è grandioso, anzi, è lo dzong più celebre del Bhutan e viene chiamato Tashichho Dzong. È il più grande monastero del regno: ci sono tutti i ministeri e l’assemblea nazionale.
A proposito, i cittadini del Bhutan recentemente si sono recati alle urne per completare l'elezione dei rappresentanti della camera bassa, la cui precedente tornata elettorale si è tenuta nel mese di febbraio, rendendo effettiva la transizione da monarchia assoluta a monarchia parlamentare. Il passaggio di ordinamento è stato voluto due anni fa dall'ex re Jimge Singye Wangchuck, il quale ha abdicato in favore del figlio, emanando una costituzione che entrerà in vigore quest'anno, in base alla quale il re ricoprirà la carica di Capo di Stato ma tutti i poteri saranno delegati al parlamento. Comunque, politica a parte, l’insieme di paesaggi, villaggi, monasteri e dzong rende il paese molto piacevole.
Da Paro proseguiamo verso la capitale, Thimphu e poi verso il centro del paese. Le strade sono buone ma non esiste un rettilineo. Si supera un passo chiamato Dochu-la (“la” vuol dire passo) a 3000 metri slm. Dal passo, tempo permettendo, si ha una veduta stupenda sulla montagna più alta del Bhutan, Kula Kangri (7600), vetta che confina con il Tibet. Siamo fortunati, il cielo è sereno e vediamo tutta la catena innevata che costeggia il confine tra Bhutan e Tibet . Molte vette superano i 7000 metri. Se la giornata è nuvolosa e dal passo non si vede niente, ahimé, non si vedrà più questo spettacolo, perché poi si continua il viaggio verso est e poi verso sud fino a raggiungere l’Assam in India. Tornando a Thimphu una seconda volta magari si sarà più fortunati.
Scendiamo su Thongsa. Ad un certo punto vediamo il paese di fronte, dall’altra parte della valle. Sta diventando buio e si vedono le luci. Siamo quasi arrivati. Ma, in realtà, non siamo vicini. Impieghiamo ancora un’ora perché la strada segue l’andamento della montagna. Perdiamo di vista Thongsa addentrandoci in angoli reconditi della montagna. Pernottiamo in un lodge molto semplice. Margherita Carrara, una partecipante, non riesce a dormire e canta “La Vie En Rose” di Edith Piaff. Ha una bella voce. Molto suggestivo!
Da Thongsa partiamo per la valle di Bumthang. Attraversiamo un altro passo di 3300 metri slm. La valle di Bumthang è il posto più bello del Bhutan, dopo la valle di Paro. È una valle incontaminata. Facciamo delle bellissime camminate, da un monastero all’altro. L’albergo è un bel lodge, sembra di essere sulle alpi, come sensazione. Ogni camera ha il cammino e gli inservienti vengono ad accendere il fuoco, prima di coricarsi. C’è soltanto acqua corrente fredda. Non esiste lo scaldabagno. Gli inservienti arrivano con secchi d’acqua bollente che scaldono sul fuoco a legna. L’atmosfera è meravigliosa. Ora è cambiato, hanno costruito più lodge e c’è l’acqua calda corrente e tutte le comodità.
Rimarrei nella valle di Bumthang per due settimane, ma dobbiamo rientrare. Torniamo verso Thimphu. Non vediamo questa volta la catena innevata dal passo perché pioviggina. Scendiamo fino a raggiungere 800 metri di altitudine e arriviamo alla capitale invernale Punakha. Ci sono dei fiori bellissimi, soprattutto rose, e farfalle colorate grosse come falene. I campi sono ricchi di frumento, ortaggi, frutteti e di ogni ben di dio. Ci sono molti contadini nei campi, che ci salutano cordialmente.
Lo dzong di Punakha è imponente. Quasi tutti gli dzong del Bhutan si trovano in posizioni dominanti, su un’altura, ma lo dzong di Punakha è in pianura. Attraversiamo il vecchio ponte di legno sopra il torrente ed entriamo. Rientriamo a Thimphu e quindi ritorniamo sui nostri passi. Scendiamo verso l’India. A metà discesa incontriamo di nuovo la nebbia e poi sotto di noi la fertilissima piana sub-tropicale del Bengala!
Il viaggio è quasi finito. A Calcutta c’è una coda del monsone. Piove e le strade sono allagate. Vanno soltanto i risciò trainati a mano. Non riusciamo ad arrivare all’aeroporto con le macchine. Riesco a noleggiare un vecchio pullman con le ruote alte e partiamo. Tutto bene ma siamo praticamente gli unici ad arrivare all’aeroporto. Nella pista non c’è acqua così partiamo per Bombay e poi per l’Italia.

giovedì 18 settembre 2008

Il mio secondo viaggio in Cina - 1990

Il secondo viaggio che ho fatto in Cina è stato nel 1990 con una ventina di persone intitolato “Via della Seta”. Allora abbiamo volato British Airways via Londra, un ottimo viaggio, un po’ lunghetto, destinazione Pechino. Dopo Pechino volo per Xi’An e da Xi’An a Lanzhou, capitale del Gansu. Voli in perfetto orario, un miracolo dopo l’anno disastroso del 1988 (vedi il viaggio che ho descritto precedentemente).
Da Lanzhou comincia l’avventura. Alle 22 prendiamo il treno per Jiuquan, nel cosiddetto corridoio del Gansu, dove arriviamo il giorno successivo alle 18 (20 ore di viaggio!). Nelle vicinanze di Jiuquan si trova la cittadina di Jiayuguan. È qui che si vede il fortilizio della grande muraglia. In realtà abbiamo fatto questo lunghissimo viaggio in treno di 20 ore per raggiungere una località di grande interesse: le grotte di Mogao a Dunhuang.
Allora per Dunhuang non c’erano voli e l’unico modo per arrivare era via terra. Credo che ci siano quasi 500 templi scavati nella roccia. Da Jiuquan abbiamo impiegato in macchina circa 8 ore. Siamo partiti al mattino. Era freddo e piovigginava, anche se era il 6 Agosto e eravamo nel deserto del Gobi. Avevamo già imboccato la strada che conduce a Dunhuang quando da una curva arriva un camion in velocità. Ci vede, frena bruscamente e sull’asfalto bagnato sopra uno strato di polvere perde il controllo e viene verso di noi. Il nostro autista ha i riflessi pronti e vira buttandosi in un fosso sabbioso, non pericoloso. Evita il peggio. Il camion ci prende soltanto marginalmente. Arriva la polizia. Mi dispiace per l’autista del camion perché sicuramente gli hanno tolto la patente. Abbiamo chiesto alla polizia di usare clemenza. Stiamo tutti bene, nessuno si è fatto male, ma il pullman ha subito dei danni e non possiamo continuare il viaggio. Aspettiamo e ci riportano in città con altri mezzi. Nel pomeriggio, dopo pranzo, ripartiamo per Dunhuang con due pullmini. A Dunhuang visitiamo le grotte di Mogao (che vuol dire dei mille buddha) .Gli affreschi sono superbi e sono di varie epoche e dinastie. Direi che queste grotte conservano la più grande collezione di arte buddhista della Cina.
Da Dunhuang riprendiamo la strada per la stazione ferroviaria di Liuyuan, un percorso di 2h30 circa attraverso un paesaggio incredibile, desertico, disseminato di montagnole tozze di diversi colori e sfumature dal color sabbia al rosso e nero. Partiamo col treno verso le ore 20 e arriviamo a Turfan, nella provincia cinese del Xinjiang, la mattina seguente, alle 9 circa. Le cuccette non sono male. Turfan o la depressione di Turfan si apre nella parte orientale della catena del Tien Shan e si trova sotto il livello del mare. È un posto magico. Grazie ai torrenti che scendono dalle alte montagne vicine e all’ingegnosità e alla tenacia del popolo uiguro, che ha saputo utilizzare l’acqua infiltrata nelle falde pedemontane creando una perfetta rete di canali sotterranei, Turfan è disseminata di oasi meravigliose. Tutto l’insieme costituisce uno straordinario paesaggio. Il caldo può essere insopportabile e in estate può raggiungere i 45 gradi se la giornata è soleggiata.
Proseguiamo la nostra avventura, in pullman, fino a raggiungere Urumqi, la capitale dello Xinjiang, città industriale e anonima ma con un clima piacevole (d’estate). Da Urumqi prendiamo il volo per Kashgar, famoso nodo carovaniero sulla via della seta. Domenica è ‘market day’. La gente proviene da tutti i villaggi vicini per vendere e comperare. Ne ho parlato più volte di Kashgar. È incredibile vedere la folla, le contrattazioni. C’è di tutto. Una parte molto interessante è il mercato del bestiame. Le capre sono tutte in fila legate insieme con lo spago, per essere vendute. Ci sono anche cammelli, vacche, pecore e galline. C’è la sezione dei sementi, la sezione delle stoffe multicolorate (il costume locale delle donne iugure è molto colorato), il reparto ristoro con centinaia di ristorantini, le macellerie, i barbieri all’aperto, i dentisti con i loro strumenti ‘medievali’ e tante altre cose. Purtroppo il mercato oggi è diventato meno interessante. Oggi è stato diviso in tre località diverse. Esiste ora una struttura permanente moderna. Il mercato del bestiame si è rimpicciolito e non ci sono più i cammelli, o almeno non li ho più visti. Forse la ‘modernizzazione’ del mercato è positiva per gli abitanti, ma per noi turisti la suggestione ‘romantica’ non c’è più.
La città di Kashgar si sta trasformando in una cittadina moderna e monotona. Dove si trova la storica moschea di Id Kah, nel cuore di Kashgar, proprio nella piazza centrale, i cinesi hanno fatto una piazza di pessimo gusto, con i pavimenti di marmo e le nuove case lastricate di ceramica o ‘pietrini’, come dicono a Bologna. Ha certamente perduto il suo fascino.
Ritorniamo verso Urumqi ma questa volta via terra attraverso bellissime oasi ai margini del bacino del Tarim, chiamato anche il deserto di Taklimakan, da un lato, e le maestose montagne Tien Shan dall’altro, che raggiungono anche i settemila metri. Ogni tanto incontriamo torrenti d’acqua che invadono la strada, causati da forti temporali in montagna. L’acqua vorticosa segue il wadi e si riversa sulla strada. Aspettiamo. L’acqua è piena di sabbia. Lentamente il flusso diminuisce e possiamo passare. Oggi c’è una superstrada leggermente elevata rispetto al terreno.
Passiamo per Aksu, una specie di visione che sorge dal deserto. Dal nulla si vede in distanza un insieme di palazzi moderni, una specie di castello di cristallo che si erge in mezzo al niente. Da Aksu si procede verso est per raggiungere le grotte buddhiste di Kizil (molti degli affreschi si trovano al Museo Britannico e a Berlino) e la cittadina di Kuqa. Il paesaggio lungo questo tratto è incantevole. In una giornata chiara si vedono le vette innevate maestose della catena Tien Shan ergere come delle immense torri. Dopo Kizil percorriamo una strada stretta in una gola profonda caratterizzata da stranissime formazioni rocciose aguzze. Nei pressi di Kuqa si trovano antiche città fantasma. Si mimetizzano nel paesaggio, bisogna scoprirle. L’antica città di Subashi si trova incastonata all’ingresso di una gola, ai piedi di montagne aride e grigie (forse perché pioveva), vicina ad un torrente il cui letto si allarga notevolemente man mano che scende a valle. Quando scende, l’acqua arriva vorticosamente. Tutto è di grande fascino. Purtroppo piove a Subashi ma il fascino diventa struggente, il colore della roccia e della terra sabbiosa diventa scuro, il cielo minaccioso di nuvoloni neri che coprono il cielo, insomma da brivido.
Proseguiamo per Korla, città detta ‘dei petrolieri’, ed infine ritorniamo ad Urumqi per proseguire in volo per Pechino. Si potrebbe chiamare questa via “la via del buddhismo” perché il Buddismo raggiunse la Cina attraverso la Via della seta. Una signora, Nora Chiarini, ha definito questo percorso “la via delle angurie” perché ci fermavamo spesso a mangiare l’anguria. Pensava di trovare ancora carovane di commercianti con i loro cammelli e le loro merci, ma purtoppo non ci sono più. Ogni tanto lungo il percorso si incontarno dei cammelli, ma non in marcia versa oriente o verso occidente! Sono lì a fare nulla!

martedì 9 settembre 2008

Ladakh


Il Ladakh è chiamato il piccolo Tibet, e si trova nello stato indiano Jammu e Kashmir. Geograficamente e antropologicamente parte del Tibet e non del sub-continente indiano, il Ladakh è diventato una meta molto popolare in questi ultimi anni, soprattutto tra i giovani saccopelisti.

La prima volta che sono stato nel Ladakh risale al 1987. Ho volato a Srinagar, nel Kashmir, da Delhi e poi in aereo da Srinagar a Leh, un percorso sopra le vette della catena montuosa dello Zanskar. Nella valle di Leh ci sono tanti monasteri da visitare, più e meno belli. Ho fatto rafting sul fiume Indo tra Leh e Nimmu: un percorso molto bello e vario, ma lo raccomando soltanto a esperti perché ci sono un paio di rapide in due anse strette che sono veramente vorticose e c’è un pericolo reale di schiantarsi contro la roccia. Il mio gommone si è sbattutto contro la roccia dalla forza dell’acqua, ma fortunatamente ci siamo liberati senza difficoltà e senza alcun danno. È stata un’esperienza irrepetibile. Dopo le rapide si giunge in acque calme e tranquille dove il silenzio regna in mezzo ad alte pareti rocciose e sotto un cielo azzurro cobalto. Ricorda un’antica lirica giapponese che dice “Scorre tra vortici contro le rocce il fiume, ma poi le acque in uno stagno sostano che rispecchia la luna”.

Riprendo la macchina e proseguo per Alchi, famoso per l’antico complesso templare vecchio di ottocento anni. Il tempio principale contiene murali e sculture incredibili che rivelano uno stile di arte buddhista molto raro per le sue influenze persiane e greco-romane. Arrivo infine al bruttissimo paese di Kargil, la porta d’ingresso per accedere alla valle dello Zanskar. Dormo in un albergo del centro. Aspetto un mezzo che deve arrivare da Srinagar con tutti i viveri per portarmi nella valle dello Zanskar, ma non arriva. Parto con ventiquattro ore di ritardo perché il mezzo è rimasto bloccato in fondo all’orrido che conduce a Drass, strada piena di curve, frequentata da lunghissime colonne militari e a senso alternato.

Finalmente si parte. Dopo circa 4 ore di strada sterrata ci si ferma per fare una passeggiata (direi una sfacchinata più che una passeggiata). La macchina intanto va avanti a preparare le tende e la cena. La passeggiata è in salita, un dislivello di 800 metri, ma ad un certo momento comincia a piovere e il terreno diventa molto scivoloso. Si fa fatica a salire perché si scivola continuamente (forse avevo le scarpe sbagliate), ma una volta sulla cresta la vista ripaga di tutta la fatica. Davanti si trovano le due vette più alte del Ladakh, Nun e Kun, a più di 7000 metri! Il temporale si sta allontando e le nuvole si alzano. Che meraviglia, due montagne gemelle, cariche di neve e ghiaccio! Si vede dall’alto il campo in preparazione. Si arriva bagnati, affaticati ma felici.

Successivamente si raggiunge l’isolato monastero di Rangdum, situato su una collinetta morenica al centro di una valle incredibile, dove la prateria è coperta da innumerevoli stelle alpine. Mi ricordo che il monaco vendeva vecchi (o antichi) arredi del tempio. In realtà si entra nella valle dello Zanskar soltanto dopo aver superato il passo Pensi La (4400 metri slm). Il passo è pieno di marmotte e si sentono distintamente i loro strani versi. Si vedono erette e pronte a scattare, sul declivio della montagna. Poco dopo il passo s’incontra il ghiacciaio di Drung Drung, lungo più di 10 km. Si mette giù la tenda ad Abrang, vicino al fiume, in un prato letteralmente coperto di stelle alpine. Infine si arriva al capoluogo della valle, Padam, un postaccio orribile. Padum un generatore ce l'ha, ma non funziona sempre, funziona un paio d'ore al giorno, se va bene. Ma tanto si dorme in tenda, chi ha bisogno dell’elettricità? In compenso il paesaggio è fantastico.

Sani invece, nelle vicinanze di Padam, è costituito da un bel villaggio tibetano e dall’antico monastero, costruito su una piattaforma pianeggiante della valle. Tutti i paesi prima di Rangdum sono abitati da musulmani sunniti mentre i villaggi della valle sono quasi esclusivamente tibetani. La valle dello Zanskar è abitata da buddhisti. Soltanto il capoluogo Padam è misto, dove metà della popolazione è musulmana. Nelle vicinanze si trovano altri bellissimi monasteri, ad esempio Stongde e Karsha. Dal monastero di Karsha si ha una veduta magnifica sulla valle di Padam e dal monastero si possono vedere le due vette gemelle Nun e Kun. La cosa più bella comunque è camminare. Ogni mattina presto, dopo colazione, si lascia il campo e si procede a piedi. In seguito arriva la jeep che porta al campo successivo.

La valle dello Zanskar ha un clima secco e le montagne sono prive di alberi. In questi ultimi vent’anni hanno cominciato a piantare dei betulli vicino al fiume, ma se non ricevono acqua seccano. La valle dello Zanskar è come un’isola. D’inverno, e credo per quasi otto mesi all’anno, è isolata, i passi chiusi per via della neve. La vita è molto dura.

È interessante visitare una casa tipicamente “tibetana”. Mi ha colpito la cucina grande e piena di utensili di rame. La popolazione buddhista della valle è molto cordiale. Invariabilmente ti offre il tè alla tsampa. La tsampa si ricava dall'orzo tostato, una farina dal sapore che ricorda la nocciola e che può essere consumata in polvere, aiutandosi con le mani, oppure impastata con l'acqua per ottenere grosse palle. La tsampa viene mescolata al tè e al latte con l’aggiunta di zucchero. L’igiene non è il loro forte. Cerco di non berlo, ma quando insistono non posso rifiutare. Lo mando giù a malavoglia e spero che non succeda nulla!